La forma di preghiera più attestata nella Scrittura e richiesta da Gesù stesso è la preghiera di domanda. Ma essa è anche quella che più ha fatto problema alla tradizione cristiana, che ha spesso affermato la superiorità, la maggiore purezza e perfezione della preghiera di lode e di ringraziamento...
del 01 gennaio 2002
La forma di preghiera più attestata nella Scrittura e richiesta da Gesù stesso (cfr. Matteo 7,7-11; 21,22) è la preghiera di domanda. Ma essa è anche quella che più ha fatto problema alla tradizione cristiana, che ha spesso affermato la superiorità, la maggiore purezza e perfezione della preghiera di lode e di ringraziamento: «Il genere principale di preghiera è il ringraziamento» (Clemente di Alessandria, Stromati VII, 79,2). In tempi molto più vicini a noi, soprattutto negli anni Sessanta, questa forma di preghiera ha conosciuto una grave crisi: la secolarizzazione, l’impadronirsi da parte dell’uomo, grazie alla tecnica e alla scienza, di ambiti che prima sfuggivano alla sua presa e venivano delegati all’intervento di Dio, hanno spiazzato e reso «fuori luogo» la preghiera di domanda. Oggi invece si assiste a un suo riemergere, spesso sotto forme non autenticamente evangeliche che la riducono ad atteggiamento magico, a ingiunzione rivolta a un Dio sentito come im-mediatamente «disponibile», un Dio-madre che ha il dovere di soddisfare ogni bisogno.
Ora, occorre anzitutto affermare che, antropologicamente, la domanda non è solo qualcosa che l’uomo fa, ma una dimensione costitutiva del suo essere: l’uomo è domanda, è appello. E questa dimensione non può non manifestarsi nella preghiera: in essa, infatti, «qualunque ne sia l’occasione specifica, tutto l’essere viene portato dinanzi a Dio» (Heinrich Ott). Rivolgendosi a Dio, nelle diverse situazioni esistenziali, con la domanda, il credente – senza rinunciare per nulla alla propria responsabilità e al proprio impegno – attesta di voler sempre e nuovamente ricevere da Dio e dalla relazione con lui il senso della propria vita e la propria identità, e confessa di non «disporre» della propria vita. In questo senso la preghiera di domanda è certamente scandalosa, in quanto urta la pretesa di autosufficienza dell’uomo. In profondità, poi, dietro a ogni particolare preghiera di domanda veramente cristiana, vi è una domanda radicale di senso. Domanda che il progresso tecnologico non potrà mai rendere superata e che investe direttamente non solo il credente («Chi sono?»), ma anche il Dio «in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (Atti 17,28). Con la preghiera di domanda il credente si innalza dal suo bisogno e lo trasfigura in desiderio, pone una distanza fra sé e la sua situazione, stabilisce un’attesa fra il bisogno e il suo soddisfacimento, cerca di immettere un Altro nella situazione enigmatica che sta vivendo.
In questo senso la preghiera di domanda è eminentemente «contemplativa»: è il modo proprio del credente di affermare la signoria di Dio sul mondo, sulle realtà create. Essa poi è interessata alla presenza del Dio a cui ci si rivolge, prima ancora che all’ottenimento di un particolare beneficio. Essa infatti è comprensibile e fattibile solamente all’interno di una relazione filiale con Dio (Matteo 7,7-11), relazione che, a sua volta, è vivibile solo nella fede (Romani 8,14-17). Ed è all’interno e nei limiti di tale relazione e di tale fede che va collocata la preghiera di domanda cristiana: essa non può assolutamente essere confusa con la preghiera di domanda comune a qualsiasi forma religiosa, ma trova una sua norma normans nella gerarchia di domande presente nel Padre nostro (dove tutto è ordinato alla richiesta: «Venga il tuo Regno») e un suo criterio imprescindibile nella preghiera di domanda del Figlio Gesù Cristo nei confronti del Padre. La fede e la relazione filiale vissute da Gesù, in cui egli si è rivolto al Padre con la domanda, divengono così esemplari per il credente. È significativa l’esperienza del Getsemani: Gesù confessa Dio quale «Abba, Padre» (Marco 14,36) e nella confidenza di tale rapporto chiede che passi da lui «quell’ora» (Marco 14,35), «quel calice» (Matteo 26,39), ma sottomette la sua richiesta a «non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Marco 14,36), «non come voglio io, ma come vuoi tu» (Matteo 26,39). Ci sono dunque un contenuto (ciò che) e una forma (come) che si sintetizzano nella croce e che rappresentano il limite che incombe sulla preghiera di domanda cristiana. Preghiera che si configura così come lotta tra il credente e il suo Dio, come confronto e interazione fra due libertà. In cui è importante salvaguardare la libertà dell’orante, e dunque del suo domandare, e la libertà di Dio, e dunque del suo rispondere; l’autonomia delle leggi naturali e delle realtà terrestri e la realtà della presenza spirituale di Dio nel mondo.
Cristianamente intesa, questa preghiera non è espediente magico per risolvere gli enigmi dell’esistenza, per evitare il negativo della vita: essa infatti sa che nel rapporto con Dio esiste una dimensione di enigma che non può essere rimossa («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», Marco 15,34), e che tutt’al più può mutarsi in mistero all’interno della preghiera. La Scrittura poi propone un orientamento della preghiera cristiana di domanda che parte dalla constatazione che noi non sappiamo «che cosa domandare» (Romani 8,26): nell’esperienza personale di preghiera di ciascuno ci sarà perciò, con il passare degli anni, un apprendistato, un imparare a domandare, a relazionarsi in modo sempre più adeguato al Signore, a domandare «nel nome del Signore» (Giovanni 14,13-14), non nel nostro nome. La preghiera di domanda esige cioè un discernimento dei bisogni, una crescita nella conoscenza del Signore, una conversione costante alla volontà di Dio espressa nella sua Parola. Fine della preghiera di domanda non è infatti che Dio faccia la nostra volontà, ma che noi facciamo la sua (Matteo 6,10)! Ed esige la fede: «Tutto quello che chiedete nella preghiera, abbiate fede di averlo già ottenuto e vi sarà accordato» (Marco 11,24). Il dono previene la nostra preghiera; l’esaudimento di Dio previene la nostra domanda! Ciò che Dio ci ha già ottenuto è, infatti, il dono del Figlio Gesù Cristo! Scrive Dietrich Bonhoeffer: «Tutto ciò che noi dobbiamo chiedere a Dio e dobbiamo attendere da lui si trova in Gesù Cristo. Occorre cercare di introdurci nella vita, nelle parole, negli atti, nelle sofferenze, nella morte di Gesù, per riconoscere ciò che Dio ha promesso e realizza sempre per noi. Dio infatti non realizza tutti i nostri desideri, ma realizza le sue promesse. Egli resta il Signore della terra, protegge la sua chiesa, ci dà una forza sempre rinnovata, non ci impone carichi al di là delle nostre forze, ma ci riempie della sua presenza e della sua forza». In questa ottica, mi pare, emerge con chiarezza l’imprescindibilità della preghiera di domanda e, al tempo stesso, la necessità di una sua costante purificazione ed evangelizzazione.
Enzo Bianchi
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