Nei giorni della consegna dei primi vaccini anti-Covid, è importante ricordare quanto avveniva fino a quarant'anni fa nella lotta contro il vaiolo
di LELLA GINOCCHIO, tratto da vinonuovo.it
Nei giorni della consegna dei primi vaccini anti-Covid, è importante ricordare quanto avveniva fino a quarant'anni fa nella lotta contro il vaiolo
Pochi giorni fa, mettendo in ordine nelle montagne di documenti ammassati nei cassetti, trovo una vecchia cartellina riportante ancora la bella grafia di mia mamma: “Vaccinazioni e malattie infettive”.
Con quattro bambini avuti in sei anni, scrivere ed appuntare ogni scadenza era per lei necessario. Leggo e sorrido al pensiero di un faticosissimo inverno 1969 in cui ci siamo ammalati in tre mesi di varicella, orecchioni e rosolia. Un vecchio cartoncino marrone riporta le sigle delle vaccinazioni obbligatorie e nelle caselle a fianco la scrittura della mamma segnava con diligenza date e richiami. Una graffetta arrugginita unisce poi un più moderno foglio dell’Ufficio di Igiene e Sanità dove questa volta tutto è scritto a macchina, con tanto di timbro.
Mi colpisce una sigla, AV, con prima data nel 1965 e successivo richiamo nel ‘72. Nel cartoncino marrone non ci sono spiegazioni, in quello dell’ufficio comunale invece c’è proprio indicato che quelle due lettere stavano per Anti-Vaiolosa.
Un giorno, parecchi anni fa, mia figlia, allora molto piccola, mi chiese cosa fosse quella cicatrice tonda che aveva notato sul braccio sinistro mio e su quello di mio marito. “E’ il segno di una puntura per proteggerci da una malattia molto grave” le risposi. Inevitabilmente continuarono i suoi perché… “E io allora perché non ce l’ho?” Eravamo in spiaggia e così cominciò a guardare, aggirandosi tra i bagnanti, per vedere chi aveva quello strano pallino e chi no. “Solo i grandi ce l’hanno!” osservò. Era troppo piccola per spiegarle che quella malattia non esisteva più. Era la fine degli anni 80 ed il vaiolo era stato definitivamente dichiarato eradicato dall’OMS nel 1980 e in Italia le vaccinazioni sospese a partire dal ‘77.
Oggi quel pallino che noi over 40 portiamo sul braccio ha una valenza enorme, ha da testimoniare ancora con forza la strada difficile della ricerca, e l’impegno etico che ogni conquista scientifica e sanitaria debba essere condivisa con la popolazione mondiale. Come scriveva Madre Teresa “le cicatrici sono il segno che è stata dura”, non vanno nascoste, sono le nostre tempeste, le imperfezioni di una umanità fragilissima, ma proprio per questo non sono un punto di arrivo, ma un punto di slancio per ripartire più forti.
La cicatrice dell’antivaiolosa dovrebbe essere il testimone di quella che Papa Francesco chiama la “globalizzazione delle cure sanitarie”, cioè la reale possibilità di accesso alle cure da parte di tutte le popolazioni mondiali. La marginalità farmaceutica di cui parla Francesco scaturisce purtroppo dalla globalizzazione dell’indifferenza a cui lui oppone invece quella della cura. E per fare questo c’è bisogno di uno sforzo comune, di una convergenza che coinvolga tutti, soprattutto le coscienze dei governanti e dei luoghi di potere.
Quel segno che abbiamo sul braccio, quella piccola cicatrice che ha salvato tante vite, deve insegnarci anche oggi nell’attuale esperienza della pandemia: il vaccino per sconfiggere il Coronavirus dovrà essere universale, per tutti, non proprietà di Nazioni o di accesso solo a fasce ricche di popolazione. Ieri è cominciato il piano vaccini e, a detta del nostro ministro Speranza, sarà “la più grande vaccinazione di massa che il Paese ricordi”. Mi piacerebbe allora portare il segno ancora di una conquista, di un passaggio storico così importante. A marzo ho vissuto il Covid in prima persona, in casa, in famiglia, e ho sperimentato per 75 giorni tutta la paura, il dolore e l’angoscia di fronte ad un male che nessuno conosceva e in cui nessuno poteva aiutarci da vicino.
Son passati nove mesi e ci si ammala ancora, si soffre ancora e si muore.
Ma la ricerca in questi mesi ha fatto molti passi nelle cure, nella conoscenza di questo virus pericoloso, subdolo e potente e sapere che oggi siamo a questa svolta penso sia una grande sfida e che davvero vada colta e gestita con grande impegno morale.
Guardando gli appunti di mia mamma oggi mi auguro davvero di poter leggere in breve tempo sigle e date sulle schede sanitarie di tutti noi, su quelle dei miei figli e dei loro futuri bambini. La cura arriverà se solo sapremo condividerla davvero, uscendo da logiche economiche e di potere.
La ricerca sarà davvero allora veramente libera.
“Scritto sulla pelle” cantano i Negrita. Le cicatrici sono la nostra storia, le cadute e le conquiste. Sono il diario delle nostre esistenze, da rileggere nei tempi giusti, per imparare, raccontare e crescere migliori.
Gesù stesso si mostra risorto con i segni, con le cicatrici vive del suo amore. Riparte così, da profonde durissime cicatrici, scritte sulla sua carne, segni del suo amore, vangelo vivente per ciascuno di noi.
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