Botta e risposta tra due pensatori, Vito Mancuso e Pierangelo Sequeri, attorno a un tema chiave del dogma cristiano e della vita in ogni tempo.
MANCUSO
«Ogni processo vitale è Logos + Caos»
Caro direttore,
la ringrazio molto per l’opportunità di chiarire il mio pensiero sul peccato originale dopo le critiche mossemi da Gianni Gennari in seguito alla mia partecipazione alla trasmissione tv Che tempo che fa. Tralascio il sarcasmo di cui sono stato oggetto e anche l’accusa di liquidare con leggerezza un dogma tanto importante quale quello del peccato originale per il semplice motivo che sull’argomento ho scritto molto e tenuto lezioni, e mi concentro piuttosto sulla sostanza del dogma e delle mie critiche.
Per favorire la chiarezza ricordo, rifacendomi all’autorevole manuale dei gesuiti Flick e Alszeghy, quanto il dogma sostiene: «Adamo peccando ha trasmesso a tutto il genere umano il peccato che è morte dell’anima», così che «tutti i figli di Adamo vengono concepiti in uno stato di vera inimicizia con Dio, uno stato di morte spirituale». È questo il nucleo del dogma cattolico nella sua articolazione di peccato originale originante e peccato originale originato, espresso dal Decretum de peccato originali del Concilio di Trento del 1546 che riprende le decisioni del sinodo di Cartagine del 418 e di quello di Orange del 529. Non si tratta quindi semplicemente del fatto che l’umanità sia «un legno storto» (cosa che molti in tutti i tempi hanno messo in rilievo), ma molto più radicalmente del fatto che tale stortura sia dovuta a un peccato del primo uomo e che tale peccato si trasmetta nelle sue conseguenze a tutti gli esseri umani, i quali quindi nascono peccatori per il semplice fatto di nascere come dichiara il Tridentino con il dire che il peccato è «propagatione, non imitatione, transfusum», non dipende cioè dalla libertà ma dalla natura, recependo il pensiero del tardo Agostino per il quale l’intera umanità era massa damnata.
Di contro a tale dogma, io sostengo che il centro del cristianesimo ci impone di ritenere che non vi è nessuna inimicizia tra Dio e il bimbo che nasce, e che quindi il dogma del peccato originale va riscritto in termini di “caos” originale, intendendo con ciò la condizione umana bisognosa di disciplina a causa dell’oscura forza distruttiva che essa può avere. Sostengo, in altri termini, che il centro del cristianesimo consiste in un tale legame tra Dio Padre e l’umanità da rendere insostenibile l’idea che gli uomini siano peccatori agli occhi di Dio per il fatto stesso di essere uomini, idea che considero un’offesa alla creazione e alla paternità divina. E con ciò ritengo di non vanificare in nessun modo il dramma del male e del peccato, ma solo di evitare per esso una falsa soluzione.
L’oscura forza distruttiva che può apparire nella natura umana non dipende infatti da un inesistente peccato originale (l’esegesi insegna da tempo che Adamo è un personaggio mitico simbolo dell’umanità) ma dalla natura in parte caotica dell’essere creato, come diffusamente argomento nel mio ultimo libro, Il principio passione, presentato domenica sera in tv rispondendo alle domande per nulla compiacenti di Fabio Fazio. Penso cioè che occorra liberarsi dall’insostenibile mito della perfezione iniziale (che porta necessariamente a bollare l’imperfezione attuale dell’essere e dell’uomo come frutto di un peccato) e concepire piuttosto la creazione nella prospettiva della creazione continua come un processo di plasmazione dell’iniziale energia caotica da parte della divina armonia relazionale. Logos + Caos: è questa la formula che sa rendere conto della contraddizione insita nel processo vitale, uomo compreso, senza colpevolizzare nessuno. Ben lungi dallo scaturire da un peccato, il disordine del mondo è intrinseco all’essere quale procede dall’originario atto creativo e il peccato dell’uomo non produce il caos ma al contrario lo manifesta. Perché si dia peccato infatti vi deve essere libertà consapevole («piena avvertenza, deliberato consenso»), ma la libertà a sua volta è tale solo se c’è possibilità di scelta, se cioè non si è determinati ma indeterminati, e questa indeterminazione originaria si chiama caos. Il caos quindi è prima del peccato, è la condizione ontologica per il darsi del peccato in quanto atto negativo della libertà.
ennari cita contro di me «Agostino, Tommaso, Lutero, Pascal, Spinoza, Kant, Hegel». Direi che si tratta di una sequenza abbastanza imbarazzante. Mentre infatti non ci sono dubbi che i primi quattro abbiano sostenuto il dogma del peccato originale, la situazione è esattamente opposta per Spinoza che poneva l’essenza dell’uomo nel desiderio (Etica, IV, 18), per Hegel che commentando Genesi 3 scrive che «l’uscire fuori dalla naturalità è l’elevatezza che Dio stesso qui esprime» (Lezioni sulla filosofia della religione, II, 2) e per Kant secondo cui «comunque possa essere l’origine del male morale nell’uomo, è certo che fra tutte le maniere di rappresentare la diffusione del male e la sua propagazione in mezzo a tutti i membri della nostra razza e a tutte le generazioni, la più sconveniente è quella di rappresentarci il male come una cosa che ci viene per eredità dai nostri primi progenitori» (La religione nei limiti della sola ragione, I, 4).
