«Nelle famiglie spesso vince il silenzio e questo aumenta l'aggressività degli adolescenti. La scuola non risponde ai loro bisogni, e il sistema educativo è fragile»
del 01 febbraio 2005
 Si dice di loro: si assomigliano nell'abbigliamento, nel modo di essere e di comportarsi, nel linguaggio… Sono arroganti, disinteressati, indolenti, insofferenti, maleducati, scoraggiati, strafottenti, violenti… È un'impressione superficiale? Come le appaiono, dal suo osservatorio siciliano, i giovani? Chi sono? E i giovani siciliani? «I mass media hanno annullato le distanze. Oggi viviamo la realtà del villaggio globale. Non credo che in Sicilia siano diversi da come sono in Piemonte o in Toscana o in un'altra regione italiana», risponde Filippo Di Forti, psicologo e psicoterapeuta. «I ragazzi e le ragazze esprimono i problemi degli adulti, ne rispecchiano i difetti: sono la nostra caricatura. Per questo ci irritano. Oggi i giovani non hanno maestri: non ce ne sono. Noi li abbiamo avuti. In televisione, nei settimanali, i cosiddetti esperti, propongono ovvietà del tipo: 'Se vuoi essere sereno, non agitarti', per non essere depresso devi essere contento».
Da quali disagi si sentono sopraffatti?
«Da uno, soprattutto: la sensazione di essere abbandonati a se stessi, di non avere punti di riferimento attendibili, guide che li incoraggino e li sostengano. I maestri che mi hanno aiutato a crescere e a formarmi, consentendomi di superare le crisi, i dubbi, le paure, sono stati Franco Fornari, Cesare Musatti, Enzo Paci, Emilio Servadio… Chi hanno, oggi, i ragazzi? A chi possono rivolgersi, con la fiducia di essere ascoltati? Franco Ferrarotti ha detto recentemente che molte persone sanno tutto, ma non capiscono niente. L'ovvietà al posto della problematicità; la banalità al posto dell'enigma».
 
I rifugi più pericolosi, per superare le difficoltà, i rischi più inquietanti e preoccupanti che ragazzi e ragazze corrono dove sono rintracciabili?
«Nelle dipendenze: e al primo posto c'è la droga. Nell'aggressività non controllabile, che può arrivare al crimine e al delitto. Nelle stesse famiglie, per l'assenza di dialogo. Il silenzio è fonte d i pulsioni aggressive. La contrapposizione, il dissenso e perfino la disobbedienza rientrano nella comunicazione, nella relazione con l'altro. Quando non si parla, l'aggressività può diventare anche distruttiva. Oggi l'adulto, genitore o partner, è un narcisista fatuo. Indagini recenti hanno evidenziato che nelle famiglie italiane ci sono più animali domestici che bambini. Bisogna prendersi cura degli animali, ma non si trasmettono valori».
 
La scuola ha responsabilità gravi o lievi? Assicura o nega «la libertà necessaria all'espressione delle differenze», per usare anche le parole di Sandro Onofri, lo scrittore e insegnante romano scomparso nel 1999 a 44 anni?
«Risponde poco. Gli insegnanti sono retribuiti male, scarsamente motivati e non sono sostenuti dalle famiglie. Un tempo quando un professore convocava i genitori per rappresentare le mancanze dei figli, la scarsa applicazione, le indiscipline, le insufficienze, le svogliatezze, otteneva la giusta, intelligente collaborazione. Oggi i genitori difendono acriticamente, e tanto ostinatamente quanto stupidamente, i figli, scaricando tutte le responsabilità sui docenti per autoassolversi. È un atteggiamento colpevole e dannoso».
 
