A forza di ottimizzarci, ci sfugge la vita... L'uomo non ne può più di essere rappresentato come un virus. È il luogo in cui Dio ha voluto nascere,prendendosi carne e sangue, sentimenti e legami nel grembo di una donna...
del 27 dicembre 2005
L'umano che è comune fra i popoli - i nostri affetti più sacri e più cari, le nostre parti spirituali migliori - non ne può più di essere rappresentato come un virus.
Eravamo noti a noi stessi come uomini e donne; padri, madri, figli, fratelli, amici e popoli, fieri di appartenere ad una specie miracolosamente capace di appassionarsi all'arte, alla musica, all'autodisciplina della mente, alle avventure del pensiero, agli azzardi dell'anima, alla circolazione di pietas e al sacrificio reciproco: le cose belle dell'amore, insomma, dell'umano per l'umano. In altri termini, ci sentivamo speciali perché capaci di non rimanere in ostaggio del puro istinto di conservazione e di volerci bene per il piacere di non essere soli a vincere.
Ormai, impariamo a riconoscerci come organismi socialmente modificabili, clienti felicemente fidelizzabili, risorse umane indispensabili per la crescita dell'economia e lo sviluppo delle macchine.
Ci spiegano che siamo fatti per ottimizzare le nostre risorse individuali e le nostre macchine biologiche. Ne siamo ossessionati. E abbiamo già l'inquietante sensazione che, fra ottimizzare e crescere, di vita non riusciremo a viverne un granché. I figli, sballottati fra un'eccitazione e l'altra - bisogna rinnovarsi e sperimentare sempre, fin da piccoli - ci si accendono e spengono come i fuochi di capodanno. Siamo diffidenti gli uni degli altri: nel dubbio di affetti potenzialmente svantaggiosi, rimuoviamo l'ostacolo. E impariamo a rimanere indipendenti da tutti, per il caso che qualcuno abbia bisogno di noi, impedendoci di massimizzare benessere e godimento a cui abbiamo diritto. Abbiamo imparato la civiltà?
Il dubbio, che lascia un po' sgomenti, è questo. Quelli (pochi, ma puntigliosi e ben determinati) che spiegano l'umano come caso strano, e si affaticano ad insegnarci ad imitare le ben migliori strategie di sopravvivenza dei virus, non erano una volta come noi? Non sono stati amati da una mamma, fatti studiare da menti pensose, riscald ati nella loro mente e nella loro anima, come noi, per la grandiosità di questa differenza spirituale in cui noi, popolo degli umani, ancora ci sentiamo, viviamo e siamo?
È Natale. Dio rimette in gioco l'umano sentire di noi umani. Guardiamo da quella parte. Dio s'è preso carne e sangue, sentimenti e legami nel grembo di una delle nostre donne. Per tutti gli umani del mondo, il principio della nostra buona fede si è radicato per sempre nell'invenzione divina di questo struggente legame. Fra il grembo di Dio e il grembo della Donna si è stretta un'alleanza indistruttibile. Siamo senza parole. La nostra buona fede è buona, dunque. Sacrosanta. Benedetta. Infalsificabile. Il Figlio la conferma, per sempre.
È il Natale di Dio. Da quel momento siamo definitivamente certi di essere umani. Niente di meno che questo. Ed è solo l'inizio. Lo possiamo insegnare ai figli. Nel passaggio fra il grembo della donna e il grembo di Dio troveranno milioni di umani, simili a loro, in cui si riaccenderà l'orgoglio di questa appartenenza. E puntualmente, il Natale di Dio porterà la grazia della libertà che la ripara, la custodisce, la esalta. È Natale, riprendiamoci l'umano. E' il luogo in cui anche Dio ha voluto nascere. Non diventiamo virus, noi.
Pierangelo Sequeri
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