Il 24 marzo 1980 veniva assassinato mons. Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador. E' oggi il martire più conosciuto dell'intera America Latina, con in corso la causa di beatificazione. La giustizia al centro del suo messaggio.
del 24 marzo 2005
 ''Nessun soldato e'  obbligato ad obbedire ad un ordine contrario alla legge di  Dio. Nessuno deve obbedire ad una legge immorale. E' il  momento che obbediate alle vostre coscienze piuttosto che ad ordini immorali. La Chiesa non può rimanere in silenzio di  fronte ad un simile abominio. Nel  nome di Dio, nel nome di  questo popolo che soffre il cui pianto sale al cielo ogni  giorno più forte, io vi imploro, vi prego, vi ordino: fermate la repressione!''. La repressione non si fermò, anzi: fermarono lui. Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador, aveva 63 anni quando fu ucciso, il 24 marzo 1980, proprio mentre celebrava la messa, tra i malati dell’ospedale della Divina Provvidenza. “Se mi uccidono, so che mi uccidono a causa del Vangelo”, aveva detto. Avvenne proprio così. Oggi mons. Romero è il martire più conosciuto ed invocato dell’intera America Latina. Un processo di beatificazione che lentamente avanza, una storia strettamente legata alle vicende sociali e politiche del Sudamerica della fine degli anni settanta e dell’inizio degli anni ’80.
 
La storia di questo cristiano inizia a Ciudad Barrios di El Salvador, dove nasce il 15 marzo 1917 da una famiglia modesta. Nel 1930, a 13 anni, entra nel seminario minore di San Miguel, retto dai padri claretiani e poi, nel 1937, va nel seminario maggiore di San José de la Montana a San Salvador, retto dai gesuiti. A 20 anni, fa il suo ingresso all'Universita' Gregoriana di Roma dove poi si licenzia in teologia nel 1943. E’ qui che, in piena guerra mondiale, viene ordinato sacerdote un anno prima del conseguimento della licenza. Fa poi ritorno nella sua terra natale, dove si dedica con passione all'attivita' pastorale come parroco.
 
É nominato vescovo dell'arcidiocesi di San Salvador nel febbraio 1977, proprio quando nel paese è al culmine la repressione sociale e politica del presidente Carlos H. Romero, un generale risultato vincitore solamente grazie ai brogli elettorali. Gli omicidi di contadini poveri e degli oppositori del regime politico, come pure i massacri compiuti da organizzazioni paramilitari di estrema destra, sono il pane quotidiano del paese. Romero, che al regime appare come un “uomo di studi”, dunque uno che non avrebbe creato problemi, vede la sua vita cambiare il 12 marzo 1977, quando gli squadroni della morte uccidono il gesuita Rutilio Grande.
 
Aperta un'inchiesta sull'assassinio del padre gesuita, Romero iniziò a criticare fortemente il potere politico e giuridico di El Salvador e diventa piano piano conosciutissimo e temutissimo. Le sue messe iniziano ad essere affollatissime e le sue celebri omelie sono, oltre che pubblicate sul giornale  ''Orientacion'', anche trasmesse dalla radio della diocesi, in modo da consentirne l'ascolto anche a chi non poteva raggiungere la chiesa. Unisce il suo nome a quello di altri vescovi latinoamericani nella pubblicazione di una carta della nonviolenza (1977) e si fa sostenitore della giustizia. Una parte della Chiesa non esita, avendo paura, a prendere le distanze da Romero, giudicato troppo vicino ai contadini e ai poveri: le accuse (inviate anche al Vaticano)  sono quelle di “incitare la lotta di classe”, o di “sostenere un governo socialista di contadini e operai”.
 
Nel marzo del 1980 San Salvador è ormai sotto stato d’assedio, e la guerra contro la popolazione civile è di fatto iniziata. Il 24 marzo, alle 18.30, la violenza, che ha fatto e farà oltre 60mila morti nel paese, colpisce mons. Romero, ucciso mentre dice messa. Ucciso,verosimilmente, da alcuni uomini del clan neonazista del paese. 
 
É ora in corso la causa di beatificazione, condotta dal postulatore, il vescovo di Terni monsignor Vincenzo Paglia. La Congregazione della dottrina della Fede continua a passare al setaccio scritti, omelie e altri documenti dell'arcivescovo salvadoregno, anche perché sia accertato il fatto che il presule non fosse troppo pericolosamente vicino alle correnti marxiste della teologia della liberazione.  Il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, monsignor José Sarajva Martins, ha preferito non sbilanciarsi sui tempi, affermando prudentemente che “occorre prima di tutto analizzare bene la causa da un punto di vista storico. Si sta procedendo in questo senso, ma sulle conclusioni non si può prevedere niente”.
Daniele Lorenzi
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