La felicità della persona consiste nel rendere felici gli altri; ciò viene dal fatto che Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza e Dio è Amore che si manifesta attraverso le sue creature. Chi non ama non può essere felice.
del 01 gennaio 2002
A volte si sente dire: 'lo credo in Dio, voglio bene al Signore, ma non sento la necessità di andare in chiesa, di accostarmi ai sacramenti. Non faccio del male a nessuno, Dio mi comprende e quando sbaglio gli chiedo perdono' . È nel giusto chi ragiona in questo modo? L'esperienza ci dice che una persona che crede di risolvere tutto da sola è destinata all'infelicità. Abbiamo bisogno 'dell'altro', di Dio e del prossimo. Nella società moderna si insiste sulla necessità di realizzare le proprie aspirazioni, di fare ciò che ci piace, di ricercare il proprio tornaconto e che il senso della vita dipende solo da noi stessi.
Anche per la religione esiste il pericolo di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza dimenticandoci del Dio vivo della Sacra Scrittura, di Gesù Cristo, della Chiesa e dei Sacramenti. Le conseguenze sono tristi, infatti la semplice ricerca di una soddisfazione personale si riduce a un piacere momentaneo che non è felicità. La felicità della persona consiste nel rendere felici gli altri; ciò viene dal fatto che Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza e Dio è Amore che si manifesta attraverso le sue creature. Chi non ama non può essere felice.
Un giorno chiesi ai catechisti indios del fiume Andirá come si comportavano i loro antenati quando nasceva un bambino. Mi risposero: - Padre, quando nasceva un bambino, tutti andavano alla casa del neonato per vederlo, si complimentavano con i genitori, offrivano regali come farina di manioca, frutta o altri alimenti, pregavano per la salute del piccolo e dopo i più anziani cercavano di dargli un nome.
Il nome per gli indios è molto importante, perché ricorda alla persona la sua origine e le indica quello che sarà nella vita. Così i bambini indios crescono conoscendo la propria origine e il loro impegno nella vita; dovranno soffrire, lottare, ma non si sentiranno mai soli perché la tribù li protegge. Ci sono tradizioni e norme da rispettare sia per i bambini che per i giovani e gli adulti. Anche per il lavoro, la caccia, la pesca, il matrimonio, le malattie e la morte, le danze e altri momenti della vita gli indios seguono le regole delle loro tradizioni.
E noi 'civilizzati'? Se guardiamo le periferie delle grandi e anche piccole città del Brasile, quanti bambini abbandonati, genitori che non possono seguirli, parenti che li dimenticano, enti pubblici e stato assenti: una desolazione!
Non tutti possiamo avere la possibilità di sfamare o aiutare chi soffre, ma possiamo donare a chi soffre vicino a noi il conforto del nostro ,amore, ascolto e comprensione. Ancora una volta possiamo osservare come i popoli, che noi chiamiamo 'primitivi', ci insegnano che una persona non può essere felice da sola.
'Chi dice di amare Dio ma odia il proprio fratello è un bugiardo' (Prima Lettera di Giovanni 4,20).
don Enrico Uggè
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