Alcune riflessioni per guardare con occhi cristiani la realtà del dolore. √â un'illusione dell'uomo che “pensa filosoficamente” supporre che la sofferenza avviene ‚Äòqui sotto', mentre ‚Äòlassù' un Dio beato che non vi prende parte sta a guardare.Chi soffre e grida nell'agonia, è in Dio
del 01 gennaio 2002
Perché?
Perché tutto questo male? Perché accade tutto questo? Ci troviamo a dover rispondere a questa grande domanda soprattutto mentre vediamo la sofferenza e la morte di tanti bambini a causa di persone per le quali ci vengono in mente le parole di Gesù: «sarebbe [stato] meglio che si fossero legati al collo una macina da mulino e si fossero gettati in fondo al mare».
Ci possiamo abituare a tutto ma non all’amaro boccone della sofferenza, e questo perché non esiste nessuna creatura che sia posta al mondo per il dolore, bensì per quel suo contrario che è la gioia senza ombre della piena comunione con Dio.
E visto che la creazione è in Cristo, ossia che Dio dona l’esistenza ad ogni sua creatura al solo scopo di renderla partecipe della felicità della comunione della vita trinitaria, possiamo renderci conto che la ribellione al dolore è la reazione sacrosanta, anche se talvolta ‘scomposta’, di una persona fatta davvero per la gioia di fronte a ciò che ne costituisce l’esatto contrario. E’ la stessa reazione che emerge dalla tenera compassione di Gesù, dai suoi sentimenti, riflesso di quelli di Dio, per le folle che soffrono (cfr Mt 14,14), e dai segni che compie: guarigioni di ogni genere e perfino risurrezioni.
La responsabilità della libertà
Tutti proviamo una grande gioia quando viviamo una vera esperienza di amore, di amicizia, di bene: il nostro cuore non è fatto per odiare, ma per amare.
Ciascuno di noi, però, può rovinare quella forza di bene che il Signore ha messo in ciascuno; possiamo anche dilapidare la nostra capacità di amare, che è il nostro più grande patrimonio. Nella Bibbia il Signore dice: «il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto; ma tu dominalo» (Gen 4,7). Ciascuno di noi può diventare santo o criminale. Non è difficile vedere che cosa accade quando il cuore di un uomo rinuncia alla sua più grande dignità: essere capace di amare. Che “caso serio” è la nostra libertà! Le nostre scelte non sono completamente predeterminate dalle condizioni sociali in cui viviamo. Dobbiamo imparare a non dimenticare la nobiltà insita in noi e aiutarci a costruire la nostra libertà giorno dopo giorno.
E lasciare soltanto al Dio, che deve essere adorato in Spirito e verità, il giudizio ultimo sul mistero della vita e della morte che ci vengono incontro: talora, enigmaticamente e scandalosamente, quasi nello stesso tempo. A noi resta il compito però di trarre conversione e redenzione dalle ferite, anche se rimangono per noi insanabili e incontenibili.
Di chi è la vittoria?
L’uomo è inesorabilmente attaccato dal male che alla fine risulterà sempre vincitore?
Mons. Carlo Caffarra parlando ad alcuni giovani diceva: “Proviamo ad alzare lo sguardo: a guardare il Crocefisso. È la vittima più innocente della violenza umana. Ma proprio attraverso la Sua morte ha donato all’uomo la forza di vincere il più grande male dell’uomo: l’incapacità di amare. Noi cristiani siamo certi: l’uomo è stato salvato.
Tuttavia, se uno è ammalato di una malattia mortale, non basta che esista la medicina capace di guarirlo; è necessario che la prenda, questa medicina. E la medicina che ci guarisce dalla nostra ferita più grave è Cristo: dobbiamo ‘prenderla’. Cioè, avvicinarci a Lui; farlo entrare nella nostra vita”, e soffermare il nostro sguardo su di Lui.
Ma cosa significa guardare a Gesù? Guardare al Crocefisso?
La scelta del Dio della gioia
Le parole e l’agire di Gesù sono una buona notizia per i ‘poveri’, e i poveri sono precisamente i sofferenti, di qualunque tipo e condizione, tanto che nessuno viene escluso dal suo passare ‘beneficando’ (At 10,38). Quando Gesù vuole esprimere il senso della sua missione, ne indica il centro nel dono della gioia ( cfr Gv 15,11), appunto, l’esatto opposto del dolore. E affida ai discepoli un compito speciale, quello di ‘voler bene’ in modo del tutto identico al suo (cfr Mt 10,8).
La strada scelta da Gesù non è quella del dolore, ma quella di un amore senza limiti, che si trova a soffrire per la reazione omicida che il peccato scatena contro la sua missione.
L’opposizione di Gesù alla sofferenza è ‘radicale’, nel senso più letterale del riferirsi alle ‘radici’ di qualcosa. Egli non si ferma alla superficie dei problemi umani ma “punta direttamente a scardinare le due radici del patire umano, tanto il peccato, seme maledetto del male evitabile [il male prodotto dall’uso distorto della libertà], quanto l’incompletezza terrena, sorgente del male inevitabile [dovuto alla nostra condizione di limite e finitezza]” [1]. Altrettanto possiamo fare noi, se guardiamo a Lui. Questo concretamente significa cercare di superare, o perlomeno di attenuare, le situazioni di sofferenza attraverso i mezzi offerti dal progresso delle scienze, della tecnica, della strumentazione politica ed economica…. Ma anche e soprattutto puntare al cambiamento del cuore, la prima e insuperabile condizione di ogni altra forma di abolizione del male, e unica strada per una vittoria totale.
La sofferenza di Gesù
Ma guardare al crocefisso è guardare alla sofferenza di Gesù e a come Lui personalmente la vive.
