Come parlano i giovani? Che linguaggio usano? Quali ne sono le fonti e le caratteristiche? Quali i suoi significati, i suoi rischi e le sue potenzialità? Si deve parlare di «linguaggio» o piuttosto di «linguaggi» giovanili? L'articolo intende affrontare queste domande, considerando anche la dimensione letteraria che il fenomeno comporta. Guida la riflessione la consapevolezza che il linguaggio non è un semplice strumento che permette di comunicare: la visione del mondo che ci circonda, la stessa esperienza che ne facciamo e la conoscenza che ne abbiamo sono anche di tipo linguistico.
del 16 aprile 2005
«Mi sento tutta gasgallata, oggi è arrivato finalmente il gran giorno», scriveva Letizia Mottica in All’infinito mondo paninaro(1) ormai 17 anni fa. Considerando la rapidità di evoluzione del linguaggio giovanile, possiamo dire che il termine «gasgallata» è ormai desueto: stava per «elettrizzata». È antica anche l’espressione «farsi le canne», cioè fumare hashish o marijuana, ma questa ancora resiste e, anzi, è diventata «classica», spesso usata in forma ironica. E «stare in canna» significa essere antipatico, «cannare» sbagliare (ma anche «bere») e il participio «cannato» bocciato. Basterebbe questo esempio, cioè uno tra gli innumerevoli possibili, per intuire quanto gli studi sul linguaggio giovanile possano rivelarsi complessi(2) e quanto ancora più ardua sia la compilazione di repertori e dizionari(3). Il più recente e completo è Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili(4). Il titolo è traducibile in linguaggio comune con espressioni più comprensibili quali, ad esempio, «vattene, idiota!». Il sottotitolo è ben più esplicativo e può far comprendere meglio il fenomeno che il volume intende indagare. Quest’opera offre una buona opportunità per riflettere sul linguaggio dei giovani e cercare di comprenderne fonti, caratteristiche e significati.
 
La mutevolezza
Scrostati gaggio! si definisce un dizionario «storico», perché intende valorizzare un aspetto fondamentale dei linguaggi giovanili: il loro essere in continuo divenire, la loro mutevolezza geografica e cronologica. È possibile distinguere delle tappe, individuando alcuni momenti salienti di questa storia(5). La prima tappa identifica il momento precedente al 1968. Allora il linguaggio giovanile coincideva sostanzialmente con il gergo studentesco ed era abbastanza statico, limitato e circoscritto. Il periodo dal Sessantotto al Settantasette è stato caratterizzato dall’uso del linguaggio a scopo politico e di contestazione, di derivazione colta, alta, impegnata, segnato soprattutto dalla terminologia politico-sindacale e da espressioni quali, ad esempio, «prendere coscienza», «nella misura in cui», «a livello di», «cioè».
Negli anni Ottanta, come si è verificato nella società un generico riflusso nel privato e un emergere di gruppi con spiccata identità, così anche a livello linguistico sono emersi linguaggi di gruppo, capaci di rafforzare, grazie al lessico, la riconoscibilità di dark, punk, new romantic, «paninari» ecc.(6). Il quarto momento è quello che va dagli anni Novanta fino ai nostri giorni, caratterizzato da una molteplicità di modelli, gusti e tendenze difficilmente riassumibile(7). Forse è da notare però almeno un fenomeno specifico: la nuova crescita del lessico di carattere sociopolitico, legato ai «girotondi», ai movimenti pacifisti e no-global.
