Perché è bello fare il prete?

La testimonianza di Padre Piero Gheddo: "Chiedo a Dio di non far diminuire in me la passione per il Regno di Dio che ho sperimentato fino ad oggi"...

Perché è bello fare il prete?

 

Nell’udienza generale del 4 marzo scorso,  Papa Francesco ha parlato a lungo degli anziani e ha detto: “Gli anziani sono una ricchezza. Una civiltà si giudica dal come tratta gli anziani… andrà avanti se saprà rispettare la saggezza degli anziani. Una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani, porta con sé il virus della morte”. Io ormai appartengo alla “terza o quarta età” e ho anche la fortuna di poter scrivere,.. Lasciatemi dire tre esperienze della mia vita.

 

A Tronzano vercellese, una domenica del marzo 1929, mentre a mezzogiorno rintoccavano le campane dell’Angelus, la maestra Rosa Franzi, moglie del geometra Giovanni Gheddo, dava alla luce il suo primogenito, Piero. Non è una notizia da internet, ma la comunico per condividere con gli amici lettori i sentimenti di un uomo che, sentendosi ancora giovane, compie 86 anni ritenendosi fortunato. Per tre motivi:   

 

1) perché mamma e papà, e poi tutta la nostra “grande famiglia”, mi hanno trasmesso la fede e con i loro esempi lo spirito e la vita cristiana; ho poi scoperto il valore salvifico della fede in Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo e dell’umanità: la fede cambia il cuore, cambia la vita, comunica la gioia di vivere, anche nelle situazioni più difficili e dolorose; insomma, se la fede è autentica e porta all’imitazione di Gesù, diventa davvero il motore della vita umana. Perché Gesù Cristo è l’uomo nuovo secondo la volontà di Dio, che realizza tutte le aspirazioni umane e dell’umanità.

 

Nel 1985 sono stato la prima volta in Giappone e mi è capitato di visitare la sede centrale della “Soka Gakkai”, una setta derivata dal buddismo che pare abbia un buon seguito anche in Italia, con l’arcivescovo di Milano card. Carlo Maria Martini, il suo segretario e il mio confratello padre Pino Cazzaniga, allora in Giappone da circa vent’anni. La maestosa e imponente sede centrale della “Soka Gakkai” (che significa “Società creatrice di valori”), espressione del buddismo moderno, è una specie di Vaticano molto esteso con palazzi, giardini, case di abitazione, strutture per lo studio, la riflessione, gli incontri di massa. Tutto ricco e moderno, direi impressionante. I due dirigenti che accolgono e accompagnano il cardinale spiegano cosa è la Soka Gakkai ed esprimono concetti in gran parte condivisibili. Ma al termine della visita il card. Martini ci diceva: "Il buddismo è interessante come tutto il mondo non cristiano al quale le missioni cattoliche annunziano Cristo, ma la sfida al cristianesimo e alla Chiesa cattolica si gioca soprattutto di fronte alla secolarizzazione, al relativismo, individualismo e ateismo consumistico della modernità. Tutti i popoli cercano Dio e anche i giapponesi, come gli altri popoli, faranno scelte come noi occidentali: saranno atei o cristiani". Noi che abbiamo ricevuto la fede in Gesù Cristo, la nostra vita ha uno scopo preciso... impegniamoci a mantenerla con la preghiera e l’aiuto di Dio, perché è l’unica e vera ricchezza che abbiamo.

 

2) Mi ritengo un uomo fortunato, perché, quando i miei genitori si sono sposati nel 1928, hanno pregato per avere tanti figli (papà diceva che ne volevano 12) e che almeno un figlio si facesse prete e una figlia suora; che poi non è venuta perché mamma Rosetta, dopo tre figli maschi (Piero, Francesco e Mario), è morta nel 1934 di polmonite e di parto: con i due gemellini di cinque mesi che in un paese, a quel tempo, non potevano essere salvati.  Dio mi ha chiamato fin da bambino e lo ricordo bene. Quando avevo 8-9 anni, a chi mi chiedeva cosa farò da grande rispondevo deciso: il prete! Gli adulti si stupivano, ma non ho mai avuto altra aspirazione nella vita e ne ringrazio Dio e i genitori. Oggi, a 86 anni e 62 di sacerdozio, posso dire che è bello fare il prete e quando mi capita dico ai ragazzi, ai giovani: se Dio ti chiama, non dirgli di no. Devi rinunziare a te stesso e darti tutto a lui. E ne ricevi in cambio la vita eterna e cento volte tanto tutto quello che hai lasciato per seguire il Signore.

 

Perché è bello fare il prete? Perché sei nella condizione migliore per innamorarti di Gesù. Non hai più problemi di carriera, di soldi, diciamo anche di salute e di età che avanza: il prete non va mai in pensione, si sente sempre utile a tanti che cercano Dio. La fede non è solo intellettuale, è passione, innamoramento per Gesù Cristo e la Chiesa, per le persone che incontri alle quali porti la maggior ricchezza che abbiamo: la fede! Quanti santi preti ho incontrato nella mia vita, che mi hanno aiutato a superare le mie passioni, le mie crisi e le mie sofferenze, perché quando sbagli e cadi nel peccato, il Signore ti fa sentire la sofferenza di essere lontano da Dio e ti perdona!