Il teologo Hans Urs Von Balthasar descrive così alcuni tratti della sofferenza di Gesù:
“La sofferenza di Gesù Cristo rimane un mistero che si può accostare solo con profondo rispetto. Ma essa in cosa consiste? In primo luogo non in una tortura fisica che, in quei tempi, migliaia di uomini dovevano soffrire come lui. Bensì se prestiamo fede ai testi, in qualche cosa di più profondo: nell’abbandono da parte di Dio che Egli, in modo particolare, chiama suo Padre, con il quale era legato come nessun altro, nel cui ‘seno’ Egli riposava sempre. “Nessuno conosce il Padre come il Figlio” (Mt 11, 27). Nessuno quindi può sperimentare un tale abbandono da parte di Dio come il Figlio. Questa è la sofferenza più profonda possibile: sapere, per esperienza, chi è Dio e aver perduto (apparentemente per sempre), questo Dio”.
Gesù è un uomo, e allo stesso tempo di più: Egli è ‘il Figlio del Padre’. Per questo la sua sofferenza non solo è la più profonda possibile ma possiede la forza di ‘infiltrarsi’ in tutte le sofferenze del mondo, in tutti i peccati, e di mutare tutto in un’opera di ‘più alto amore’.
Gesù grida nelle tenebre del dolore “Perché?”. La sua sofferenza profondissima non riceve nessuna risposta… il peccato del mondo che ha preso su di sé non ha senso… non c’è risposta. Ma Gesù grida affidandosi a Suo Padre, ‘rimette il suo spirito’ nelle Sue mani, il dolore e il silenzio non distruggono la Sua fede.
La sofferenza è vicina al cuore di Dio
Gesù ama senza limiti, prende su di sé la nostra libertà spesso incapace di scegliere l’amore: è Dio che si coinvolge nella nostra storia. La sofferenza e il dolore, così, sono nell’intimo di Dio.
La scena che si svolge sulla croce coinvolge il Padre e il suo Figlio diventato uomo. E lo Spirito Santo comune a tutti e due, è presente e li unisce, nel silenzio che li allontana e, allo stesso tempo, nel loro silenzioso donarsi, è il testimone che le due cose accadono insieme. Qui è tutto il mondo creato che soffre. Il mondo che soffre allora è in Dio. Il suo posto è qui, in Dio, dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una eterna vita di amore. Ma questo vuol dire che la sofferenza del mondo è vicino al cuore di Dio. E’ un’illusione dell’uomo che “pensa filosoficamente” supporre che la sofferenza avviene ‘qui sotto’, mentre ‘lassù’ un Dio beato che non vi prende parte sta a guardare.
Chi soffre e grida nell’agonia, è in Dio. E questo perché il mondo intero, con tutto il suo sangue e tutte le sue lacrime è in Cristo e in Lui crocefisso è stato pensato e creato. “In Lui noi, secondo il beneplacito di Dio, siamo diventati figli, poiché in Lui noi abbiamo, mediante il suo sangue la redenzione, la remissione dei peccati” (Ef 1, 5-7). “Noi siamo liberati con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia, già scelto prima della fondazione del mondo” (1Pt 1,19ss).
L’amore di Dio, già in anticipo, ha abbracciato tutta la sofferenza del mondo! E abbracciandola la lascia dietro di sé, ma non restandone fuori, bensì assumendola.
Quello di Dio è un amore che corre il rischio di tutte le stoltezze e i delitti della libertà umana testimoniando così che l’”amore è più forte della morte e degli inferi” (Ct 8,6).
La scelta del cristiano
Come cristiani possiamo fare nostra la scelta di Gesù dell’arrenderci per resistere (del morire per risorgere), ossia del farsi carico del peso della sofferenza, per arrivare come Gesù ed in forza sua a seccarne le radici. E’ la parabola del chicco di frumento (Gv 12,24). Proprio nello scendere nella sofferenza e nella morte per sopprimerle dal di dentro, dalle radici, Gesù ha acquistato la resurrezione, loro totale e irreversibile superamento, che infatti non è venuta semplicemente dopo la sua morte, a modo di un rattoppo un po’ ritardatario, ma precisamente dalla sua morte, o meglio dal suo perseverare a qualunque costo nel modo proprio di Dio di vincere il male unicamente con il bene (cfr Rm 12,21).
Concretamente, per affrontare la realtà della sofferenza possono essere d’aiuto le due parole chiavi pregare e offrire. D. Gozzelino le spiega così:
“Bisogna pregare: perché l’orazione slega l’onnipotenza di Dio, vincolata al coinvolgimento umano, consentendo l’effettiva partecipazione di colui che orega all’esito della lotta di Gesù. Bisogna offrire, sia nel senso negativo del non trattenere nelle proprie mani una serpe di tale invincibilità, sia soprattutto nel senso positivo dell’affrettarsi a gettarla nella mani di Dio: perché solo esse permettono alle possibilità costruttive del dolore, altrimenti irrealizzabili, di diventare felice realtà. Così come il pane e il vino, posti sulla mensa eucaristica, si cambiano in corpo e sangue di Cristo unicamente in forza dello Spirito del Padre e di Gesù”.
Bibliografia
Von Balthasar H. U., Dio e la sofferenza, in Se non diventerete come questo bambino, trad. it. di Maria Cristina Salati, revisione della trad. di Roberto Graziotto, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1992.
Gozzelino Giorgio, Spunti teologici sulla sofferenza, Catechesi 73 (2004) 2, pp.22-30.
[1] Gozzelino G, spunti teologici sulla sofferenza, Catechesi 73 (2004) 2, pp.22-30, p. 27-28.
sr Francesca Venturelli
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