Viene da chiedersi, professori (750mila) e studenti (8 milioni): che ci facciamo qui? Perché non registriamo le lezioni su youtube e pianifichiamo i giorni per compiti e interrogazioni? Ne usciremmo tutti più riposati forse, ma dovremmo ignorare lettere come questa, ricevuta qualche giorno fa...
Ci sono alcuni giorni che non si amano per se stessi, ma per l’attesa che li prepara. Uno di questi è il primo giorno di scuola, investito della speranza che un’estate possa aver cambiato tutto. Ma dopo cinque ore ciò che il desiderio aveva rivestito di speranza viene sostituito dalla ruvida certezza che nulla è cambiato: si arrancherà per portare a termine un altro anno. Viene allora da chiedersi, professori (750mila) e studenti (8 milioni): che ci facciamo qui? Perché non registriamo le lezioni su youtube e pianifichiamo i giorni per compiti e interrogazioni? Ne usciremmo tutti più riposati forse, ma dovremmo ignorare lettere come questa, ricevuta qualche giorno fa:
Gentile Prof. D’Avenia, ho quasi diciassette anni e studio al liceo. Per tutte le scuole elementari e medie ho cercato di prendere il meglio dai miei insegnanti, per la maggior parte insoddisfatti di se stessi e della loro vita, o semplicemente piatti, e da ciò che cercavano di mettermi in testa, come fosse solamente una scatola vuota da riempire, a volte senza riuscirci, altre volte invece aumentando la mia sete di sapere e di conoscere nuove storie, come quelle provenienti da mondi lontani e antichi come la Grecia, l’Antica Roma, l’Egitto. Avevo cominciato il liceo piena di entusiasmo, determinazione e voglia di scoprire quale sarebbe stato il mio posto nel mondo, aspettando con gioia e ansia il momento in cui avrei cominciato a studiare per davvero ciò che mi piaceva tanto. Ora tutto l’entusiasmo e la determinazione sono stati sostituiti da noia e incertezza, la gioia dalla paura, e c’è solo tanta ansia nel pensare all’inizio di questo nuovo anno scolastico, il cui ambiente è spietato e duro, carico di tensione e di aspettative, e dove non esiste “l’unico triangolo amoroso che renda tutti felici” di cui parla spesso lei, composto da alunni, genitori e insegnati disposti al dialogo e alla collaborazione. Si pensa solo al risultato, tiranneggiando costantemente i ragazzi e la loro voglia di imparare con tranquillità e passione, senza cercare di capirli, e non provarci nemmeno. Sulla carta sono tutti degli ottimi insegnanti, ma nella realtà di tutti i giorni rivelano le persone che sono veramente: alcuni incapaci di insegnare, altri capacissimi di farlo, ma assolutamente incapaci di educare, che sono due concetti molto diversi. Nonostante tutto questo, io ho ancora tanta voglia di scoprire qual è il mio posto nel mondo, e provo ancora entusiasmo e gioia nell’ascoltare e nell’apprendere. Voglio ritrovare la mia determinazione per qualcosa d’importante per me, per fare la mia strada, a tutti i costi… Ci provo, anche se non so come, né quando, né per che cosa…
All’inizio di un nuovo anno ciascuno potrebbe provare a rispondere a queste righe (o chiedere ai propri studenti di scrivere cosa ne pensano) che tanto lucidamente mettono nero su bianco il cancro che corrode la scuola. Non è questione di lavagne elettroniche ed effetti speciali. Ma di persone. Non è questione di forma, ma di ri-forma mentis. Istruire ed educare sono stati forzosamente separati, con la pretesa che bastasse dire che erano due cose da separare, perché la realtà, mai prona alle balzane ideologie umane, si adeguasse; e Confucio, Socrate e Cristo venissero dimenticati. Ogni uomo preposto a guidarne un altro, che lo voglia o no, lo educa. Se pretende solo di istruirlo, lo educherà lo stesso, all’irrealtà (noia, incertezza, paura…) come dimostra la lettera di questa ragazza e di molti altri, ridotti a oggetti del sapere, teste da riempire e addestrate, non soggetti protagonisti del conoscere, nella ricerca comune di sé e della verità.
Non si può non educare se si sta nella stessa aula per 5 ore al giorno. Se volessimo solo istruire dovremmo accontentarci delle lezioni registrate. Se stiamo nello stesso luogo per 5 ore, che lo vogliamo no, educhiamo. Educare è introdurre alla realtà e solo chi entra in contatto con la realtà entra in contatto con se stesso. Noi professori, talvolta grandi nemici del “virtuale”, spesso ci accontentiamo di un insegnamento virtuale, ripetendo le stesse cose da anni, come se avessimo davanti una telecamera e non volti diversi di anno in anno, di giorno in giorno.
Propongo allora di comprare (io per primo) un bel quaderno e dedicare due pagine ad ogni alunno: punti di forza, punti deboli, sogni, passioni, ambizioni, situazione familiare, consigli dei genitori. Pagine frutto di osservazione e colloqui personali e periodici, con il ragazzo e con i genitori.
Propongo di dedicare qualche pagina alle strategie della propria materia, perché venga amata da quei ragazzi in particolare.
Propongo di dedicare i consigli di classe a condividere le strategie perché ogni ragazzo riesca a far fiorire i propri talenti.
Perché la scuola non sia noia, paura, delusione l’unica strada è cambiare i programmi. I ragazzi: ecco il programma.
Alessandro D'Avenia
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