Ogni periodizzazione, però, resta sempre parziale. Se, ad esempio, nel Sessantotto molti giovani, specie i più colti, erano «politicizzati», molti altri non lo erano affatto e vivevano realtà diverse da quelle universitarie e contestatarie: Pasolini lo aveva ben compreso quando scriveva i versi: Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri. / Vengono da subtopaie, contadine e urbane che siano (Il PCI ai giovani!!). Al di là di ogni periodizzazione, comunque è da riconoscere che il linguaggio giovanile si evolve a un ritmo decisamente più sostenuto rispetto al linguaggio ordinario, e parole o espressioni comprese e usate in un periodo anche dopo una stagione possono già risultare non più adatte, pur rimanendo ancora comprensibili. Ciò accade perché le mutazioni della cultura giovanile(8) e dei suoi riferimenti fa sì che esse si usurino velocemente e siano soppiantate da altre nuove e aggiornate, nonostante non scompaiano del tutto dall’uso.
Non che questo sia un fenomeno nuovo. Infatti accadeva anche in passato, ovviamente: si pensi all’ottocentesco «bigiare», per dire «marinare» la scuola, e il successivo, e ancora usato, «fare sega», attestato già in dizionari di metà Novecento. Tuttavia la mutazione oggi è rapida, a volte rapidissima(9).
 
Una molteplicità caotica e creativa
Il linguaggio è un modo particolare di esprimersi in relazione innanzitutto al lessico e alla fraseologia. Opportunamente si deve parlare di «linguaggi» giovanili, e non di «linguaggio». Il primo motivo, già illustrato, per cui è necessario parlare al plurale è di carattere storico: spesso parole ed espressioni di un periodo si sovrappongono a quelle di un altro, dando vita a una sorta di «giovanilese storico», caratterizzato da elementi linguistici a lunga durata. A volte alcune espressioni, però, sopravvivono nella comprensione, non nell’uso, come «pisquano» (ragazzo sciocco) o «sbarbina» (ragazza giovane e carina) o «nisba» (niente) e «matusa» (anziano). Ciò vale soprattutto per i termini legati a forme di subcultura giovanile, che presto passa e viene considerata out, quale quella dei «paninari», che ha usato termini come «sfitinzia» (ragazza carina), «cuccare» (conquistare qualcuno o qualcosa), «giusto» (come aggettivo per qualificare in modo positivo qualcosa o qualcuno), «tamarro» (persona volgare). L’universo complesso e molteplice dei linguaggi giovanili è composto da molti elementi che si sviluppano in maniera diacronica. Ne segnaliamo di seguito alcuni.
Il primo è l’apporto dei dialetti che caratterizzano le singole aree geografiche. Così, espressioni chiare in una regione non lo sono in altre, a meno che qualche fenomeno, ordinariamente legato ai media, non le esporti, magari trasformate in verbi e connotate ulteriormente come, ad esempio, la parola di area romanesca «piotta» (in origine «centomila lire»). È da considerare che la grande mobilità dei giovani per motivi di svago o di studio contribuiscono a un «mixaggio» di espressioni dialettali e gerghi metropolitani. È interessante notare che i curatori di Scrostati gaggio! rilevano, alla fine della loro analisi, un fenomeno sociolinguisticamente interessante: «[...] la massiccia e stratificata presenza, accanto ai dialettismi locali gergalizzati, di forme dialettali di altre aree, e in particolare di quelle delle parlate meridionali, invalse nei linguaggi giovanili di Torino, Milano e Genova, come a rispecchiare linguisticamente le complesse dinamiche sociali legate alla storica emigrazione dal Sud al Nord dell’Italia»(10).
