Dalla massa di giovani europei del libro bianco, quale prospettiva di speranza può far sì “che i giovani europei siano cittadini solidali, responsabili, attivi, tolleranti in società pluralistiche”? È sufficiente indicare genericamente un loro “maggiore coinvolgimento nella vita della collettività locale, nazionale ed europea”?
del 16 novembre 2005
Vorrei riflettere su due aspetti attuali che descrivono alcune situazioni di adolescenti e giovani: una “piccola” realtà ecclesiale ed una laica, per tentare di arrivare ad una conciliazione tra le due realtà in un processo di educazione alla “speranza cristiana”.
 
 
Il problema
 
La piccola realtà ecclesiale riguarda la comunicazione finale del X Simposio dei Vescovi d’Europa (28/4/2002). In essa i pastori riconoscono di sentirsi interpellati da quanto i giovani presenti al Simposio hanno detto e richiesto: che cioè siano considerati “non solo speranza del futuro, ma una risorsa presente e attuale della Chiesa, su cui contare ora e subito. Chiedono che trovino il tempo specifico di incontro e dialogo (…), proponendo con chiarezza il vangelo ed insieme aiutandoli a viverlo. Chiedono infine che siano i primi testimoni del Vangelo e della bontà, carichi di fiducia e di speranza in Cristo”.
Nel libro bianco della commissione europea “Un nuovo impulso per la gioventù europea” (Bruxelles 21/11/ 2001) troviamo questi “caratteri esistenziali” attribuibili alla grande realtà laica dei giovani d’oggi: un prolungamento della gioventù (soprattutto per motivi sociali di studio e lavoro), percorsi di vita non lineari (perché le società non offrono più le garanzie sicure di un tempo), modelli collettivi tradizionali sempre meno pertinenti (dinanzi a traiettorie personali sempre più individualizzate).
I pastori, gli educatori cristiani, gli animatori di pastorale giovanile…, a proposito di ciò che dicono i vescovi, si domandino: quanti sono gli adolescenti e i giovani che sono aggregati attorno ad istituzioni cristiane e che si ritrovano in queste richieste? Interpretando le statistiche forse non si va molto al di là del 5% del totale del mondo giovanile… E tutti gli altri?
E dalla massa di giovani europei del libro bianco, quale prospettiva di speranza può far sì “che i giovani europei siano cittadini solidali, responsabili, attivi, tolleranti in società pluralistiche”? È sufficiente indicare genericamente un loro “maggiore coinvolgimento nella vita della collettività locale, nazionale ed europea”?
Da queste due realtà emerge una prima conseguenza: un coinvolgimento nella vita ecclesiale e una cittadinanza attiva nella vita sociale (cioè costruire nel presente il proprio futuro) devono costituire le sfide principali delle nostre chiese e delle nostre società civili.
Purtroppo, però, la parola speranza è coniugata oggi in tante modalità diverse, anche se essa non può non essere tenuta presente proprio in quei contesti dove la proposta cristiana alimenta la “speranza della vita” del mondo che verrà: c’è speranza per tutti gli adolescenti e giovani che oggi devono guardare al futuro con una certa apprensione? Di quali e quanti giovani si tratta in quel simposio dei vescovi europei? Come vengono coinvolti i giovani europei nelle istituzioni educative, scolastiche e del volontariato?
Una certa retorica sulla “speranza” esiste. Ma le generazioni stanno cambiando, perché sta cambiando la società. E forse, davanti alla realtà giovanile generale, non ci si può nutrire di facile ottimismo. Tra i “bisogni e desideri” che alimentano le speranze dei giovani, ci sono certamente quelli economici (lavoro, soldi); quello di realizzarsi come veri uomini e donne, la soddisfazione di rapporti sociali ed amicali. Essi appaiono però più come disponibilità che come realtà. E laddove la disponibilità si storicizza, si evidenzia una preferenziale tendenza alla soggettivazione nell’area del privato. L’ostacolo vero alla propria realizzazione è intrinseco al realizzarsi del proprio progetto, anche se è tipico del linguaggio della speranza.
I giovani vivono sulla propria pelle come primari fattori le difficoltà e le incertezza delle proprie contraddizioni personali, ma anche la non facile comunicazione tra genitori e adulti, come anche il protrarsi di ostacoli di ordine sociale ed economico.
 