 

Un esempio. Una delle peggiori crisi della mia vita è stata quando, nel 1994, dopo 40 anni di giornalismo missionario a Milano, il superiore generale del Pime, padre Franco Cagnasso, mi ha chiamato a Roma per scrivere la storia del Pime, che nel 2000 compiva 150 anni dalla fondazione. Cioè abbandonare Milano (le riviste, i viaggi, la rubrica di spiegare il Vangelo in Tv che avevo in Rai Uno, ecc.) per andare a chiudermi in un Archivio a Roma! La richiesta del superiore, anche ai miei amici giornalisti, pareva un assurdo e ho avuto la forte tentazione di rispondere di no. Mi svegliavo di notte, mi son venuti un po’ di capelli bianchi e mi sono confidato col mio confessore, che mi ha detto deciso: “Ai superiori bisogna obbedire sempre”. Poco dopo sono andato in Birmania, invitato dal vescovo mons. Abramo Than che voleva iniziare la Causa di beatificazione di padre Clemente Vismara e ho scoperto che anche lui aveva avuto una forte crisi per lo stesso motivo: nel 1955, dopo 32 anni di missione a Monglin, dove partendo da zero aveva fondato una cittadella cristiana e decine di villaggi di battezzati, il vescovo di Kengtung, mons. Ferdinando Guercilena, gli chiedeva di andare a Mong Ping, per ricostruire una missione partendo ancora quasi da zero. In una lettera al fratello esprimeva tutta la sua sofferenza e scriveva: “Però debbo obbedire, perché capisco che se faccio di testa mia, sbaglio”. Questo mi ha convinto e ho poi sperimentato che iniziare un lavoro nuovo a 65 anni è stata la mia fortuna, sono ringiovanito!

 

3) Mi ritengo un uomo fortunato per un terzo motivo. Durante l’ultima guerra mondiale (1940-1945), facevo le cinque classi del ginnasio nel seminario diocesano di Vercelli a Moncrivello. Attraverso le riviste missionarie (e le lettere di padre Vismara), ho scoperto le missioni. Dio mi ha chiamato a portare il Vangelo di Gesù a tutti i popoli della terra. Nel settembre 1945 sono venuto al Pime di Milano e ordinato sacerdote nel 1953 dal Beato Card. Ildefonso Schuster... Ho poi visitato poco meno di 100 paesi nel Sud del mondo, incrociando guerre, terremoti, pericoli di vita (in Vietnam, Angola, Uganda, Somalia, Ruanda); ho sofferto la fame e la sete, dormito in  capanne africane e indiane, con i topi che mi saltavano sulla brandina; ho passato una notte da solo in foresta, chiuso nell’auto e circondato da animali feroci che si strusciavano contro quel mostro di ferro, immobile perché le ruote della pesante Bentley erano affondate nella sabbia e il mio taxista africano era corso in un villaggio vicino, ritornando però il mattino dopo con una decina di uomini.

 

La mia vita è stata un’avventura che ho vissuto con passione, tante rinunzie ma anche soddisfazioni perché ho visto dove e come nasce la Chiesa, con le meraviglie dello Spirito Santo come negli Atti degli Apostoli.  Mi sono reso conto della verità di quanto diceva la grande Madre Teresa: "I popoli hanno fame di pane e di giustizia, ma soprattutto hanno fame e sete di Gesù Cristo". E aggiungeva: "La più grande disgrazia dell'India è di non conoscere Cristo".  Giornali e televisioni non lo dicono, ma questa è la verità: il più grande dono che possiamo fare ai popoli e l'annunzio della salvezza in Cristo e di testimoniarlo nella nostra vita. Ecco perché sono pieno di gioia: mi sento utile agli uomini perché ho scelto di testimoniare e annunziare Gesù Cristo, di cui tutti hanno bisogno.

 

Quando ero giovane, chiedevo a Dio di darmi l'entusiasmo per la vocazione sacerdotale e missionaria, e il dono della commozione fino alle lacrime quando parlavo o scrivevo del sacerdozio, della missione, della vocazione alla vita consacrata. Adesso sono ormai nella terza età e chiedo a Dio di non far diminuire in me la passione per il Regno di Dio che ho sperimentato fino ad oggi.

 

Sono pienamente d’accordo con don Primo Mazzolari, l'indimenticabile "tromba d'argento dello Spirito Santo nella pianura padana" (così Giovanni XXIII), che ha scritto: "Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l'unica veramente indispensabile nella mia missione di prete è questa, comunicare il Salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui".

 

 

Padre Piero Gheddo

http://http://gheddo.missionline.org/

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