Agli elementi dialettali sono da unire gli esotismi, cioè i termini provenienti, per adattamento o calco, dalle lingue straniere e, soprattutto, dall’inglese. È interessante notare come dialettismi ed esotismi convivano, fondendosi in maniera creativa(11). Un esempio è l’«anglo-pescarese» dei personaggi dei romanzi di Silvia Balestra(12). Altro elemento importante che confluisce nella lingua dei giovani è l’incidenza dei termini fumettistici(13), musicali e, in genere, il lessico e il frasario legati alla televisione (si pensi alla diffusione del termine «gabibbo», che in origine era un termine spregiativo riservato ai meridionali immigrati nel Nord). Molto importante è l’uso di internet e delle tecnologie informatiche, che ha coniato e diffuso termini quali «giga» (grandioso), «andare in loop» (essere in un circolo vizioso), «resettare» (azzerare, ricominciare daccapo), «sconnesso» (disattento), «sciftare» (far scorrere, spostare), «chattare» (chiacchierare). La pubblicità ha un suo ruolo a livello di proposte linguistico-stilistiche quali, ad esempio, «libera e bella», «che più bianco non si può», «mira mira l’olandesina», «per l’uomo che non deve chiedere mai», «profumo d’intesa»… Tra le fonti dei linguaggi dei giovani troviamo anche una sorta di caos creativo lessicale: il cosiddetto «linguaggio innovante». Esso è creato da gruppi ristretti numericamente e spazialmente (può essere un gruppo particolare, una classe…) e circola al loro interno. Per lo più è molto effimero e difficilmente documentabile, a meno che non abbia successo e non entri in circoli più ampi rispetto a quello nel quale è nato.
Il linguaggio ordinario è anch’esso fonte di parole ed espressioni tipicamente giovanili. Sul piano lessicale, infatti, viene sottoposto a precisi meccanismi di deformazione quali le abbreviazioni e le apocopi («profio» per professore, «rega» o «raga» per ragazzo/a, «para» per paranoia), la suffissazione parassitaria («acidoso» per acido, «cozzaro» per cafone, «pipparsela» per lamentarsi, «stirarsela» per spassarsela, ma anche morire), le onomatopee (come «zac», «plumf», «grr», «fuihhhh», «sblat», «gulp», «gasp»), che a volte sono verbi inglesi, le univerbazioni (come «bellaroba», «chessoio», «grambaccano»…), le affissazioni («megagalattico» per straordinario), i cambi di affisso («malefico» per maledetto, «utillimo», per utilissimo) ecc. Alle deformazioni lessicali corrispondono i cambiamenti semantici, cioè di significato, per estensione («libidine» per piacere), per iperbole («bestiale» per grandissimo, intenso), per metafora e vari altri spostamenti di significato («tirare un pacco» per dire ingannare, dare una fregatura)(14).
 
Gerghi e altri linguaggi
Rientrano come componenti dei linguaggi dei giovani anche i vari «gerghi», da quello studentesco a quello militare, da quello della droga a quello più esplicitamente sessuale, e altri ancora. Occorre però distinguere chiaramente tra gerghi e linguaggi giovanili. Il gergo, infatti, è un linguaggio convenzionale, spesso allusivo ed enigmatico, che tende a caratterizzare un gruppo e ad escludere dalla comprensione coloro che ne sono estranei. Caratterizza le lingue furbesche ed esplica una funzione che invece sembra assente o del tutto secondaria rispetto all’espressione giovanile: essa può essere di fatto poco comprensibile, ma le sue finalità sono plasticamente espressive e non volutamente criptiche.
Ma i linguaggi giovanili sono ben più complessi di quello verbale e riflettono la complessità della vita dei giovani. Esistono molti linguaggi non verbali che i giovani usano per comunicare tra loro. A parte l’abbigliamento e i gesti, che spesso accompagnano anche linguaggi verbalmente poveri, ricordiamo che alle parole dette occorre integrare il modo in cui vengono dette. Fa parte dei linguaggi giovanili orali tutto quel complesso di fatti di pronuncia e di intonazione quali sono, ad esempio, le storpiature e gli allungamenti vocalici: una cosa è dire «ciao», altro è pronunciare «ciaaaaao», allungando la vocale «a» per esprimere, ad esempio, meraviglia. Fa parte dei linguaggi scritti anche tutto ciò che è modalità scrittoria (evidenziatori, pennarelli…) e supporto, più o meno lecito, di scrittura (diari, muri, banchi di scuola, cartelli…).