 La proposta: per una educazione alla “speranza”     
 
o Il fattore speranza è per sua natura collegato ad una sicurezza nelle inevitabili difficoltà di ogni percorso esistenziale. Infatti, dal punto di vista della psicologia evolutiva, la speranza come atteggiamento umano fondamentale, ha le sue radici nella fiducia di base che il neonato, grazie alla dedizione dei genitori può ed è chiamato a sviluppare verso gli altri e l’ambiente. Sperare comporta perciò avere una ragione per cui una persona può interrogarsi, aprirsi, elaborare prospettive per il futuro, tirarsi fuori dalla realtà empirica e farne oggetto di critica.
L’apertura al futuro rende tipico lo sperare umano, dal momento che la vita è un bene da raggiungere e si nutre di piccole ma indispensabili speranze (aspirazioni, attese, progetti, e anche delusioni e insuccessi) che non costituiscono un processo nel vuoto, ma chiedono militanza e resistenza per conseguire domani quello che è anticipato e insieme negato oggi.
Gli atteggiamenti della speranza non ignorano l’ansia, ma non devono neppure permettere alla persona di nutrirsi di paura. Però, per molti giovani, speranza è volere domani ciò che c’è già oggi. E questo può voler dire appiattimento nel presente e non acquisire nessuna capacità di futuro.
Perciò “l’uomo che cresce” nell’adolescente e nel giovane, in quanto esposto al divenire, è esposto al fattore “speranza”, che nella cultura giovanile ha una notevole variazione:
– a livello esistenziale, la speranza si colloca nell’area del desiderio della felicità, della realizzazione di sé, del compimento delle proprie aspirazioni. È un desiderio fortemente soggettivo, nel senso che non può essere recepito come speranza ciò che non riguarda desideri e bisogni personali. E così non sempre ci si rende conto che la forza della speranza nelle proprie capacità di risposta, spesso finisce per rendere precaria e illusoria la stessa vita attuale;
– a livello temporale, la speranza comprende uno spazio di tempo più lungo, per domandarsi il senso della storia aperta al futuro, del progetto come via di cammino in avanti, ma anche del valore che offre la produzione di risposte da parte dell’uomo, ed infine sul potenziale di speranza che si può avere per superare il limite inevitabile della morte (l’aldilà), e a quali condizioni. Non sempre si resiste a questa tensione con conseguenti delusioni ed evasioni (dalla storia, dalla vita…);
– a livello sociale–ecclesiale, vengono annunciati fattori di speranza ma non sempre questi titoli di credito sociali ed ecclesiali diventano stimoli personali e chiamate esistenziali ad assumere impegni per rendere credibile il Dio della speranza alle giovani generazioni.
 
