Ci è stato fatto un dono, ne avevamo bisogno e lo abbiamo accolto con gioia!
di Marco Pappalardo
Una volta ho sentito un sacerdote in un’omelia accostare il “perdono” al “per-dono”, cioè come qualcosa di gratuito che riceviamo e possiamo donare. Al di là dell’immagine accattivante, l’origine del “Perdono di Assisi” da poco celebrato è evocativa in tal senso:
S. Francesco, in una imprecisata notte del luglio 1216, mentre se ne stava in ginocchio innanzi al piccolo altare della Porziuncola, immerso in preghiera, vide all’ improvviso uno sfolgorante chiarore rischiarare le pareti dell’umile chiesa. Seduti in trono, circondati da uno stuolo di angeli, apparvero, in una luce sfavillante, Gesù e Maria. Il Redentore chiese al suo Servo quale grazia desiderasse per il bene degli uomini. S. Francesco umilmente rispose: “Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”.
Gesù e Maria gli danno la possibilità di scegliere un regalo e Francesco sceglie il perdono e ne fa un dono per tutti. Da uno come lui che cosa ci saremmo aspettati di diverso? E se oggi invece toccasse a noi? Cosa chiederemmo? È certamente “roba da santi” e quindi non ci accadrà, almeno non così, ma tutti abbiamo bisogno di sentirci perdonati e questo desiderio, come tutti i desideri, può essere suscitato anche da noi ancor più miseri peccatori al confronto del Santo di Assisi. Che vuol dire? Significa creare l’occasione, dare l’opportunità a tanti di poter ricevere questo dono. Così è avvenuto a Catania, per esempio, dove una comunità francescana ha fatto di tutto (anche sul web) tra l’1 e il 2 agosto per coinvolgere i parrocchiani e non solo dentro questa grande festa del perdono. Non è il primo anno in cui partecipo, ma è certamente il primo in vent’anni nel quale ho visto dalle ore 21 all’una di notte continue confessioni e tanta gente in adorazione del Santissimo posto al centro di un bel chiostro finalmente valorizzato. C’erano tanti ragazzi e giovani, gruppi familiari e di amici, sacerdoti di altre parrocchie e seminaristi, persone di passaggio, diversi che non di confessavano da tempo (lo so perché lo hanno dichiarato ai volontari che curavano la preparazione al sacramento); ci è stato fatto un dono, ne avevamo bisogno e lo abbiamo accolto con gioia! Certo, l’opportunità dell’indulgenza plenaria è ghiotta, ma non basta da sola, ci vuole chi nella Chiesa desti questo desiderio nel cuore delle donne e degli uomini. Ma c’è di più e il racconto della concessione dell’indulgenza da parte di Papa Onorio III è illuminante:
Il Pontefice, ascoltato il racconto della visione dalla bocca del Poverello di Assisi, chiese per quanti anni domandasse quest’indulgenza. Francesco rispose che egli chiedeva “non anni, ma anime”.
Anche in questo caso noi cosa avremmo risposto? Dovremmo tenere presente “non anni, ma anime” ogni volta che partecipiamo alla messa, che preghiamo, che organizziamo riunioni, convegni, consigli pastorali, assemblee, stiliamo progetti, strutturiamo percorsi, apriamo la chiesa all’orario e fuori orario, amministriamo i sacramenti, accogliamo nell’ufficio parrocchiale, curiale, oratoriano, pubblichiamo un post sui social, scriviamo un articolo come questo. E infine la storia francescana ci consegna l’ultima perla utile per tutte le volte che – laici e consacrati - burocratizziamo la pastorale, sclerotizziamo la liturgia, imbrigliamo la Grazia:
Sul punto di accomiatarsi, il Pontefice chiese a Francesco – felice per la concessione ottenuta – dove andasse “senza un documento” che attestasse quanto ottenuto. “Santo Padre, - rispose il Santo - a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l'opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”.
Marco Pappalardo
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