Oggi l'annuncio cristiano può essere convincente solo se i cristiani lo incarnano nella propria vita. È proprio questo che ci insegna l'apostolo Paolo, quando scrive nella Lettera ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».
del 01 gennaio 2002
La ricorrenza quest’anno del bimillenario della nascita del santo protoapostolo Paolo spinge i cristiani di tutto il mondo a guardare con particolare venerazione all’apostolo delle genti, grazie al cui instancabile impegno missionario la fede cristiana si diffuse per tutto il mondo civilizzato di allora, l’ecumene, termine con cui si designava essenzialmente l’Impero romano.
Dopo l’incontro con Cristo Risorto lungo la via di Damasco, Saulo, zelante fariseo e persecutore dei cristiani, si trasforma in Paolo, altrettanto zelante apostolo di Cristo, pronto ad arrivare fino agli «estremi confini della terra» (At 1, 8) per annunciare la salvezza in Cristo, che Dio dona a tutto il genere umano.
In tutte le lettere di san Paolo troviamo, come un filo rosso, la convinzione del significato universale del Vangelo nel quale «non c’è più greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3, 11). Fin dai primi anni della propria esistenza, la Chiesa Russa ha sempre venerato nella persona dell’apostolo Paolo il suo grande maestro nella fede.
L’autore della Racconti degli anni passati, prima narrazione della storia russa, fa risalire proprio all’apostolo delle genti la fonte della fede del popolo russo: «Dai moravi venne anche l’apostolo Paolo a predicare; laggiù si trova l’Illiria, dove giunse l’apostolo Paolo; di quegli stessi slavi siamo anche noi, russi, perciò anche per noi, russi, Paolo è nostro maestro».
La predicazione dell’apostolo tra i popoli dell’ecumene ha posto le solide fondamenta dell’unità del mondo cristiano, basata non sulla forza delle armi né sull’arte politica, ma sulla comunione spirituale di coloro che professano l’unico Dio vero «con una sola bocca e un solo cuore» (Liturgia di san Giovanni Crisostomo). Questa unità in Cristo nel corso dei secoli ha aiutato i popoli dell’Europa e delle altre regioni in cui è stato predicato il cristianesimo a superare i conflitti e vivere in pace, scambiandosi i tesori dell’esperienza dell’ascetica cristiana e della santità.
Nella nostra epoca, che alcuni definiscono come "post-cristiana", assistiamo spesso a processi di portata generale o, come si dice oggi, globale. Tuttavia, la globalizzazione odierna non è suscitata da cause interne all’uomo, ma piuttosto esterne: dal progresso tecnico-scientifico, dallo sviluppo del sistema finanziario ed economico mondiale e dei moderni mezzi di comunicazione; perciò essa nella maggioranza dei casi, anziché farle avvicinare, fa scontrare le diverse civiltà, acuisce i problemi internazionali e suscita crisi mondiali di vario genere. Questi processi sono accompagnati da un estremo svuotamento spirituale e morale dell’uomo.
L’uomo dell’era postmoderna, deluso dalle più diverse ideologie e dai più vari sistemi di pensiero, con gran scetticismo chiede oggi assieme a Ponzio Pilato: «Che cos’è la verità?» (Gv 18, 38). Perciò il nostro mondo di oggi, l’ecumene, come un tempo l’Impero romano, ha bisogno dell’annuncio cristiano della fede, della speranza e dell’amore, di un annuncio che possa "dare un’anima" e conferire un senso all’unità esteriore dei popoli cristiani. In un periodo di estrema decadenza morale per l’impero romano l’apostolo Paolo, i suoi discepoli e le comunità ecclesiali da loro fondate, col lieto annuncio di Cristo seppero trasformare la società che attraversava una profonda crisi spirituale.
Ora questa responsabilità ricade su tutti coloro che credono in Cristo e che vogliono portare al mondo il suo annuncio di salvezza. Il giubileo dell’apostolo Paolo che celebriamo ci ricorda con forza il significato della sua esperienza missionaria. San Paolo accordava sempre la sua predicazione con la mentalità e gli usi di coloro ai quali si rivolgeva. «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno», scrive (1 Cor 9, 22).
Seguendo l’esempio dell’apostolo, il cristiano di oggi deve conoscere bene la realtà del mondo che lo circonda, possedere perfettamente il linguaggio di coloro a cui rivolge la propria predicazione. Ma nello stesso tempo il cristiano non deve mai immedesimarsi con "questo mondo", il suo annuncio non può conoscere compromessi quanto alla sua assoluta conformità allo spirito del Vangelo. Non bisogna inoltre dimenticare che l’uomo moderno non si fida più delle parole, per quanto belle possano essere.
Oggi l’annuncio cristiano può essere convincente solo se i cristiani lo incarnano nella propria vita. È proprio questo che ci insegna l’apostolo Paolo, quando scrive nella Lettera ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (2, 20) e quando rivolge ai propri discepoli l’esortazione: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11, 1; cfr. 1 Cor 4, 16). Facendosi imitatore dell’apostolo delle genti, il cristiano è chiamato a essere una viva immagine del Signore e aiutare così il mondo moderno ad accogliere con fede e speranza la Parola di Dio.
Kirill I patriarca di Mosca e di tutte le Russie
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