* Si può ipotizzare che l’atteggiamento verso il futuro è sensibilmente correlato con le scelte e le militanze religiose e politiche e con la variabile dell’età? Di certo oggi gli adolescenti e i giovani mostrano aspirazioni, hanno speranze di futuro, ma con prospettive, atteggiamenti e modi disponibili diversi, sia sul versante umano che su quello religioso.
Questo rende meno avvertita la necessità di un rinnovamento della pastorale della speranza nei loro confronti. La proposta cristiana non può limitarsi ad enunciare l’identità e il valore di questa virtù teologale, ma deve inserirla in un globale sistema di significati. L’annuncio della speranza non può disgiungersi da una cultura e da una pedagogia della speranza.
Certamente il fattore speranza ha oggi un respiro corto, tanto da far parlare di “generazione del quotidiano”, nel senso di carenza di prospettive globali e di marcata accentuazione del presente sotto i segni dello sperimentalismo, del garantismo e del consumismo.
Sembra che alcuni fattori bloccano la speranza: la crisi delle idealità sociali e politiche proprie di una società complessa; la non identificazione con le mete socioculturali dominanti che avevano esercitato una forza d’attrazione nei confronti di quanti hanno vissuto la giovinezza negli anni della ricostruzione o del boom economico; la crisi e la difficoltà di partecipazione; l’incapacità propositiva come orientamento culturale specifico di questa generazione.
A livello strettamente religioso, è chiaro che ciò che è tipico del cristiano, sembra lontano dalla sensibilità della maggioranza dei giovani: il riconoscimento dell’oggettività della promessa di Dio; la sua qualità normativa; la progettualità in tempi calcolati non brevi; la stessa esperienza umana in ciò che concerne gli esiti ultimi della vita e la sua trascendenza.
Ci sono poi le lacune che i giovani vedono nelle nostre comunità: la concentrazione quasi esclusiva sull’aldilà (i novissimi) fino a rischiare l’alienazione dal presente, svuotato di una sua densità; la pochezza di credibilità della speranza di singoli e gruppi cristiani incapaci di mostrare la loro destinazione verso una vita migliore; una concorrenza quasi furiosa con il mondo produttivo, tanto da volere di nuovo un tempo di cristianità, dimenticando le riserve dell’escatologia su progetti di utopia troppo terreni, per avere delle chance esaurienti anche solamente umane.
 
* Il principio ermeneutico che aiuta a comprendere ogni speranza come base della speranza rivelata, obbliga a rileggere la Bibbia e la Tradizione della Chiesa secondo angolature inedite che portano a domande inevitabili: quale base antropologica sottosta alla Parola di Dio sulla speranza? A quale tipo di uomo si rifa la Parola di Dio che dona la speranza teologale? Per quale modello di umanità si impegna il credente che accoglie la parola della speranza?
La “speranza cristiana” ha una profonda radice biblica rivelata. Nel testo sacro, la speranza non è soltanto una tensione psicologica dell’animo umano, ma nasce dalla fede e si fonda sulla promessa di Dio che dilata la vita dell’uomo a una dimensione trascendente. Gli atteggiamenti che la descrivono sono: essere sicuro, confidare, non aver paura, aspettare pazientemente, attendere qualcosa di inaspettato, cercare rifugio, resistere, perseverare…
Nell’Antico Testamento vari sono i termini significativi che dicono il tema della speranza. Anzitutto è conosciuta nel suo significato psicologico di attesa del domani, di fiducia che le cose procedano bene. Tale fiducia talora può diventare esagerata sicurezza, baldanza. Nel suo sperare l’uomo si aggrappa talora a falsi valori. Però trova un senso stabile alla sua speranza quando la fonda in Dio. L’oggetto della speranza di solito non è qualcosa di particolare, ma è Dio stesso, la sua promessa, la sua alleanza.
Nel Nuovo Testamento i cristiani vengono definiti tali dalla fede (i “fedeli”) o dalla carità; riesce più strano chiamare il cristiano “colui che ha speranza”. Eppure questa espressione si trova in San Paolo che lo definisce per opposizione ai pagani i quali sono coloro “che non hanno speranza” (Ef 2, 12; 1 Tes 4, 13). Appare così la novità della speranza cristiana: benché fondamentalmente ispirata all’uomo biblico, si fonda su Cristo come inviato del Padre. La “speranza dell’evangelo” (Col 1, 23) nasce dalla nuova alleanza; la buona novella è l’evangelo della speranza messianica, dell’attesa vigilante, della perseveranza paziente.
Cristianamente si deve dire perciò che la speranza in se stessa è teo-centrica (perché parte da Dio); non è ego-centrica (centrata sulle proprie aspirazioni), anche se le attese dell’uomo sono il substrato su cui si incarna la promessa di Dio. Essa ha una dimensione comunitaria ed escatologica; è un dono gratuito; è essenziale per la definizione del cristiano. Vista in opera nella vita dell’uomo, la speranza apre alla fiducia, alla pazienza, al coraggio e alla gioia. Gli rende possibile la preghiera e l’amore fino al superamento di se stesso.
 