Almeno da quando si sono diffusi i cellulari e la posta elettronica, esiste anche un linguaggio iconico fatto di segni grafici per esprimere emozioni e stati d’animo. Si tratta dei cosiddetti emoticons, cioè «icone emotive»: formate da segni di interpunzione quali virgole, punti, e simboli quali parentesi, asterischi, da leggere in orizzontale come se però fossero disposti in verticale. Qualche esempio: per esprimere un sorriso occorre porre in sequenza due punti, un trattino e una parentesi tonda che chiude, cioè :-) Per esprimere attenzione, il numero 8 seguito da un trattino e una parentesi 8-) o, per strizzare l’occhio, un punto e virgola seguito da trattino e parentesi ;-)
Da accostare agli emoticons è il linguaggio degli sms (short message system o service), detti ordinariamente «messaggini», che si compone di abbreviazioni quali 3mendo, hdere, novelordin (non vedo l’ora di incontrarti), tvb (ti voglio bene), xxx (baci)… Qualcuno sta riflettendo sull’utilità pastorale di questo sistema di comunicazione(15).
 
La complessità del mondo giovanile
Alla molteplicità degli elementi che compongono il fenomeno del «linguaggio giovanile» si deve unire una considerazione fondamentale: i «giovani», intesi come categoria generale, non esistono. Esistono i pre-adolescenti, gli adolescenti, i post-adolescenti, i giovani adulti… Il linguaggio «giovanile» di un pre-adolescente non è quello di un trentenne, ma anche quello di un quattordicenne non è quello di un ventenne. I giovani in età scolare hanno come riferimento fondamentale l’ambiente scolastico e un particolare gruppo di amici. Essi sono più portati a coniare un linguaggio innovante originale, termini strani, spiritosi, capaci di fare effetto e che restino in mente. Invece i ventenni hanno altri contesti di riferimento, più ampi e vicini al mondo degli adulti, siano essi legati alla realtà dello studio o del lavoro. Il periodo in cui avviene un’accelerazione della dinamica linguistica è quello tra gli 11 e i 19 anni, quando l’evoluzione umana globale è più accentuata.
Inoltre occorre distinguere l’uso del linguaggio secondo la condizione sociale. Giovani di condizione o istruzione basse utilizzano settori del linguaggio giovanile definibili come «in via di obsolescenza»(16), mentre quelli di condizione sociale intermedia utilizzano più facilmente in maniera ludica lemmi che si impongono come «moda». Tuttavia è da considerare che la maggiore percentuale dei giovani è composta da coloro che usano solamente quei lemmi del linguaggio giovanile che sono ormai diffusi anche nel lessico comune(17). Occorre inoltre considerare che un piccolo paese di provincia e una metropoli sono contesti tra loro molto differenti per lo sviluppo e l’uso del linguaggio dei giovani: nonostante sia effettiva una tendenza all’omologazione, i due ambienti restano culle di linguaggi differenti. Insomma, il linguaggio giovanile riflette la complessità del mondo dei giovani. Come non si può parlare, se non in termini troppo generali, di «cultura giovanile», così non si può parlare di linguaggio giovanile semplicemente al singolare.
 
La dimensione letteraria tra linguaggio parlato e scritto
Sfogliando Scrostati gaggio!, il dizionario che ci ha spinto a scrivere questo articolo, si resta colpiti da un dato chiaro: esso è un lessico letterario. Come nella migliore tradizione lessicografica della casa editrice torinese che lo pubblica, è costruito sulla base dello spoglio di un ricchissimo corpus di romanzi, racconti, testi di canzoni, riviste cartacee e on line. È, dunque, un dizionario della lingua scritta che documenta le sue voci sulla base di testi di autori ormai «classici» come Italo Calvino, Cesare Pavese, Pier Paolo Pasolini, Pier Vittorio Tondelli, ma anche dei più giovani autori della «nuova letteratura» degli anni Novanta quali Silvia Ballestra, Niccolò Ammaniti, Enrico Brizzi, Giuseppe Caliceti ecc. A questi si aggiungono molte testimonianze dal vivacissimo mondo musicale (Elio e le storie tese, Jovanotti, Articolo 31, Skiantos, Subsonica, Vasco Rossi…)(18). Dunque Scrostati gaggio! non è solamente una testimonianza del linguaggio giovanile parlato, non risponde a una ricerca diretta sulle parole «dette», ma su quelle che sono anche documentabili sulla base di testi scritti o almeno già confluite in altri repertori. Questa constatazione fa comprendere come molte occorrenze lessicali del parlato dei giovani si siano ormai stabilizzate, diventando lingua standard.
