«Nella penitenza ci guida la nostalgia di Dio»

Il penitenziere maggiore, card. Mauro Piacenza, ci incoraggia a riscoprire, in questi giorni di cammino quaresimale, il significato del sacramento della Confessione.

«Nella penitenza ci guida la nostalgia di Dio»

 

“Ogni volta che noi ci confessiamo, Dio ci abbraccia”. Dopo queste parole pronunciate da papa Francesco, che chiudevano l’udienza generale del 19 febbraio scorso, le chiese si sono riempite di persone desiderose, spesso dopo tanti anni, di confessarsi; a renderlo noto è stato il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata. E il prossimo 28 marzo il Santo Padre inaugurerà in San Pietro l’iniziativa quaresimale del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, dedicata al sacramento della riconciliazione. Il papa stesso, in quell’occasione, confesserà alcuni fedeli. C’è una dolcissima pace nella rinascita che troviamo nella Penitenza, e che passa attraverso il liberarci del peso del nostro peccato aprendo il cuore al Signore: già Benedetto XVI insisteva spesso su questo punto, e papa Francesco ha posto l’accento sull’abbraccio di Dio che riceviamo nel farlo. Di Penitenza si parlerà, inoltre, nella settimana di studi che si aprirà lunedì 24 marzo presso la Paenitentiaria Apostolica, con una lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore. Il cardinale ha regalato ad Aleteia alcune sue riflessioni.

 

 

 

Eminenza, pensa che oggi, anche grazie alle parole del Santo Padre, si stia riscoprendo il valore della Penitenza?

 

Piacenza: Certamente. Credo che il sacramento della Penitenza per molti purtroppo fosse un po’ caduto nel dimenticatoio anche a causa di una certa perdita del senso del peccato, una dimenticanza che ha creato delle anemie spirituali in molte persone. Direi che un momento di ripresa su questo punto c’è stato con l’Anno sacerdotale, che è stato provvido per molte questioni, da una migliore focalizzazione sulla figura e l’identità del sacerdote e sul suo ministero di carità pastorale all’Eucarestia, dal legame del sacerdozio con l’Eucarestia a quello del sacerdozio ministeriale proprio con il sacramento del perdono, della confessione. Di sicuro è stato un momento felice. Certamente, l’aver parlato in modo così convincente, così motivato e così reiterato da parte di papa Francesco sulla misericordia è stato importante: questo è un discorso che è intimamente legato alla Confessione, perché è lì che si va a bere la misericordia a grandi sorsi, è lì che si rigenera la persona, spiritualmente parlando. E poi c’è una ricaduta sul tessuto comunitario dove vive la persona che si confessa, sul suo ambiente sociale, che deriva da una ripresa del senso dell’essere peccatori, ma anche dell’essere amati da Dio. Nella confessione una percezione fomenta il senso dell’umiltà, un’altra fomenta il senso dell’amore di Dio, e questo senso dell’amore di Dio che ricostruisce l’uomo dal di dentro, qualsiasi cosa avesse fatto, se ci sono le condizioni del riconoscimento dell’essere peccatori, dell’aver sbagliato, è un fattore rigenerante che si sente. Piano piano, progressivamente si prende coscienza, e la parola del Santo Padre, l’esempio del Santo Padre, la sua catechesi sminuzzata, anche con frasi simpatiche, tutto questo, che dimostra un grande senso pastorale, indubbiamente è un balsamo per il sacramento della Penitenza. E ci fa consapevoli del fatto che la Penitenza, se interessa direttamente la singola persona, è anche un sacramento che si allarga a macchia d’olio e interessa la società, perché crea dei cuori riconciliati, dei cuori in pace, e una sensibilità maggiore verso tutti i valori della convivenza umana. È chiaro che quando si affina la coscienza, questa si ribalta nella vita familiare, nel luogo di lavoro e nel contesto sociale, anche nella giustizia sociale. Quindi la Penitenza è un sacramento che interessa tutta la società mentre parte dal porsi direttamente di fronte a Dio.