Kant, che credeva in Dio e nella vita eterna, aveva ben chiara la potenza e il dramma del male, ma sapeva altresì che il dogmadel peccato originale, ben lungi dall’essere una soluzione per l’origine del male, in realtà aggrava il problema creando quel «disagio dell’intelligenza» denunciato da Simone Weil nel cristianesimo. Oggi sono in molti tra i teologi e tra i fedeli ad avvertire tale disagio verso il dogma del peccato originale, sia in quanto peccato originale originante sia in quanto peccato originale originato, anzitutto a causa dell’inesistente fondamento biblico dimostrato dal fatto che l’ebraismo (da cui proviene Genesi 3) non conosce nessun peccato originale. Ma a prescindere dalle molte altre aporie che elenco nei miei scritti e che qui non mi è possibile richiamare, chiedo chi di noi creda ancora che i bambini nascano in uno stato di inimicizia con Dio, morti alla vita spirituale; chiedo chi di noi creda che i non battezzati siano morti alla vita spirituale e che quindi le virtù di Gandhi, Martin Buber, Etty Hillesum e di tantissimi altri giusti siano solo, come sosteneva Agostino, splendida vitia. È questa la domanda a cui chi sostiene ancora il dogma del peccato originale deve poter rispondere.
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SEQUERI
«Troppo comodo scaricare la colpa»
Caro direttore,
aderisco volentieri all’invito di interloquire con le puntualizzazioni di Vito Mancuso a riguardo della sua posizione sul tema del peccato originale. Mi permetto anzitutto un’osservazione sull’ambivalenza dell’approccio critico, che Mancuso rivendica, di per sé giustamente, come qualità necessaria dell’impresa razionale della teologia (citando Joseph Ratzinger!). Mancuso si propone di denunciare «l’insostenibilità» del nucleo centrale del dogma, che sarebbe in aperto contrasto con la dignità di Dio e dell’uomo. Ma, al tempo stesso, propone che esso venga «riscritto», dato che concerne pur sempre una drammatica verità del male e del peccato che egli, in quanto teologo, non vuole in alcun modo vanificare. Mi pare francamente una mossa a effetto. Lo capisco, il tempo si è fatto difficile e il mondo è cattivo (appunto): se vuoi parlare del cristianesimo e non esibisci anzitutto un gesto liquidatorio del dogma, poi non te lo lasciano neanche interpretare o trascrivere. (Come anche Mancuso ci spiega nel finale, se rientri nel club dei sottomessi esci da quello degli intelligenti). Prendiamoci il rischio, e proviamo a vedere l’intelligenza.
La denuncia dell’insostenibilità del dogma argomenta la necessità di contrastare la sua idea centrale, ossia che gli uomini siano peccatori agli occhi di Dio «per il fatto stesso di essere uomini». Questa semplificazione, che intende riassumere il nucleo della dottrina, non è leale. Questa equivoca forzatura è propria del dualismo gnostico, semmai, al quale il cristianesimo si è duramente opposto fin dall’inizio.
L’idea della struttura peccaminosa della creatura, che riconduce infine a un «dio maligno», rimane nella variante-Mancuso, che parla della natura umana come precario impasto di un «caos originario», in cui lavora un’oscura «forza distruttiva», al di sotto e al di là di ogni profilo morale (quello più degno dell’uomo, quando si discute del male). È perciò curioso – oltre che “sbagliato” – che, pur sostenendo questa naturalizzazione del peccato e del male nell’uomo, Mancuso rimproveri questa «scandalosa» dottrina al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento, in verità, che fronteggia proprio su questo punto il radicalismo agostiniano del protestantesimo, condivide l’idea di una corruzione della natura umana, ma resiste fermamente all’idea della corruzione come natura dell’uomo. L’ingiustizia del male è una faccenda fra l’uomo e Dio: non va divinizzata, né naturalizzata. Certo, anche la catechesi, maneggiando talora maldestramente i registri narrativi della rivelazione e quelli metafisici della tradizione, ha accumulato eccessi di semplificazione, che sono diventati altrettanti motivi di grave fraintendimento. Non per questo dobbiamo buttare il bambino con l’acqua del battesimo, come fosse un piccolo mostro.