Il dizionario così è anche una testimonianza letteraria, un contributo lessicologico alla comprensione del variegato mondo della «giovane letteratura» italiana. Esso fa comprendere come esistano esempi letterari novecenteschi di protogergalità da Umberto Saba (Versi militari) a Elio Vittorini (Garofano rosso) a Pasolini (da cui sono tratti circa 100 esempi). Tuttavia è negli anni Novanta che si ha una specifica concentrazione di testimonianze di uso del linguaggio popolare, gergale, colloquiale, di registro basso, anche volgare.
Scrostati gaggio! ribadisce che, come già avevamo scritto anni fa su questa rivista, il primo scrittore a compiere in maniera drastica la scelta di portare dentro la narrazione il linguaggio dei suoi coetanei è stato Pier Vittorio Tondelli(19). Egli ha espresso una «fiducia nella letteratura», che riconosce come sia «possibile per un giovane risolvere la frattura tra quotidiano e fantastico, ricercare con le parole una propria identità; soprattutto è possibile affidare alla letteratura, al libro, la comunicazione di una propria esperienza e di un proprio linguaggio reali»(20).
La forza dell’idea tondelliana della scrittura consiste nell’attribuirle il potere di impastare gli stili e i generi più diversi: fumetto, sport, musica e video. La musica innanzitutto entra a far parte piena e necessaria della materia stessa della narrazione. La ricerca è volta a far sì che le parole mute della pagina diffondano il loro suono, la loro voce, il ritmo del linguaggio. La vera aspirazione di questo frantoio linguistico è quella di allontanarsi da un linguaggio fatto semplicemente per far conoscere, per essere invece un linguaggio di potenza: «La mia letteratura è emotiva, le mie storie sono emotive; l’unico spazio che ha il testo per durare è quello emozionale […]. La letteratura emotiva è quella più intimamente connessa alla lingua; la letteratura emotiva esprime le intensità intime ed emozionali del linguaggio […]: literature of power, unica letteratura che dura, la scrittura emotiva, la scrittura parlata, il sound del linguaggio parlato, l’emozione del linguaggio parlato»(21). Maestro di questa lezione è stato lo scrittore francese Louis-Ferdinand Céline, che nel suo Colloqui con il professor Y aveva scritto: «Il romanzo a “resa emotiva” è una fatica da non crederci […]; l’emozione può essere captata e trascritta solo attraverso il linguaggio parlato! e a prezzo di infinita pazienza! di minutissime ritrascrizioni!»(22).
Il parlato con Tondelli diventa non mimesi, semplice imitazione, ma vero e proprio stile. Attraverso la sua opera, l’idea dello stretto legame tra linguaggio parlato e scritto in funzione emotiva, passa agli scrittori degli anni Novanta, di cui Scrostati gaggio! è un’ampia e ricca testimonianza, facendo comprendere come una parte consistente della nuova narrativa italiana degli ultimi vent’anni si sia indirizzata verso un uso costante e diffuso dei linguaggi giovanili.
