Ogni mattina dire: «io ricomincio»

C'è una responsabilità da riprendere in mano con gioia ogni mattina: la responsabilità del giardino, la responsabilità di quell'angolo di mondo che oggi ci viene affidato.

Ogni mattina dire: «io ricomincio»

da Teologo Borèl

del 10 settembre 2005

«E poiché hanno seminato vento raccoglieranno tempesta. Il loro grano sarà senza spiga, se germoglia non darà farina» (Os 8,7). Leggo i giornali, sento i commenti, ascolto i discorsi della gente. Mi ritornano le parole. Sono quelle di un profeta, Osea, ottavo secolo avanti Cristo, ma sono, a mio avviso, la cifra inquietante di ciò che sta accadendo oggi.

 

Non stiamo forse raccogliendo tempesta? L’interrogativo è sulle labbra della gente comune, preoccupata come tutti per questa deriva allucinante del progresso umano: il buco d’ozono, la carne avvelenata, le acque inquinate, l’uranio impoverito, le isole assediate da scarichi mortiferi... Ma forse è solo la punta di un iceberg; c’è un sommerso che sfugge, e la sua invisibilità accende ancor più fantasmi. Fantasmi e paure nel nostro immaginario e nel cuore.

 

E come se assistessimo, impauriti e impotenti, a un’opera di “decreazione”. Dio ha creato il giardino: noi lo decreiamo, riducendolo a poco a poco a deserto. La desertificazione in atto della terra, in controtendenza sull’opera di Dio, che è un operare per la vita.

 

Ce lo confidavamo sere fa, leggendo il libro di Geremia: «Guardo la terra, caos informe! Il cielo, senza luce; guardo i monti, tremano; le colline traballano; guardo: niente uomini; gli uccelli del cielo, volati via; guardo: il giardino è un deserto, i paesi rasi al suolo» (Ger 4,23-26).

 

Stiamo raccogliendo tempesta?

 

Ciò che manca oggi forse è un sussulto di profezia, un profeta che tolga il velo e smascheri le radici del male: «Avete seminato vento!».

 

Dov’è il male oscuro? Quale vento abbiamo seminato? «Due iniquità ha commesso il mio popolo: abbandonarono me, fonte d’acqua viva e si scavarono cisterne, cisterne screpolate che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13).

 

Non sarà questo il momento in cui dare nome alle cisterne screpolate, le cisterne cui ci siamo affidati sostituendole alla fonte d’acqua viva, le cisterne che ci lasciano ora a fissare con sgomento un deserto sulla terra, un vuoto nel cuore?

 

All’adorazione del vero Dio, sorgente d’acqua viva, abbiamo sostituito l’idolatria del denaro, del potere, del successo, dell’immagine, senza accorgerci che lì abitava una forza di morte. Questo è il vento che abbiamo seminato. A lungo, per troppo tempo. E ora raccogliamo tempesta.

 

Purtroppo , per una schizofrenia inimmaginabile, succede che oggi ad alzare lamento per la tempesta siano, paradossalmente, i corifei del vento, quelli che adorano gli idoli vuoti, le maschere del tempo, facendole luccicare agli occhi di tutti per vile interesse, gli uomini e le donne di corte in adorazione del dio denaro, del dio successo, del dio potere, del dio immagine.

 

Si combattono mulini a vento agitando spauracchi vuoti e non si dà nome a ciò che “decrea”, a ciò che fa avanzare il deserto nell’anima e sulla terra. Come reagire – questa la domanda – al male, alle forze che portano morte sulla terra? Come reagire quando le stesse chiese sembrano sedotte dal fascino morto degli idoli vuoti?

 

Forse è venuta l’ora di uscire, da un lato, dalla rassegnazione che spegne il coraggio di innovare e, dall’altro, dall’illusione devota di chi pensa che oggi basti rimettersi a frequentare il tempio, riducendo la fede a pura frequentazione.

 

Forse occorre capire che oggi bisogna rimettersi a frequentare la vita, la storia, con la memoria di Gesù viva, non spenta, nei nostri oggi. Senza cadere nell’inganno di coloro che seminano vento.

 

Forse è tempo che ci ridestiamo tutti dal sonno. Che ognuno di noi si prenda, per quanto gli compete, la propria responsabilità: nella famiglia, nella città, nel paese, nella Chiesa, nel mondo...

 

Ci rimane nel cuore, nonostante tutto, qualche suggestione del Vangelo e, in forza di quella, la capacità critica di intravedere se i modelli che stiamo perseguendo siano o no in sintonia con il Gesù dei vangeli, un Gesù mite, umile, povero; un Gesù segno della compassione di Dio; un Gesù che scopre la fede nei lontani; un Gesù che, su quelli che per la religione, per la società, non contano, dice: «Voi contate, contate per Dio».

 

La grande tradizione della Bibbia ci ha insegnato che tocca a Dio portare a compimento l’opera delle mani dell’uomo. Ma, affermando questo, ci ha pure insegnato che le nostre mani contano, che il giardino Dio l’ha affidato all’opera dell’uomo e della donna.

 

C’è dunque una responsabilità da riprendere in mano con gioia ogni mattina: la responsabilità del giardino, la responsabilità di quell’angolo di mondo che oggi ci viene affidato. Poter dire ogni mattina, ma con passione: «Io ricomincio».

 

 

(da Il seme nella città, di Angelo Casati, EDB)

Angelo Casati

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