Olimpiadi: perché gli sportivi

Olimpiadi: perché gli sportivi

Fra pochi giorni inizieranno le Olimpiadi di Londra. Proviamo parlare di sport e di scienza. Per farlo ci rifacciamo a tre vicende clamorose, che riguardano la pratica sportiva e la scienza medica.

Era il 1988. Il 24 settembre. Gli occhi di mezzo mondo erano puntati sulla gara più importante delle Olimpiadi coreane di Seul: i 100 metri piani maschili.

Di fronte agli occhi di milioni di spettatori si stava compiendo un’impresa leggendaria: il giamaicano-canadese Ben Johnson stracciava tutti i pretendenti (soprattutto il grande Carl Lewis) con il tempo record di 9’ 79’’. Esultanza, gioia, ammirazione. La gara del grande Ben fu incredibile, e poteva essere anche più strabiliante se, in un eccesso di sicurezza, non avesse alzato il dito al cielo in segno di vittoria negli ultimi metri della sua arrembante progressione. Tre giorni dopo il mondo rimase scioccato nell’apprendere che la corsa sui 100 metri più veloce mai registrata fino a quel giorno da parte di un essere umano era stata annullata. Il protagonista era infatti stato giudicato positivo all’antidoping. La medaglia gli venne quindi confiscata.

Spostiamoci di pochi anni: siamo nel 1994, negli USA, e si stanno svolgendo i Campionati del Mondo di calcio. L’Argentina è una delle squadre più forti. Fra di loro, dopo un periodo travagliato sia sul piano personale che su quello relativo agli impegni con il calcio giocato, Diego Armando Maradona. Alla seconda partita, l’Argentina segna a ripetizione alla Grecia, per un perentorio 4-0. Uno di questi, il più bello, lo sigla proprio il Pibe de Oro, al termine di un entusiasmante scambio con i suoi compagni. Due giorni dopo, la FIFA annuncia la squalifica di Maradona, per doping. L’Argentina, inutile sottolinearlo, esce al primo turno.

Ancora un salto: andiamo al 1999. Dopo lo strabiliante 1998, anno in cui vinse il Giro d’Italia e -primo Italiano dal 1965- il Tour de France, doppietta che lo avvicinò definitivamente ai più grandi ciclisti della storia, Marco Pantani il 5 giugno a Madonna di Campiglio viene sospeso per valori di ematocrito troppo alti. È l’episodio che segna definitivamente la sua carriera: da quel momento non sarà più lo stesso, e i grandi successi non torneranno mai più.

Ci sono purtroppo casi di doping in tutti gli sport. E quando ci si approssima ai grandi eventi sportivi, come fra pochi giorni, sui media inizia a campeggiare la discussione: c’è chi sostiene che gli atleti “sono tutti drogati”, oppure che “è tutto un complotto”, e via dicendo, e che “bisogna aumentare i controlli”. Quello che è certo infatti è che da anni ormai è in corso una enorme campagna massmediatica per la diminuzione del fenomeno-doping. La lista delle storie di doping potrebbe infatti essere lunghissima. I tre casi riportati offrono tipologie di doping estremamente differenti: uso di particolari steroidi anabolizzanti nel primo, per aumentare la potenza muscolare, uso di efedrina nel secondo, per migliorare le prestazioni fisiche generali, probabile -ma mai dimostrato, nello specifico caso riportato- uso di EPO, per aumentare il numero di globuli rossi nel sangue, e quindi la resistenza sotto sforzo. In tutti e tre i casi, gli atleti hanno visto finire la loro carriera. In tutti e tre i casi i personaggi coinvolti hanno adombrato il fatto che fossero stati presi di mira da qualcuno che avrebbe ignorato la diffusione abnorme del fenomeno fra tutti gli sportivi.

Il comitato organizzatore di Londra 2012 non è certo stato con le mani in mano: è stato infatti realizzato un imponente centro per le analisi antidoping da 4400 metri quadri, spendendo più di cento milioni di euro, con il preciso intento di controllare circa la metà degli oltre 12.000 atleti che gareggeranno nelle varie discipline. 150 scienziati saranno impegnati in questa incessante analisi, fornendo più di 400 prove al giorno, con il supporto di 1000 operatori sul campo. La GlaxoSmithKline, in collaborazione con il King’s College di Londra, ha prodotto gran parte di questo mastodontico impegno.

La fiducia nei controlli scientifici, rigorosi e precisi che si stanno per mettere in campo sembrerebbe spazzare via il timore di avere competizioni falsate o da annullare. Eppure, questa fiducia nella scienza non può essere ingenua. Ma in che cosa consiste il doping? Secondo il Ministero della Salute italiano, è la “somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

Anche alla luce di questa definizione, bisognerebbe, prima che vietare, forse chiedersi perché ci si dopa, che cosa si cerca in questa pratica alterante le proprie caratteristiche fisiche e spesso pericolosa per la salute. E’ la pura ricerca di andare oltre il limite, in un contesto che peraltro spinge all’estremo questa logica sotto il giogo di enormi interessi economici? Oppure è la giusta aspirazione alla vittoria, al risultato, ciò che ragionevolmente può spingere a “forzare” il proprio limite? E qual è il limite ragionevole al quale ci si può approssimare? Ci si addentra in un problema paradossale: da un lato abbiamo una capacità tecno-biomedica che consente di fatto l’alterazione delle normaliperformance umane, attraverso prodotti non necessariamente “segreti”, ma che si possono trovare dietro i banconi di una qualsiasi farmacia; dall’altro lato, le stesse multinazionali del farmaco forniscono supporto alla lotta al doping, tramite innovativi sistemi di analisi, come avverrà a Londra.

Ma il problema resta, e tocca una questione cruciale dal punto di vista culturale, ancora prima che scientifico: cosa “posso” come uomo? Qual è il limite dell’orizzonte della mia azione? Quando posso dire di avere vinto? Domande alle quali la scienza non può dare risposta. E nessun controllo, per quanto accurato, per quanto strombazzato, potrà mai liberarci dal dubbio di poter fare di più, vuoi perché il controllo puntuale non basta a svelare abitudini “mediche” dei controllati, vuoi perché esiste il progresso anche nel doping, e non è detto che il nostro controllo sia adeguato per qualche innovativo sistema dopante.

Quello che rischia di mancare in un contesto spettacolare, esposto ai media, estremamente redditizio e interessante dal punto di vista economico come lo sport agonistico non è un semplice progresso scientifico. Quello che spesso manca è uno sguardo realmente capace di valorizzare l’umano, libero dal risultato a tutti i costi sull’appassionante attività sportiva. Potremmo dire che non basta possedere un corpo perfetto dal punto di vista medico, se l’anima non lo abita più. O, come diceva De Gregori: “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia…” Doti che nessun progresso tecnico-scientifico potranno garantire o inficiare.

Nicola Sabatini

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