 
Significati e valori del linguaggio giovanile
La narrativa ha colto nel parlato giovanile una valenza di immediatezza, di emotività, di «potenza», che non sembra trovare nella lingua «normale». Se questa constatazione ha un valore che riguarda l’espressione, in realtà rivela anche un valore più profondo: l’urgenza, vissuta dai giovani, di una comunicazione profonda, forte, vibrante, capace di coinvolgere il vissuto concreto e anche tutte le sue passioni artistiche (musica, cinema, fumetto…). La lingua ordinaria è troppo formale per un giovane che si apre alla vita in maniera esuberante e anche conflittuale. Quali sono i motivi che sembrano rendere necessari linguaggi giovanili lontani, in varia misura, dalla lingua standardizzata? Cerchiamo di indicarne almeno tre fondamentali.
Il linguaggio giovanile rompe la catena grammaticale e sintattica, cioè infrange le regole codificate. La finalità di questa infrazione a livello sociale ha due facce speculari: una finalità di coesione, orientata all’interno di un gruppo, e una finalità di contrapposizione, orientata verso l’esterno. Il codice linguistico costruisce uno spazio sociale. Le caratteristiche del linguaggio giovanile possono indicare un rapporto conflittuale con l’esterno, col contesto psico-sociale, fatto di disprezzo, rifiuto, generato da instabilità sociale ed emotiva. Il rischio è palese: la ghettizzazione, la tendenza a una forma di narcisismo di gruppo e la ricerca inevitabile di stili forzatamente alternativi. Il linguaggio giovanile inteso in tal modo finisce per acquisire connotazioni fortemente negative. Occorre tuttavia leggere anche un bisogno, seppur male inteso, di riconoscersi insieme ad altri, di non essere soli al mondo, di appartenere a un gruppo umano che abbia proprie regole e propri modi di esprimersi. Il senso di appartenenza è un valore, che dice un bisogno profondamente radicato nella natura umana. È un valore da educare, anche linguisticamente.
Ma esiste un versante che potremmo dire più personale. Il linguaggio giovanile, lo si sa, è spesso viscerale, quando non proprio aggressivo. Molti sono i termini che, in un modo o nell’altro, contengono allusioni sessuali. Alcuni addirittura finiscono per identificare linguaggio giovanile e turpiloquio(23). È vero che, a volte, il linguaggio giovanile rischia di essere povero e, dunque, di far ricorso a metafore troppo «vivaci» e di facile effetto. Tuttavia sarebbe un errore identificare il linguaggio giovanile con quelle che vengono normalmente definite «parolacce», cioè parole sconce, offensive o volgari.
È vero, comunque, che il linguaggio dei giovani è più decisamente emotivo di quello standard, e, come si è detto, l’espressione letteraria ne ha ben compreso la valenza. Questa emotività espressiva sembra andare a detrimento del linguaggio che esprime una conoscenza logico-razionale, lineare, pacata. Sembra che sia impossibile conoscere e parlare in forma discorsiva, senza ricorrere alla potenza rappresentativa di parole-immagini e suggestioni allusive. Non solo: sembra che i sentimenti siano appiattiti sulle emozioni, e che la loro espressione non possa che essere «forte». Paradossalmente dunque sarebbe sacrificata la profondità del sentire, oltre quella del conoscere razionale.
D’altra parte occorre riconoscere il bisogno positivo dei giovani di esprimersi con esuberanza, con le energie che sono al centro della loro esperienza emotivo-affettiva della vita. La conoscenza «chiara e distinta» non è sufficiente, e il linguaggio che la esprime neppure. Appare evidente, dunque, per gli educatori l’importanza di una sana e aperta pedagogia che sappia cogliere le istanze positive insite nell’espressione giovanile, che sappia anche porre in evidenza i rischi e i limiti di un certo modo di esprimersi. In primo luogo occorre aiutare i giovani a evitare il turpiloquio gratuito e a comprendere le inaccettabili e assurde valenze offensive e discriminatorie di certi termini spregiativi, ad esempio riferiti a uomini di colore, persone omosessuali, ebrei ecc. La violenza spesso nasce proprio dal linguaggio. In questo senso l’importanza dell’ambiente ordinario di vita risulta decisiva.
