Beatissimo Padre, non è questione di psicologia del profondo o almeno non credo. Sono un essere imperfetto, d'accordo, e mi farebbe bene diventare buono, tenero. Ma la ragione mi comanda altro.
Beatissimo Padre Francesco, sono tra quei pochi che hanno paura della tenerezza, e lo dicono senza troppa ostentazione, e tra quei pochissimi che considerano parte della misericordia divina anche il giudizio e l’esercizio dell’autorità, senza dei quali la persona umana, centro di relazioni impegnative e caritatevoli, si riduce alla sua identità originaria, piuttosto ferina prima di aver varcato la soglia della civilizzazione (cristiana, fra l’altro).
La osservo da giorni, beatissimo Padre, con voluttà crescente di laico innamorato della fede degli altri, di papista tendenziale. La sua simpatia è travolgente. Porto scarpe brutte, simili alle sue. Mi piacciono le novità in un mondo penosamente stagnante. Avevo scritto un anno fa delle dimissioni possibili di Ratzinger, con amore per il suo venerato predecessore, le sue fatiche pastorali e il suo aristocratico distacco di insigne pensatore cristiano e occidentale. Immaginavo per l’appunto un gesto profetico capace di ridare slancio a una chiesa in affanno con una giusta successione: lei è proprio il contrario di Ratzinger, ma è per contraddizione che procedono sia la storia sia la storia della salvezza mediante Cristo e la chiesa, immagino. In autobus un romanetto da schiaffi mi ha domandato se era lei ad avermi insegnato a “prendere i mezzi” (come si dice a Roma, la nostra città): gli ho risposto di sì, anche se non è vero, perché volevo vedere che cosa si provi ad essere umili. Per me tuttavia sarebbe istintivo scriverle ora, con poca umiltà, che “buon pranzo” non è una teologia, che il perdono, la pazienza e l’amicizia di Dio per l’uomo sono parte di un progetto della creazione non privo di una sua crudele necessità e illuminato da ingovernabili libertà che occorre disciplinare severamente, perché il mondo lo abbiamo ricevuto e fatto disordinato e impuro.
A proposito. Voi gesuiti avete in uggia sant’Agostino (parlo con rozzezza e semplifico, ho anche io compiti pastorali), e il gesuita costruttore massimo del cattolicesimo moderno e conciliare si chiamava Agostino (Bea) ma ha fatto quel che ha potuto, cioè molto, per rendere il peccato originale, specie nella versione somma della Città di Dio del vescovo di Ippona, un ferrovecchio teologico. Il cardinale Ottaviani ancora si rivolta nella tomba, quel sant’uomo perfetta icona del Vaticano I. Ora, io non voglio che l’amore per Giovanni Paolo II e per Benedetto XVI, ardente e assoluto, si trasformi in un mio losco pregiudizio verso di lei, reincarnazione di Giovanni XXIII: perché il nome Francesco è bellissimo, la volontà del Conclave inoppugnabile, il profetismo del passaggio di testimone tra due Papi viventi un significato lo ha, la sua faccia è bella e limpida, il linguaggio del corpo fantastico, il sorriso magico e caldo, l’occhio quando vuole anche cattivo, la voce morbida e autorevole, le parole ben scelte, le frasi ben costruite, l’ordine conquistatore da cui lei proviene è trucemente santo con il suo eroismo missionario e le sue ambizioni dell’intelligenza e la sua doppiezza morale e la sua abilità educativa e politica, tutte qualità smodate di gente libera e liberamente obbediente (che grande ossimoro vivente, i padri gesuiti di cui lei fa parte).
“Abortar es matar”, lei ha detto, “matar a quien no puede defenderse”. Bene. Mettiamo la tenerezza, che in sé amo anch’io, alla prova dell’intelligenza morale, senza la quale ogni bontà autentica è spenta nell’ipocrisia. Il creato comprende il concepito. Vorrei sentirle dire questa cosa in cui so che lei crede profondamente, non per litigare con il mondo ecologista per tutto tranne che per i non ancora nati, come presuntivamente faceva la teologia fides et ratio dei suoi predecessori, non per imporre in modo arrogante la visione della chiesa agli altri, a quelli che vivono extra muros. Ma per definire secondo il concetto cristiano, come contributo univoco, non doppio, alla cultura e alla fede del nostro tempo, la persona umana, frutto di un doppio atto d’amore, quello creativo di Dio e quello creativo dell’uomo e della donna. Le auguro, beatissimo Padre, di dissipare gli equivoci e di alimentare l’amore che sta suscitando nel mondo con l’olio santissimo della linearità, della chiarezza e della verità. Nel mondo gli ultimi decenni, quelli centrali delle nostre vite, hanno un tratto di peccato inguardabile: oltre un miliardo di aborti volontari effettuti nella più completa sordità morale. Lei può essere il Francesco che provvidenzialmente fa cadere anche solo il residuo di una condanna delle donne che abortiscono, ma allo scopo di catturare l’amore naturale per la vita e reimporlo sulla scena delle società libere e, come diceva il cardinale Biffi, sazie e disperate.
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