Nonostante tutto (ossia nonostante noi), «i loro angeli vedono Dio» dice Gesù. Il quale, però, ci ha pure trafitti con quella sua famosa e trascurata doppia sentenza. La prima è questa: «Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono». E poi: «Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più Dio». Se anche non vogliamo perderci nelle difficili interpretazioni del mito e della metafisica, ce l’abbiamo già tutta qui, in chiaro, la rivelazione del peccato originale. Insieme con il suo antidoto, sul quale non mi dilungo.
Infine, sembra essere proprio la nominazione della profondità del male come peccato, che ci rende così suscettibili, noi moderni. Certo, capisco che ereditare «il caos» sembra suonare meglio che non ereditare «il peccato». Lo dice esplicitamente Mancuso: «Logos + Caos: è questa la formula che sa rendere conto della contraddizione insita nel processo vitale, uomo compreso, senza colpevolizzare nessuno». Ecco la parola magica. Noi non vogliamo condividere nessuna colpa di qualcun altro. Anzi, non vogliamo essere colpevolizzati e basta. Siamo caotici, siamo irrazionali, siamo pure bestiali. Ma quando ci mettiamo dalla parte della Legge e del Logos, della disciplina e della ragione, non vogliamo essere colpevolizzati da nessuno. Tanto meno da Dio, che semmai ha molto da farsi perdonare da noi. Non che ci sia un qualche senso, in (quasi) tutto questo. Figuriamoci. Non siamo così sottomessi da non capirlo. Eppure quel tanto di accecamento che sta racchiuso in questa nostra presunzione, dovrebbe renderci più pensosi. L’oscura rivelazione del peccato che sta all’origine, ed è tramandato di generazione in generazione fino a noi, accende una luce su ciò che non vediamo, anche quando ci sentiamo illuminati a giorno.
L’uomo moderno alza il suo ditino fino al cielo, non solo perché sofferente del male, ma anche perché indignato per l’aliena e ingiustificata incursione del male nella nostra vita. L’impotenza non è una colpa, certo. Ma lo scandalo del male che è perfettamente in nostro potere evitare, non è il vero (e scandaloso) enigma? Noi facciamo il male, ogni giorno, a mente lucida e anche senza alcun tornaconto. Da quale delirio di onnipotenza si leva il nostro ditino innocente? E quale viltà ci impone di chiamarci fuori dalla colpa in cui siamo avvolti, come genere umano, soltanto per il fatto che non noi precisamente abbiamo fatto questo o quello, che pure ci appare «indegno» dell’uomo, e ci fa giustamente «vergognare» di appartenere alla stessa umanità? Non dovremmo incominciare di qui, a ragionaresulla nostra autonomia, e sul caos e sul logos?
Ma c’è di più. Tutto questo avviene anche dalla parte della ragione, non solo del caos. E persino dalla parte della religione, e non solo dell’incredulità (come dice esattamente Paolo: fuori e dentro la Legge).
Non conosciamo forse una lucida burocrazia del male, tutta legge e ordini che non si discutono? Non calcoliamo forse a tavolino, con razionale economia, la quota di esseri umani destinati a morire di fame per mancanza di risorse? La carestia, forse, non dipende da noi. Ma le risorse? Non si crocifiggono ancora umani in nome di Dio? Non si sacrificano umani in nome del progresso, del benessere, del pensiero illuminato – e dogmaticamente irrevocabile – su ciò che è degno o indegno di vivere? Non siamo diventati un po’ vili, quando mendichiamo comprensione alla patetica ideologia delle pulsioni, degli ormoni, dei neuroni e dei geni, perdendo l’intelligenza della grandiosità e della profondità “ontologica” della storia: ossia della drammatica morale in cui si decidono la realtà e la giustizia di quello che siamo e saremo? Non siamo un po’ cinici, quando protestiamo la nostra innocenza soltanto perché noi non abbiamo fatto niente (appunto)? E come riusciamo, senza arrossire, a mettere in carico al caos primordiale anche tutta la vergogna della nostra presunta impotenza, e a merito del logos moderno anche tutto il nostro delirio di onnipotenza?
Di tutto questo tratta il dogma del peccato originale, comunque, se lo si vuole realmente indagare. (Caro Vito, lo so, il nostro è un mestiere difficile. Ci tocca dar retta senza fiatare a un racconto “razionale” delle origini che parla di scimmioni che si sono inventati “dio” dopo una rissa per una questione di donne andata a male, e poi essere rimproverati di ascoltare ancora il “mito” biblico del bellissimo e drammatico primo incontro dell’uomo con Dio. Hanno studiato Kant, l’illuminato, che lo pasticcia, e non hanno neppure letto la Parola, che ci rischiara. Ti chiedo francamente: a chi e a che cosa siamo sottomessi, realmente, se accettiamo quel piatto di lenticchie in cambio dell’obbedienza della fede? E con quale vantaggio, per la comune intelligenza della fatica di essere umani?).
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