Nota. Khalil Gibran, padre di Gibran, esattore delle tasse. Un uomo affascinante ma dal carattere ruvido ed ottuso. Dedito ali alcol, maltrattava moglie Kamelé e i figli. Rimase in Libano, quando i suoi familiari emigrarono nel Nuovo Mondo nel 1895. fine nota.
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A Micheline.
Nota. Emelie Michel (Micheline), affascinante docente francese, conobbe l'autore nel 1904 durante l'inaugurazione di una mostra di opere di Gibran, allestita da Mary Haskell, preside della scuola dove insegnava. Il loro amore sbocciò nel 1908 a Parigi, ma terminò dopo un breve periodo perché Gibran rifiutò di assumersi la paternità del figlio che lei aspettava.
Baalbeck è una città situata nel nord-est del Libano ed è nota per i suoi templi, che risalgono all'epoca dell'antica Roma. Fine nota.
Ho creato un racconto immaginifico che ha come palcoscenico il tempio di Baalbeck e come contenuto un antico amore germogliato tra il figlio di un sacerdote della dea Ashtarout e la soave giovane Micheline. E quell'amore si è rinnovato nei vari secoli. I due innamorati sono morti e rinati in nuovi corpi e nuove circostanze, però si sono sempre incontrati per completare il sacro canto dell'amore.
I due protagonisti sono Khalil Gibran e Micheline ed il racconto avrà il titolo: «Le ceneri dei secoli e il fuoco eterno». I secoli bruciano e si tramutano in cenere mentre il fuoco dell'amore rimarrà scoppiettante con le sue infinite scintille. Micheline, hai riempito il mio cuore con il tuo amore ed esso sta per straripare. Lascia che le mie lacrime e le mie parole costituiscano la risposta ai tuoi occhi».
1909.
Micheline, Micheline, Micheline, hai posseduto il mio cuore e le chiavi della mia immaginazione. Se sono contento, lo sono a causa tua e se sono triste, lo sono a causa tua.
Nel tuo amore sono diventato vecchio, e nel tuo amore sono tornato fanciullo. Non ricordavo il giorno in cui ero nato, ma tu hai trasformato il mio compleanno in una festa degna degli angeli. Hai comprato con gli ultimi spiccioli della tua tasca un fiore per regalarmelo nel giorno del mio compleanno ed hai instillato in esso il soave profumo della divinità che promana dal tuo cuore.
Quando prendevo con le labbra un pasticcino dalle tue labbra, gustavo la dolcezza dell'esistenza. E oggi, quando mi sveglio, la fragranza divina non è più emanata nella mia stanza dai fiori del tuo amore. E gli uccelli del tuo cuore non volteggiano sopra la mia testa né cinguettano nelle mie orecchie. Nella mia bocca c'è l'amarezza della nostalgia. E intorno a me viaggiano i fantasmi dei tuoi dolori e dei miei affanni. Ho causato danni enormi a te e alla mia anima, Micheline. All'inizio provavo gusto nell'umiliare la tua tenacia, ma poi sono diventato tuo ostaggio con la mia sensibilità, volontà ed immaginazione. Inizialmente ti avevo considerata un sollazzo, mentre oggi sono preoccupato per te. Ho cercato di prendere senza dare. E tu mi davi senza pensare ciò che prendevi da me.
Sì, ho fatto del male imperdonabile a te e alla mia anima, quando ho permesso che nella mia vita entrasse un'altra donna. Ho accettato di chiedere l'elemosina alla sua tasca e alla sua mente, ma nel frattempo prendevo dal tuo cuore, dalla tua carne e dal tuo sangue.
Ti ho sentita quando mi hai chiesto della donna che mi dava i soldi per studiare a Parigi. Ti ho risposto che non esisteva un'altra donna. E che avevo preso il denaro in prestito da alcuni parenti ed amici. Il tuo cuore ha vinto sulla mia lingua quando ha percepito che esisteva un'altra donna nei meandri della mia vita. Quanto è sincero il tuo cuore e quanto è menzognera la mia lingua! Magari ti avessi confessato tutto, così questi fantasmi neri e spaventosi non mi accompagnerebbero oggi e non opprimerebbero il mio cuore, lasciandomi senza respiro.
Vieni, Micheline, vieni o spirito del mio spirito e cuore del mio cuore. Vieni e dimmi che hai perdonato tutti i miei peccati. E io mi pentirò di tutto. Vieni, Micheline, altrimenti ti strapperò dal mio cuore anche se dovrò strappare il mio cuore affranto con te.
A Mikhail Naimy.