Come interpreta gli episodi del liceo Parini, a Milano, e quello, recente, della media inferiore Leonardo da Vinci, a Cesano Boscone?
«In passato gli eventi erano commentati dalla comare del quartiere. Oggi intervengono i cosiddetti esperti», sorride Di Forti. «Per fare un'analisi attenta bisognerebbe conoscere i due istituti, altrimenti si corre il rischio di dire cose superficiali. So ben poco del Parini, che mi richiama alla mente il film 'L'attimo fuggente', e ben poco della scuola dove, forse per emulazione, si è ripetuta l'esplosione aggressiva degli studenti sull'ambiente con l'acqua. Ho seguito la cronaca. Pulsione sessuale e pulsione aggressiva sono alla base delle psicodinamiche della personalità. Quando l'aggressività esplode in contenitori come la fa miglia e la scuola c'è sempre un concorso di responsabilità. E' banale separare nettamente i buoni e i cattivi, come annota l'ironica canzone di Edoardo Bennato. Posso citare un'esperienza personale vissuta quando avevo una consulenza presso una scuola palermitana: una mattina alcuni ragazzini si sono abbassati i pantaloni e le mutande per mostrare i genitali alle compagne. La prima reazione della preside è stata di sospenderli per un mese. Poi ha pensato bene di fare un incontro con gli autori del disdicevole episodio e, nel dibattito, ha cercato di chiarirne le dinamiche, mettendo un po' in ridicolo quello che avevano fatto. Bisogna sempre aprire un dialogo, provare a delucidare e a capire».
 
Quali modelli di comportamento richiederebbe la convivenza fra i giovani e gli adulti?«Heinz Kohut, noto psicanalista, pone l'accento sul ruolo centrale dell'empatia. Il Sé, per essere coeso e non frammentarsi, ricerca e interiorizza 'oggetti-se': cioè, modelli. L'amore di sé si sposta nell'amore per l'altro, nel caldo contatto con l'altro. L''oggetto-se' è da interiorizzare dapprima nella identificazione speculare, quindi nella interiorizzazione trasmutante. Ancor prima della violenza, della distruttività, oggi preoccupa l'indifferenza, la personalità schizoide. La rimozione di emozioni aggressive, affettive, può scatenare reazioni catastrofiche. In una famiglia in cui non c'è comunicazione, e neanche dissenso o disobbedienza, e prevale il silenzio, lo ripeto perché è un tarlo pericoloso, possono esplodere impulsi distruttivi. Il caso di Novi Ligure, che mi ricorda il romanzo Carrie di Stephen King, è indicativo: Erika parlava poco con sua madre. In quella famiglia non si comunicava. L'adulto per il giovane è un modello, una sorta di cibo da assorbire per la crescita affettiva e intellettuale. I miei maestri mi aiutavano. Enzo Paci chiedeva di illustrare un testo, avvertendo: 'Mi devi dire quello che non c'è scritto. Quello che c'è scritto lo conosco'. Era un modo per incitare all'applicazione e alla curiosità, che è una delle molle della vita».
 
E quali modelli suggerire da contrapporre a quelli consumistici, edonistici, sessuali proposti dai mass media?
«Invitare i giovani alla lettura, che deve essere amata: libri di filosofia, di letteratura, di arte, di storia che aiutano a crescere e a maturare. Sollecitarli a preoccuparsi di essere e non di apparire. Recuperare i riferimenti, anche tradizionali, che un tempo erano testimoniati dalla parrocchia e dai partiti: valori cattolici e laici concreti, come l'onestà, il rifiuto della violenza, la solidarietà verso chi vive nella povertà e non ha voce… Negli anni Settanta, Comunione e liberazione è stato molto importante per la realtà cattolica: ero a Milano e ho potuto constatare il forte impegno in soccorso dei più deboli, dei più esposti e dei più fragili, che consentì di strappare molti giovani alle lusinghe del terrorismo, riportandoli all'impegno dei diritti civili. Per occuparsi dei giovani è opportuno interrogare se stessi, riconoscere gli errori e fare ammenda. Non a parole. Nei fatti: recuperando un dialogo, uno scambio, scontrandosi anche. È sempre preferibile lo scontro, anche aspro, anche duro, al silenzio e all'indifferenza».
 
(3.continua)
  
Filippo Di Forti è nato a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, vive a Palermo, ha compiuto 67 anni il 12 gennaio, è psicologo, psicoterapeuta a indirizzo psicanalitico, consulente in sessuologia clinica. Si è occupato, fra l'altro, di psicologia dell'età evolutiva presso l'Ospedale civico palermitano. Ha collaborato a varie riviste: 'Aut-Aut', 'Ulisse', 'Quaderni razionalisti', 'Hermes'… Ha scritto e pubblicato diversi libri, fra gli altri: con il Formichiere «Quale psicoanalisi?» (1976); con Bertani «Per una psicoanalisi della mafia» (1982); con Bios «Il labirinto dell'illusione» (1986), «Lo stregone, la sfinge, l'analista» (1987), «A cominciare dall'amore di sé» (1989), «Il cammino psicoanalitico» (1992).
Luigi Vaccari
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