Il flusso migratorio ha svuotato le campagne e ha ridotto le metropoli sull'orlo del collasso. Povertà e delinquenza i problemi più gravi.
del 01 gennaio 2002
New York (AsiaNews/Scmp) – Il 21esimo secolo sarà all’insegna dell’urbanizzazione e della povertà: le ricerche demografiche degli ultimi anni indicano che gran parte delle “megalopoli” saranno caratterizzate da una povertà paragonabile a quella delle città del 19° secolo. La globalizzazione ha trasformato la realtà urbana nel centro delle disuguaglianze sociali. Due decadi di progresso e di sviluppo hanno lasciato ai margini della società 2,8 miliardi di persone, che vivono in condizioni peggiori rispetto agli anni ‘80. Questa è la grande crisi che il nuovo secolo dovrà affrontare.
Per la prima volta nella storia dell’umanità, le città battono le campagne per numero di abitanti. Fino a 50 anni fa solo il 30% delle persone viveva nei centri urbani; negli ultimi 10 anni, il numero è cresciuto sino a toccare quota 60%. Nel 2000 la terra annoverava 411 città con più di 1 milione di abitanti.
In questi aggregati urbani in continua crescita è racchiuso uno dei paradossi dello sviluppo globale. Parte degli abitanti vivono all’avanguardia e godono di tutte le ricchezze e le risorse che il nuovo secolo offre; ma vi è un altrettanto consistente numero di poveri con relazioni sociali minime, prerogative tipiche dell’età industriale che ha caratterizzato le società americana ed europea nel 1800.
La migrazione extranazionale, sia legale che illegale, soddisfa la maggior parte delle richieste di lavoro nell’era globale. Gli immigrati rappresentano una forza lavoro indispensabile per far fronte ai lavori più umili (in particolare quelli che richiedono l’uso di manodopera) e per servire i ricchi. Tuttavia è proprio la migrazione all’interno di uno stesso paese il fenomeno che influisce maggiormente nel riassetto della popolazione mondiale.
Nei paesi industrializzati, il tasso di migrazione dalle campagne verso le città ha raggiunto livelli mai registrati in precedenza. In Cina è in atto la più vasta e la più rapida migrazione della storia; essa è di gran lunga superiore a quelle che si sono susseguite in occidente nel passato. Nell’ultima decade circa 150 milioni di persone sono migrati verso le città, lasciandosi alle spalle grandi aree agricole prive di manodopera.
All’inizio il flusso migratorio era diretto verso le città più grandi e conosciute della regione. Negli ultimi tempi le mete sono cambiate: oltre alle metropoli come Pechino, Shanghai e Guangzhou, ci sono altre realtà in continua crescita.
In tutto il mondo i contadini si dirigono nelle città per fuggire dalla povertà endemica che colpisce le campagne. Anche i governi sostengono le ondate migratorie all’interno del proprio paese, perché favoriscono lo sviluppo economico delle città. Città del Messico, Taipei, San Paolo, Seoul e Yokohama sono le più antiche città industriali e commerciali cresciute grazie all’ingente afflusso di immigrati. Ma l’aumento incontrollato della popolazione ha determinato una rottura negli equilibri: le grandi città non sono più state in grado di fornire i servizi di base e le infrastrutture necessarie ai propri abitanti. Negli agglomerati urbani è possibile trovare interi quartieri dove l’approvvigionamento di acqua, energia elettrica e assistenza sanitaria sono pressoché nulli.
La rapida e massiccia urbanizzazione ha colto di sorpresa i governi di molti paesi. In molti aree l’intervento delle amministrazioni negli anni di crescita e sviluppo è stato minimo; diverse zone sono prive di controllo: le bande locali detengono il potere e dettano legge. Mentre i ricchi predispongono un apparato di sicurezza privato, i poveri devono cedere alle angherie delle cosche che controllano il territorio.
* Deane Nebauer è direttore esecutivo del Globalisation Research Network, dell’università di Manoa (Hawaii)
Deane Nebauer
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