Omelia della domenica: La pacchia di un Dio-distributore

"Un libro davvero strano il Vangelo. Mentre tutti i libri si leggono in piedi, il Vangelo è l'unico libro che ‚Äì qualora lo si voglia capire per davvero ‚Äì chiede di essere letto in ginocchio"... L'omelia di questa domenica scritta da don Marco Pozza.

Omelia della domenica: La pacchia di un Dio-distributore

 

Un libro davvero strano il Vangelo. Mentre tutti i libri si leggono in piedi (o seduti, magari sdraiati, oppure stesi sul letto della propria camera o sul lettino della spiaggia), il Vangelo è l'unico libro che – qualora lo si voglia capire per davvero – chiede di essere letto in ginocchio. In tutte le altre posizioni sembra che la lettura non riesca a produrre un batticuore che accenda la vita. A parte questa stranezza, è l'altra ad arrecare fastidio. Quando tu leggi un libro, giungi alla fine e dici: “ok, ho capito il senso”; oppure, se quel libro è un libro per un esame, nel mentre della lettura lo sottolinei, ne annoti i punti salienti, lo rileggi, ti fai uno schema. Poi ad un certo punto dici: “ok, mi prenoto per l'esame” perchè, tutto sommato, ti senti pronto. Del Vangelo, invece, sembra non sia mai possibile dire lo stesso: perchè più lo leggi, più ti sforzi di capirlo, più ti intestardisci nel farlo entrare nella tua testolina, più hai la sensazione che la bocciatura sia dietro l'angolo. Sia ben chiaro: Gesù non è un prof che ama umiliare gli studenti, come certi professoroni a scuola: è che il suo libro di testo – il Vangelo, per l'appunto – è un manuale che ti fa sempre sentire impreparato, non all'altezza, un libro che arreca il rossore sul volto per il timore che arrivi una domanda sbagliata. Eppure, cosa stranissima che non capita con nessun altro libro, nonostante questa eterna bocciatura c'è un qualcosa che ti spinge a non cestinarlo ma a continuare a leggerlo per capirlo meglio.

E' la bocciatura di questa domenica. Plateale, perchè alzi la mano chi non sa a memoria il Padre nostro? (liturgia della XVII^ domenica del tempo ordinario)Tutti lo sanno, anche chi non va in chiesa da decenni: eppure un conto è saperlo a memoria, un conto è saperlo vivere. Per la memoria siamo a posto: basta premere il tasto play come nello stereo e si arriva all'amen finale. Prova, invece, tu a recitarlo col cuore: è da provare il rossore sulle gote. E pare che la colpa di questo fastidiosissimo sentimento sia tutta in quell'aggettivo possessivo: “tua”. Fosse scritto “mia”, sai che pacchia pregare: “il mio nome, la mia volontà, il mio regno”. Eppoi il “mio pane, i miei debiti, la mia tentazione”. Sarebbe così semplice pregare, facendo della preghiera l'elogio dell'egoismo assoluto. Invece tu trovi scritto “tua” e lì nascono i grattacapi. Sai cosa verrebbe da dire? “Prof, c'è un errore nel testo”, come capitava quando, in calce ad una lunghissima espressione, il risultato scritto tra parentesi non corrispondeva al nostro. Il primo pensiero non era di dire “ho sbagliato, riprovo” ma un più lapidario “c'è un errore nel testo”. Ovviamente. Invece qui di errori proprio non ce ne sono: i santi questa “espressione” sono riusciti a risolverla e da quel giorno nessun studente può più usare la scusa più classica. O ne inventa un'altra oppure ne ritenta la sorte.

O, tutt'al più, fa come i discepoli: alza la mano per chiedere l'aiuto del prof “Signore, insegnaci a pregare”. A pregare, per l'appunto. Che è come dire: “prof, ci potrebbe svelare il trucco per capire questo libro così difficile da studiare da soli?”. Figurati, vuoi che si rifiuti? "Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?" E' il suo sogno di prof fare in modo che il discepolo cresca e divenga come il Maestro: non c'è gelosia. T'insegna che il trucco è la preghiera. Tu potresti chiederGli cosa sia questa benedetta preghiera, visto che ne hai la testa piena sin dall'asilo. E lui – magari raccontandoti la storia di Abramo mentre lotta per salvare Sodoma e Gomorra, due città che “ti raccomando!” - ti fa capire che pregare è come avvicinarsi a Dio con il nostro progetto in mano cercando di strappargli una firma di approvazione; per poi capire, nel mentre t'avvicini, che il suo progetto è tutto diverso, invece. Con l'aggravante che mentre lo ascolti scopri che il progetto giusto è il Suo. E non te ne ritorni abbacchiato; anzi, stra-felice perchè intuisci che il tuo progetto, al confronto, era lo schizzo di un dilettante.

Ecco perchè oggi Gesù raccomanda una cosa curiosa: “non sprecate parole”. Educato Lui, ma è come se avesse detto: “non pregate a vanvera!” Perchè la preghiera è prima di tutto ascolto. Per non correre il rischio di chiedere a Dio delle cose inutili e dannose per la nostra vita. Cioè è come se questa domenica ci dicesse: “ma chi ti ha insegnato a pregare in questo modo?” Hai ragione Gesù: non sei un distributore automatico: a tutt'oggi rimani un Amore da ascoltare. Per lasciarci sorprendere da Te, come ci ha raccomandato Francesco, il Papa, appena qualche giorno fa.

 

 

don Marco Pozza

http://www.sullastradadiemmaus.it

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