Corse così tanto per annunciare il Vangelo da lasciarsi alle spalle già allora incomprensioni e amarezze. Non che Paolo di Tarso fosse uno che nelle dispute si tirava indietro. Anzi, era proprio in quei momenti che manifestava tutto il suo temperamento focoso e passionale. Di fatto però, come succede ai grandi personaggi della storia, dopo duemila anni la sua figura è ancora al centro di dibattiti e polemiche.
del 01 gennaio 2002
Corse così tanto per annunciare il Vangelo da lasciarsi alle spalle già allora incomprensioni e amarezze. Non che Paolo di Tarso fosse uno che nelle dispute si tirava indietro. Anzi, era proprio in quei momenti che manifestava tutto il suo temperamento focoso e passionale. Di fatto però, come succede ai grandi personaggi della storia, dopo duemila anni la sua figura è ancora al centro di dibattiti e polemiche. C’è chi è convinto che senza i suoi viaggi missionari la buona notizia di Cristo sarebbe rimasta circoscritta a una sparuta setta ebraica e che l’Apostolo debba essere considerato il vero «inventore» del cristianesimo come religione universale. Sono tesi che conosce bene uno dei massimi studiosi della Chiesa primitiva, il tedesco Rainer Riesner, esegeta protestante, docente di Nuovo Testamento all’Università di Dortmund. Riesner interverrà questa sera all’Università Cattolica in una conferenza organizzata dal Centro culturale di Milano: «Dalla terra alle genti: San Paolo, fondatore del cristianesimo o Apostolo di Gesù?».
Professor Riesner, come mai Paolo di Tarso continua a far discutere?
«È ancora in voga una tesi del XIX secolo per cui Paolo sarebbe l’inventore del cristianesimo. Si vuole così contrapporre Gesù come semplice profeta e Paolo che dai suoi insegnamenti avrebbe creato una teologia complicata e distinta. Paolo viene dipinto come un uomo profondamente condizionato dal pensiero pagano, che per convincere i suoi interlocutori pagani avrebbe divinizzato Gesù. Ma dietro il tentativo di ridimensionare l’apostolo c’è la volontà di negare la natura divina di Gesù e di ridurlo al ruolo di un insegnante di morale… Eppure basta leggere la Lettera ai Filippesi, in cui Paolo fa riferimento a una tradizione che non ha formulato lui ma che ha preso dalla Palestina, perché il linguaggio è semitico. La tradizione sostiene che Gesù è il figlio di Dio. Per cui Paolo non è il primo ad averne affermato la divinità. Allo stesso tempo egli è intimamente persuaso della divinità di Cristo, non solo per aver accettato la tradizione, ma perché ne ha fatto esperienza lui stesso sulla via di Damasco, come racconta nella Lettera ai Galati».
Qual è l’originalità di Paolo nella storia del cristianesimo?
«Paolo ha capito più profondamente e più velocemente degli altri apostoli che Cristo andava annunziato in tutto il mondo e che il padre di Gesù è il Dio dell’Antico Testamento. Ha testimoniato che attraverso Cristo tutti gli uomini possono arrivare al Dio d’Israele, l’unico vero Dio: anche i non ebrei; da qui le sue dispute con i Giudei. E allo stesso modo si è battuto perché gli ebrei convertiti a Cristo potessero continuare i rituali ebraici come la circoncisione. Per questo la sua è una figura moderna, che sprona anche oggi le Chiese alla missione, e Benedetto XVI ha perfettamente ragione sulla necessità di una nuova evangelizzazione dell’Europa. Paolo è un modello anche per le altre religioni e per i politici: lui ha predicato il Vangelo in maniera del tutto nonviolenta e ha sempre rispettato l’irriducibile valore della libertà di coscienza della persona».
Lei è uno dei più apprezzati studiosi di esegesi biblica e archeologia dei luoghi sacri. Quali sono gli ultimi rilevamenti significativi sulle origini del cristianesimo?
«Oggi siamo in grado di mostrare a Gerusalemme il luogo esatto in cui la prima comunità si ritrovava: il Cenacolo della tradizione. Purtroppo non si può scavare in quel posto per motivi politici. Ci sono però importanti sviluppi in un luogo legato alla vita stessa di Paolo: a Smirne, in Turchia, grazie alle ricerche di uno studioso americano, Roger Bagnall, sono stati rinvenuti dei graffiti che fanno riferimento a Gesù; in particolare è stata decifrata la frase "Colui che dona lo Spirito", che potrebbe essere la più antica testimonianza scritta della storia cristiana».
Finora la Lettera ai Tessalonicesi – scritta nel 50-51 – è considerata il testo più antico di un autore cristiano. È l’Apostolo il padre della letteratura cristiana?
«Il dibattito è aperto. Molti studiosi dell’Europa centrale pensano effettivamente che la Lettera ai Tessalonicesi sia il testo cristiano più antico. Ma in ambito anglofono e ora anche tra alcuni cattolici c’è un numero rispettabile di esegeti che ritengono più vecchia la Lettera ai Galati. C’è poi una minoranza di studiosi in cui mi riconosco che pensa sia più datata la Lettera di Giacomo. Penso infatti che essa sia stata scritta prima del Concilio apostolico di Gerusalemme nel 48. In questo testo Giacomo introduce il problema principale affrontato dal Concilio: il rapporto dei cristiani con la legge mosaica. Un tema che sarà trattato, sebbene più tardi, anche da Paolo nella Lettera ai Galati».
Oggi c’è un grande interesse intorno alla storicità di Cristo e degli apostoli. C’è il rischio che alcuni best-seller falsino la verità storiografica?
«Non solo come cristiano ma come studioso sono convinto che i Vangeli siano fonti storiche molto affidabili. Nel Vangelo di Marco soprattutto c’è coincidenza tra fatti, testimonianza oculare e Scritture. Nella ricerca non è più discusso ma accettato che questo Vangelo sia in gran parte l’insegnamento di Pietro. Il legame tra Pietro, l’evangelista Marco e il suo Vangelo diventa importante soprattutto se si considerano i vangeli apocrifi che adesso hanno fortuna nella letteratura popolare. Nessuno degli apocrifi è più antico del II secolo e per nessuno di essi si può riscontrare continuità tra testimoni diretti di Gesù e la loro redazione. E questa è una differenza importante rispetto ai Vangeli canonici».
Che cosa la preoccupa di più delle polemiche su Paolo di Tarso?
«La tesi dell’Apostolo come inventore del cristianesimo è nata all’interno del protestantesimo liberale, anche se molti esegeti evangelici si oppongono a tale interpretazione e non a caso proprio da essi il Papa ha ricevuto le recensioni più entusiaste del libro su Gesù. Ma sono molto dispiaciuto del successo di questa corrente anche al di fuori della Riforma. Io temo che essa sia così diffusa e amata perché apparentemente rende più facile il dialogo con le altre religioni: se Gesù è presentato solo come maestro e profeta e non come figlio di Dio sarebbe più semplice accettarlo per l’ebraismo liberale e l’islam. Ma possiamo rinunciare alla cristologia per il dialogo interreligioso? Su questa domanda si gioca il futuro del cristianesimo».
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