* Il catechismo per la vita cristiana (nei testi che si riferiscono ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani) affronta il tema della speranza, dando per scontata la visione dell’età evolutiva come proiezione in avanti, ma tracciando una sintesi contenutistica dal punto di vista dei processi educativi che portano alla speranza.
Ai catechismi (e alle loro guide didattiche) si possono riferire gli animatori della pastorale. Qui si indicano i punti sintetici.
Il catechismo Vi ho chiamato amici (per i preadolescenti) si apre proprio con una capitolo intitolato: “C’è speranza nel mondo”, in cui precisa che l’età dei ragazzi è una stagione nuova e imprevedibile. Essi cercano sempre di più di affermare la propria personalità con nuove amicizie e relazioni, ed hanno sete di valori veri e di contatti personali. Per il catechismo “la vita è il luogo in cui si manifesta la ricerca di un Tu che dà risposta e senso alle attese più vere”.
Il catechismo degli adolescenti Io ho scelto voi si chiude nell’ultimo capitolo con un invito: “Aperti alla speranza”. Offre risposte ai desideri coltivati più frequentemente nel proprio cuore; li fa confrontare con quelli degli amici; aiuta a leggerli tra le righe del proprio progetto di vita che si vuole realizzare; invita ad acquisire una maggiore speranza… in Cristo.
Il catechismo dei giovani Venite e vedrete, nel capitolo 10° li invita a “Vivere la speranza”. Spesso infatti i giovani verificano che la vita viene messa alla prova e le speranze sembrano naufragare; a volte si trovano di fronte a interrogativi decisivi per il proprio futuro e per quello dell’umanità… A chi viene spontaneo rivolgersi? Su quale patrimonio ci si può fondare? Verso quale direzione orientare il proprio cammino? Emergono così le domande circa l’inizio e la fine, intesi non come punti cronologici, ma come radici ultime della propria esistenza e libertà.
I tratti distintivi della speranza cristiana sono evidenziati dunque sia dagli aspetti umani, che da quelli della fede:
- la proposta trascendente corrisponde alle più elementari attese umane di realizzazione della vita (verità, giustizia, pace, festa...), per cui il modo cristiano di pensare la speranza appare del tutto congruo alle aspirazioni profonde del desiderio;
- la verità teologale si nutre di un imperativo, quello per cui l’uomo è chiamato a muoversi nella direzione di ciò che è promesso (fare la giustizia, la verità, pace, la festa...) sicché la speranza non appare fattore di alienazione, ma anzi deve coniugare il suo cammino nella storia, alla luce di un preciso impegno morale;
- i valori trascendenti della speranza superano ogni pur necessaria prestazione umana e ogni pur ammissibile adempimento, per cui la speranza non è conquista, ma puro dono trascendente che scaturisce dalla fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo.
Di queste dimensioni si rende protagonista storico Cristo medesimo, in quanto promessa ed insieme compimento della speranza teologale. Cioè compimento di antiche promesse, e promessa di definitivi compimenti entro un piano rivelato da Dio. Perciò la Bibbia con la sua testimonianza storica e la sua mediazione esistenziale appare come il necessario riferimento per una proposta genuina sulla speranza.
 