Nota. Mikhail Naimy (1889-1988), mente poliedrica romanziere e saggista libanese di vasta cultura conoscitore anche di russo e d inglese era amico e confidente di Gibran. Nel 1920 fondo con lui a New York l’Arrabitah al Kalamie che diede vita alla letteratura dell’esilio (Adab al-mahgiar). Fine nota.
Boston, 1921.
Mio fratello Misha, da quando sono arrivato in questa città girovago da un medico specializzato ad un altro.
E passo da una visita specialistica ad un'altra. Tutto ciò è accaduto perché questo cuore ha perso il suo metro e la sua rima.
E tu ben sai, Mikhail, che il metro di questo cuore non era in sintonia con altri metri e che la sua rima non era simile alle loro rime.
E sì, come il metro dipende dal cuore, così l'ombra dipende dalla verità.
Era inevitabile che questo cumulo di sensazioni nel mio petto si dovesse trovare in sintonia con la nebbia tremante nello spazio che chiamo l"'Io".
Va bene, Misha, ogni cosa è decisa dall'Eccelso e così deve essere, però io sento che non posso lasciare la coperta di questo monte* prima dello spuntare dell'alba.
E l'alba getterà un velo di luce e di splendore su ogni cosa. Non so quando tornerò a New York. I medici mi consigliano di non tornare finché non mi rimetterò completamente. E mi dicono che devo andare in campagna e devo arrendermi alla vita semplice, priva di ogni pensiero e ogni turbamento. Ciò significa che mi chiedono di tramutarmi in un cavolfiore in un campo oppure di trasformarmi in una pianta selvaggia. Mikhail, cosa posso fare se mi trovo in questa condizione? Chi non può cucire un nuovo abito, deve rattoppare gli abiti vecchi.
Boston, 7 settembre 1924.
Mio caro Misha,
da giorni sono ostaggio in questa tetra e cupa stanza; adesso mi sono alzato dal mio giaciglio per scriverti alcune righe. Tu sai che quando ho lasciato New York, ero malato e ancora continuo a lottare contro il veleno che ha invaso il mio stomaco. E se non ci fosse questo grave impedimento, non tarderei nemmeno un istante a recarmi alla cerimonia dell'inaugurazione dell'orfanotrofio. Misha, tu sai che se anche il lavoro gravasse su di me, non avrebbe mai potuto impedirmi di assentarmi per due o tre giorni per assistere all'apertura del più nobile Istituto siriano eretto negli Stati Uniti d'America.
Ti prego di riferire al Patriarca le mie più sentite scuse e di spiegargli il motivo che mi ha drasticamente impedito di partecipare al grande evento.
A Nakhlé.
Nota. Nakhlé Gibran, cugino ed amico d'infanzia di Gibran, emigrò in Brasile, dove si dedicò al commercio. Nelle numerose lettere inviategli da Gibran, notiamo il comune attaccamento alla terra natia Bcharré. Fine nota.
Boston, 15 marzo 1908.
Mio caro cugino Nakhlé,
ho ricevuto la tua lettera, che ha reso la mia anima felice e allo stesso tempo triste. Essa mi ha fatto tornare alla memoria le immagini di quei giorni dell'infanzia che sono spariti come sogni.
E di essi non sono rimasti che cupi e mesti fantasmi che arrivano con la luce del giorno e partono con il buio della notte.
Può darsi che il mio modo di conservare i fantasmi dei giorni tramontati sia la causa della mia mestizia e del mio ripiegamento su me stesso. Però se potessi scegliere, non cambierei la mestizia del mio cuore con tutte le gioie del mondo.
1908.
Mio caro cugino Nakhlé,
quanta nostalgia nutro e quanto desidero stringerti al mio petto.
O Nakhlé, dove sono sparite le notti in cui Boutros era vivo, dove sono volate quelle ore che Boutros riempiva con la dolcezza dei suoi canti e la sua persona?
Sono tramontati quei giorni, quelle notti e quelle ore come i fiori che appassiscono quando l'alba scende dallo spazio grigio.
Io so che il ricordo di quei giorni ti fa commuovere ed ho intravisto le ombre dei tuoi sentimenti tra le righe della tua lettera come se fosse arrivata dal Brasile per risvegliare nel mio cuore gli echi delle valli, delle colline e il mormorio dei ruscelli che circondano Bisharri. Mio caro Nakhlé, la vita è simile alle quattro stagioni. L'autunno cupo arriva dopo la gioiosa estate. E l'inverno rabbioso arriva dopo l'autunno mesto. E la bella primavera appare con la morte del terribile inverno. Nakhlé, tu sai che Gibran spende la maggior parte della vita nello scrivere e considera una delizia magica scrivere alla persona che ama maggiormente. Sai anche che Gibran da fanciullo amava Nakhlé e che ora non può dimenticarlo.
