“Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale[...]” (continua)
del 12 gennaio 2003
La parola SCHIAVITU’ richiama tempi antichi, uomini di colore e catene ai piedi. Ma la realtà è ben diversa… forse è tempo di aggiornare i nostri file. Questi numeri parlano chiaro: milioni e milioni. La cosa più sconvolgente, quella su cui è necessario soffermarsi, è che dietro ad ogni cifra c’è una persona. Una persona la cui infanzia e innocenza, i cui sogni e progetti sono stati negati.
E non si tratta solo di un problema del terzo mondo; qui in Italia, a casa nostra, la schiavitù è una realtà. Il prendere coscienza di questo è solo il primo passo. Dobbiamo trasformare la nostra indignazione in azione, cominciando dall’educarci ad un’ottica di speranza. In fondo: “I ragazzi lavoratori, deprivati dell’istruzione e delle gioie dell’età furono il primo campo di lavoro di D. Bosco: piccoli manovali dei cantieri o impiegati nelle fabbriche”. E allora, forse, siamo nel posto giusto! J
Nel 1999 l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha approvato all’unanimità la Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile. Questa però non ha avuto l’appoggio di alcuni paesi industrializzati come ad esempio gli USA, l’Australia, la Gran Bretagna. Tra le forme peggiori di schiavitù hanno indicato:
ü La schiavitù
ü Il reclutamento forzato e obbligatorio di minori per il loro utilizzo nei conflitti armati
ü La servitù per debito
ü La vendita e la tratta dei minori
ü Il lavoro forzato e obbligatorio
ü L’impiego per la prostituzione e la pornografia
ü L’impiego per attività illecite
ü Lavori a rischio per la salute, la sicurezza e la moralità
8.400.000 sono i bambini nel mondo costretti in schiavitù
351.700.000 i minori lavoratori, di cui 5.000.000 in Europa
La percentuale di bambini analfabeti: 47% nell'Africa subsahariana, 16% nel Medio Oriente e nel Nord Africa, 34% nell'Asia meridionale, 6% nell'Asia orientale e nel Pacifico, 12% in America Latina e nei Caraibi e 13% nei Paesi dell’Est Europeo e nei paesi baltici.
Lavoro minorile in Italia:
“Mi chiamo Joseph, ho 13 anni…” Il suo corpo è coperto di ferite: sono bruciature di sigaretta, spenta sulla pelle del piccolo albanese: “Mi hanno venduto i miei genitori. Qui in Italia ero costretto a mendicare e a rubare. Mi sono stufato: era una vita dura, senza alcun guadagno, mi davano da mangiare poco, pativo tanto freddo. Quando ho detto: me ne vado, mi hanno picchiato e sono scappato. Mi nascondo… Ho paura, se mi riprendono mi ammazzano”.
“Simon, anni 10. Sono un ragazzo cinese, quarta elementare. Che cosa faccio dopo la scuola? Aiuto mio papà e i miei fratellini nel laboratorio. Se non lavori, non puoi mangiare, mi dice il papà. Tu non devi giocare… Tu sei grande! Mi devi aiutare. Quante ore: da doposcuola fino a cena e, a volte, anche dopo”.
Carmelo, a 13 anni, guidava i camion rubati da suo padre:
“Mi limitavo a trasportarli da dov’erano stati rubati al capannone, dove venivano svuotati. Se mi fermavano, a me non succedeva niente: ero minorenne al di sotto dei 14 anni, quindi non imputabile!”
“Per il futuro vorrei sottolineare due aree di attenzione e di lavoro, che presumo possano essere un cammino serio anche per chi non si riconosce nella Chiesa.
La prima è l’attenzione a educare e a educarsi. La povertà e l’emarginazione non sono un fenomeno puramente economico, ma realtà che toccano la coscienza delle persone e sfidano la mentalità della società in cui si vive.
Educare la coscienza vuol dire prevenire i gravi danni della povertà e del disagio tra i quali lo sfruttamento dei minori, il loro uso in azioni di guerra o di malavita, l’abbandono e l’abuso violento di cui sono vittime sulla strada o nel corpo.
Educare ed educarsi, accettando e chiedendo l’aiuto dei giovani, responsabilizzandoli nei confronti dei coetanei, promuovendo cammini educativi che orientino il senso della vita, la formazione delle coscienze, l’educazione all’amore e alla solidarietà.
La seconda linea d’azione la vedo nella promozione della cultura: lo sforzo contro l’emarginazione è tanto più efficace quanto più penetra e trasforma l’insieme di percezioni e sentimenti che configurano il pensiero e la condotta di una società o dei gruppi attivi al loro interno. Non è sufficiente un impegno di aiuto o di assistenza in favore dei singoli, anche se questo è importante.
Si richiede un lavoro di animazione sociale che susciti cambiamenti di criteri, nuove forme di relazione e modelli di condotta alternativi all’individualismo possessivo, alla soddisfazione esclusiva di interessi personali, all’abbandono dei più deboli, alla condanna senza speranze di chi soffre dipendenze. Si tratta di promuovere una cultura dell’altro, della sobrietà dello stile di vita e di consumo, della disponibilità a condividere gratuitamente, della giustizia, intesa come attenzione ai diritti di tutti in un’ opera di ampia prevenzione, di accoglienza e di supporto a chi ne ha bisogno.”
Globalizzazione - Crocevia della Carità Educativa
Don Juan Vecchi – Ed. Sei
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Silvia Castagnoli, Elisabetta Prete
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