 Le conseguenze operative
 
* L’animatore-educatore dovrà considerare che:
– la speranza appare come una “fede che cammina”. Questo significa che il credente deve verificare che essa si muove tra una promessa di vita da parte di Dio, significata credibilmente in Gesù, e un approdo futuro oltre il tempo. Perciò la vita è conformata come progetto, un guardare avanti, nella linea del pellegrinaggio biblico (Eb 11), ma permettendo allo Spirito di far fiorire quegli anticipi del domani che sono le speranze che si attuano già nell’oggi. Sicché la vita è un “mantenere inflessibilmente la professione della speranza” (Eb 10,23);
– la vita umana deve alimentarsi della “spiritualità della speranza”. Dire sì alla promessa di Dio comporta l’assunzione di atteggiamenti di coraggio paziente e perseverante che non cede allo scoraggiamento e alle tribolazioni; capacità di scelta e quindi di rinuncia ad ogni forma di sicurezza umana o di autosufficienza; capacità interiore di ottimismo perché “nonostante tutto, il Dio di Gesù Cristo avrà l’ultima parola”. Mosso dalla speranza il credente sa che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37);
– fa parte della speranza cristiana quella vita “morale attiva”, che ha i suoi specifici luoghi di riflessione e di impegno intorno ai nodi esistenziali che aiutano a vivere la storia nel presente da interpretare in chiave di futuro (= la speranza cristiana);
– la bibbia insegna che tanto più si spera, quanto più appare difficile ciò che è oggetto di questa speranza; è lo “sperare contro ogni speranza” di Abramo. E questo deve mettere anche più scopertamente in luce il drammatico disavanzo tra la proposta della fede speranza e le deboli spalle dei giovani (e anche degli uomini) del nostro tempo;
– il processo storico della speranza cristiana (e va messo in questo bilancio educativo!) deve portare adolescenti e giovani a reagire contro gli atteggiamenti purtroppo indotti dalla vita e dalla cultura attuale che vengono descritti come “presentismo”: una specie di “respiro corto” che fa vedere tutto immanente, senza progettualità; che promette beni di consumo con cui appagarsi oggi, senza accettare il sacrificio di una rinuncia che porterà ad un bene sperato e più soddisfacente domani.
 
* Quindi educare alla “speranza” comporta una vera scommessa; una qualità che è propria della fede che è chiamata a giudicare i momenti più cruciali e misteriosi della vita.
Senza voler presumere di indicare itinerari specifici, si possono ricordare prima di tutto i tre compiti di una trasmissione della speranza tra i giovani:
- evangelizzare la speranza cristiana. Si tratta di annunciare in tempo opportuno il profilo tanto umano quanto trascendente dello sperare secondo l’insegnamento evangelico dato da Cristo. È un’operazione che deve tendere a purificare le situazioni più o meno tradizionali del vissuto degli uomini: demitizzare attese magiche o rigidità fatalistica nei confronti del futuro; aiutare a scoprire i segni del positivo nella storia anche se poco visibili, evidenziandone i valori evangelici come frutto di provvidenza e come “semina verbi”;
- coltivare una cultura della speranza. Si tratta di aiutare adolescenti e giovani a riscoprire pazientemente la struttura proiettiva positiva dell’uomo come dato dinamico del desiderio di agire: esiste una azione messianica nella vita quotidiana; si possono intravedere le soluzioni più vere e più significative nella storia del pensiero e del costume; si devono individuare e mostrare quei testimoni della speranza che agiscono nella storia, secondo le diverse espressioni culturali;
- educare alla speranza. È una azione che appartiene alla visione di voler diventare uomini integrali, come tirocinio formativo concreto, senza di cui le sole aspirazioni rimangono illusorie. Non c’è altra via se non si vuol cadere in forme di irrazionalità entusiastica ed effimera. La pratiche di questo tirocinio possono così essere numerate: dare plausibilità al futuro come possibilità positiva per l’uomo; non averne angoscia, paura, noia o farne ricami fantastici; fare esperienze di futuro, ponendo un rapporto tra presente e l’avvenire a proposito di un progetto fatto e vederne gli esiti; imparare a fare esperienze di futuro secondo la speranza umana cristianamente ispirata; imparare a fare esperienza di speranza e darne ragione; imparare a ipotizzare e costruire spazi di futuro e di speranza… per tanti altri nostri fratelli.
 
 
 
Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.
Giuseppe Morante
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