E adesso lasciami mettere un velo sul volto del passato e permettimi di parlarti del mio presente e del mio futuro, perché so che desideri essere messo al corrente di come sta quel ragazzo che amavi. Ora io sono debole di costituzione, però la mia salute è buona perché non penso ad essa né trovo il tempo di occuparmene.
Io amo il caffè e le sigarette. Se venissi adesso, Nakhlé, ed entrassi in questa stanza, mi vedresti circondato da una nuvola di denso fumo e sentiresti l'aroma intenso del caffè saudita.
Io amo il lavoro, Nakhlé, e non permetto a me stesso di essere inattivo nemmeno per un minuto.
I giorni in cui la mia anima sarà addormentata e la mia idea sarà pigra, saranno più amari e più aguzzi dei denti dei lupi.
Spendo la vita tra lo scrivere ed il disegnare, traendone enorme piacere.
La fiaccola azzurra che alimenta i miei sentimenti vuole indossare un abito di inchiostro e di carta.
Non so se il mondo arabo rimarrà mio amico come è stato negli ultimi tre anni oppure se si trasformerà in un acerrimo ed orribile nemico. Dico ciò perché i primi segnali dell'inimicizia sono già apparsi dietro le nubi. I Siriani mi chiamano ateo e i letterati egiziani mi criticano definendomi nemico delle vecchie norme, usi e costumanze nonché dei rapporti familiari.
O Nakhlé, questi scrittori dicono la verità. Infatti dopo aver interrogato la mia anima, ho constatato che odia le norme stabilite e le tradizioni lasciate dagli avi. E questo odio è causato dal rispetto che provo per lo spirito, che dovrebbe essere l'ispiratore di ogni legge sulla Terra perché è l'ombra dell'Eccelso nell'uomo.
Sono anche consapevole che i principi sui quali costruisco i miei scritti sono condivisi dalla maggioranza degli abitanti di questo mondo perché il desiderio di indipendenza spirituale alberga nella nostra vita ed occupa la medesima posizione che il cuore ha nel corpo.
I miei insegnamenti godranno di una giusta considerazione nel mondo arabo oppure scompariranno come l'ombra? Può Gibran vietare agli uomini di guardare i teschi e le spine e di volgere lo sguardo verso la luce e il giusto?
Oppure Gibran sarà come molti che vengono al mondo e tornano all'Eternità senza lasciare dietro di sé qualche cosa che li ricordi? Non posso rispondere, però sento una forza nella mente e nel profondo del petto che desidera uscire ed uscirà con i giorni, se il Cielo vuole.
Ho una notizia importante: all'inizio di luglio partirò per Parigi, dove raggiungerò la commissione dei pittori e rimarrò un intero anno; poi tornerò di nuovo in questo Paese colmo di arcani. Questo viaggio sarà faticoso, ma allo stesso tempo segnerà l'inizio di una nuova vita.
Ti prego, Nakhlé, di ricordarmi a cena quando sarete tutti riuniti intorno ad un succulento banchetto. Ricordati che hai un cugino che si chiama Gibran, il cui cuore nutre un forte amore verso ogni membro dell'amata famiglia. Anche mia sorella Miriana invia saluti fraterni. Ho letto la tua commovente lettera dinanzi a lei che è rimasta molto contenta e non ha potuto nascondere le lacrime.
Ti auguro tanta salute e rinnovo il mio amore fraterno.
Parigi, 27 settembre 1910.
Mio amato fratello Nakhlé,
ricordi quei piacevoli racconti che sentivamo durante i giorni d'inverno accanto allo scoppiettante focolare mentre la neve cadeva a fiocchi e i venti ululavano tra le case? Ti ricordi quel racconto che narra l'esistenza di un giardino ricco di alberi splendidi e dai buoni frutti? Ti ricordi che alla fine del racconto si narra che quegli alberi magici si tramutavano in giovani e uomini che il destino aveva condotto in quel fatato giardino? Certamente tu ricordi tutte queste cose, però non sai che Gibran è simile a quei giovani stregati ed è legato con catene pesanti ed invisibili.
Nakhlé, io sono un albero stregato e finora non è venuto il Gin dei sette mari per sciogliere le mie catene, slegare i lacci annodati dalla magia e rendermi albero maestoso. Da due giorni ho comprato un biglietto di viaggio per New York e il giorno quattro del prossimo mese lascerò Parigi e tutto ciò che mi attrae in essa.
E adesso io sono occupato ad ordinare i miei lavori e Dio sa che sono simile ad una ruota che gira notte e giorno intorno ad essi. Così il cielo si prende gioco di me e così il destino mi fa camminare intorno ad un punto conosciuto e disegnato nell'alto dei cieli, che non posso evitare.