 

 

 

Quando era cardinale, Ratzinger rilevava una confusione creatasi tra dimensione pubblica e dimensione personale del sacramento. È così?

 

Piacenza: Qui c’è l’equilibrio da ritrovare. Il rapporto è personalissimo perché nella confessione uno mette la propria coscienza sotto i raggi della santità di Dio e quindi si conosce anche meglio. E poi c’è questo rapporto diretto per cui il Signore si china sulla singola anima: il Signore non ama mai in modo massificato, ma in modo personalizzato. Che poi raggiunga tutti è un conto, ma il Suo è un amore irripetibile per ciascuno. E questo essere rigenerati personalmente nella confessione interessa e poi si allarga, come a cerchi concentrici, a tutta la società. Ora, teologicamente noi diciamo interessa tutta la comunione dei santi, perché è linfa sana che entra nel corpo mistico di Cristo, e quindi tutta la comunità credente prega sempre per la conversione dei peccatori, se è davvero una comunità credente: e quindi mi interessa, mi raggiunge. È già dunque un aspetto comunitario, anche se è un aspetto più intraecclesiale. Poi c’è l’aspetto comunitario del “riflesso”, quella pacificazione che ho ottenuto, è anche una gioia interiore che mi porta ad essere più “sensibile”. È chiaro che dovrò, ad esempio sul lavoro, essere onesto, perché se mi confesso devo fare un esame di coscienza e devo poi volerlo. Con il mio vicino di casa dovrò essere gentile anche se mi è antipatico, e dovrò incominciare a vederlo sotto un’altra luce: questi sono solo piccoli esempi, che si possono moltiplicare all’infinito.

 

 

 

Che rapporto c’è tra le due dimensioni della penitenza, la vergogna, che l’uomo sta riscoprendo come valore, e la gioia?

 

Piacenza: Per quello che riguarda la vergogna, si è sempre parlato di erubescenza nella confessione: cioè, alle volte si ha vergogna di confessare certe miserie, certe piccolezze, certe cadute. Però questo fa già parte del ritorno, è già un aspetto penitenziale. Ed è già un po’, potremmo dire, come la purificazione delle anime del Purgatorio come la vede la mistica del Purgatorio e Santa Caterina da Genova. Cioè, l’anima purgante ha dentro di sé un dolore, una sofferenza, perché è lontana dalla visione di Dio per la quale noi siamo fatti. Ma nello stesso tempo questa sofferenza è come una nostalgia, come quando una persona estremamente amata è lontana e la ricorda con una struggente nostalgia. In qualche modo questa struggente nostalgia è già il motivo della purificazione, per poi poter vedere Dio faccia a faccia ed essere ammessi ad una beatitudine che non avrà mai fine. L’erubescenza è questo: mi dà fastidio, mi vergogno di dire certe miserie, ma nello stesso tempo sento che mi sto purificando, le sto detestando di più, sto vedendo, più che mai, che avevo sbagliato, e devo fare un’inversione sotto la grazia di Dio. E mentre c’è questo, aumenta l’amore per Cristo, e quindi l’amore per i fratelli, e per questo amore sto dando qualche cosa anche io, in qualche modo. La sofferenza, la vergogna si mescolano già con la gioia: perché il sacramento della riconciliazione è già un grandissimo dono che dà gioia. È un dono anche per noi sacerdoti, che più chiamati ad esercitare questo ministero, abbiamo le nostre mancanze da farci rimettere. Quindi siamo confessori e penitenti nel contempo, e la gioia di perdonare, e la gioia di essere perdonati vanno insieme. Per questo mi sento di fare un augurio ai confessori e ai penitenti di poter sperimentare questa gioia cristallina. È un po’ un augurio pasquale, che faccio cordialmente a me stesso e a tutti gli altri.

 

 

Emanuele D'Onofrio

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