La tua lettera è arrivata questa mattina e da allora io penso, penso e penso, però non so cosa devo fare.
Nakhlé, puoi aiutarmi? Tutto ciò che ti domando è di condividere i miei sentimenti, di avere fiducia in me e di credere che sono prigioniero delle circostanze e del destino.
Io non mi lamento della mia fortuna, Nakhlé, però desidero cambiare la mia situazione attuale con un'altra perché ho scelto la vita letteraria e sono consapevole di quanti dolori comporta.
Medita un po', o Nakhlé, sulla vita di Gibran; ti renderai così conto che essa è piena di lotta e combattimenti ed è simile ad una catena di difficoltà e disgrazie.
Dico ciò anche se sono enormemente paziente; anzi, sono contento di incontrare difficoltà perché desidero superarle. Se non esistessero le difficoltà, non ci sarebbero la lotta e il lavoro e la vita diventerebbe povera, noiosa e fredda.
Boston, 23 aprile 1912.
Mio caro Nakhlé,
come stai o luna? Sei contento a Parigi? Godi della sua grandezza e beltà? Stai frugando i suoi arcani per svelare le sue caratteristiche e i suoi misteri? Parigi, Parigi, Parigi, palcoscenico delle arti e del pensiero e culla dell'immaginazione e dei sogni.
A Parigi sono nato un'altra volta e lì bramo trascorrere ciò che mi rimane della vita.
Però mi auguro che troverò sepoltura nella mia terra natia. Se il destino sarà con me clemente e mi farà realizzare alcuni sogni che mi volteggiano nella testa, potrò tornare a Parigi per nutrire il mio cuore affamato e per dissetare il mio spirito assetato. Allora potrò finalmente riunirmi a te, Nakhlé, per assaporare il magico e fragrante vino.
La mia vita a New York è come una ruota che notte e giorno è girata da mani invisibili.
I miei lavori sono numerosi, i miei sogni sono grandi e la mia avidità è formidabile, tanto da destarmi paura poiché sale verso le elevatezze del cielo e fa scendere la mia anima fino agli abissi dell'inferno.
Coloro che si fermano nel momento più sacro della vita, conoscono la verità della felicità perfetta e la miseria totale. Essi bevono solitari il fato dalla coppa della vita e la vita dalla coppa della morte e io sono come uno di loro.
Al Padre.
Nota. Khalil Gibran, padre di Gibran, esattore delle tasse. Un uomo affascinante ma dal carattere ruvido ed ottuso. Dedito ali alcol, maltrattava moglie Kamelé e i figli. Rimase in Libano, quando i suoi familiari emigrarono nel Nuovo Mondo nel 1895. fine nota.
Beirut, 5 aprile 1900.
Mio signor padre,
con il rispetto che vi devo come figlio, bacio le vostre mani. Ho ricevuto la vostra missiva, nella quale mi esprimevate la vostra ansia e la vostra preoccupazione riguardo ad una notizia inattesa e al contempo dolorosa.
Questa notizia poteva lasciare nei miei sentimenti un segno indelebile, se non avessi conosciuto le intenzioni malefiche dello scrivente e il suo obbiettivo nell'inviarla. Che l'Onnipotente lo perdoni. Vi comunicano che una grave malattia ha colpito mia sorella, e che il costo delle cure è elevatissimo. Dicono anche altre bugie maliziose e montate ad arte.
Vi raccontano che gli acciacchi e l'alto costodella vita hanno colpito la nostra dimora e perciò non siamo in grado di far fronte nemmeno alle nostre spese quotidiane.
Per questo motivo sarà difficile mandarvi soldi. Tutto ciò è frutto dell'intelligenza del nostro amico che ha inviato una lettera contenente brutte notizie alla benedetta consorte di nostro zio, che è maestra nell'arte di tessere e ingigantire storielle commoventi e al contempo divertenti.
Ho trovato all'istante una spiegazione per questa situazione. Ho scoperto che la lettera è arrivata il primo di aprile! In essa è scritto che mia sorella è ammalata da sei mesi. Le sue immaginifiche parole sono lontane dalla verità quanto noi siamo lontani da lei.
Negli ultimi sette mesi ho ricevuto cinque lettere da Mister Ray, nelle quali mi assicura che le mie due sorelle, Miriana e Sultana, godono di ottima salute. Egli esalta i loro bei caratteri e si sofferma nel dire che Sultana mi assomiglia come temperamento e comportamento. Queste parole sono state scritte da un uomo onesto e sincero, da un essere che detesta aspramente gli scherzi e i racconti montati che rattristano il cuore.
State tranquillo e con la mente serena. Imploro Dio che allunghi la vostra vita, mio signore, per vostro figlio Gibran.
Khalil Gibran.
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