Infine notiamo che, in genere, fantasia e originalità linguistica sono elementi premiati dalla vita in gruppo. Ciò aiuta a trovare una propria identità, a giocarsi nelle relazioni con tutta la propria personalità, anche con il proprio modo di esprimersi. La dimensione ludica del linguaggio giovanile è importante: rende più fiduciosi sulla possibilità di comunicare con i propri simili e aiuta ad essere più creativi nel modo di vivere le situazioni della vita.
Occorre infatti ricordare che il linguaggio non è un semplice strumento di comunicazione, un «arnese» che permette di esprimerci. Il linguaggio è anteriore a noi, ci precede, vi nasciamo dentro. All’inizio non lo scegliamo: esso si offre all’uomo come una condizione, nella quale egli sviluppa la propria personalità, i propri sentimenti e i propri pensieri. La nostra visione del mondo che ci circonda, la stessa esperienza che ne facciamo e la conoscenza che ne abbiamo è anche di tipo linguistico. Noi viviamo e pensiamo in una lingua particolare con tutte le sue peculiarità, e questo ha un profondo significato per la nostra vita: il linguaggio diventa un «ambiente» di vita e di maturazione, capace di trasmettere gusti, visioni del mondo, atteggiamenti etici, sentimenti. Non si può vivere in questo habitat in maniera meramente passiva: man mano che si cresce, lo si assimila, certo, ma anche lo si sviluppa in maniera originale e lo si adatta alle proprie esigenze. Crescere e assimilare un linguaggio violento, volgare o discriminatorio significa orientarsi in maniera negativa nei confronti della propria vita personale e della convivenza sociale. D’altra parte, però, la spiccata creatività linguistica dei giovani può avere una ricaduta significativa nel modo di vivere e conoscere in maniera più ricca e originale l’esperienza umana.
 
 
NOTE 1 Cfr L. MOTTICA, All’infinito mondo paninaro, Milano, Mondadori, 1988.
2 Una buona bibliografia e varie risorse utili sono consultabili all’interno del sito LinguaGiovani, del «Centro di documentazione sulla lingua dei giovani», curato dal Dipartimento di Romanistica della Facoltà di Lettere dell’Università di Padova (www.maldura.unipd.it/giov/index.shtml).
3 Cfr, ad esempio, C. LANZA, Mercabul. Il controlinguaggio dei giovani, Milano, Mondadori, 1977; R. MANZONI - E. DALMONTE, Pesta duro e vai trànquilo. Dizionario del linguaggio giovanile, Milano, Feltrinelli, 1980; A. FORCONI, La mala lingua. Dizionario dello «slang» italiano, Milano, SugarCo, 1988; G. R. MANZONI, Peso vero sclero. Dizionario del linguaggio giovanile di fine millennio, Milano, Il Saggiatore, 1997; R. GIACOMELLI, Lingua Rock. L’italiano dopo il recente costume giovanile, Napoli, Morano, 1998. È da segnalare come numerose siano state le ricerche condotte a livello scolastico, che hanno prodotto glossari e pubblicazioni di vario genere. Ricordiamo solamente il concorso «Bada come parli» indetto dalla UTET nel 1991-92 che ha condotto all’aggiunta di circa 900 nuovi termini o modi di dire nel Grande Dizionario della Lingua Italiana. Numerosi poi i siti internet che contengono repertori settoriali.
4 Cfr R. AMBROGIO - G. CASALEGNO, Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili, Torino, UTET, 2004.
5 Cfr M. CORTELLAZZO, «Il parlato giovanile», in L. SERIANNI - P. TRIFONE, Storia della lingua italiana, vol. II: Scritto e parlato, Torino, Einaudi, 1994, 291-317. La periodizzazione di Cortellazzo è fatta propria anche dai curatori di Scrostati gaggio!
6 Riferimento imprescindibile per orientarsi criticamente in questo panorama è P. V. TONDELLI, Un Weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta, Milano, Bompiani, 1990.
7 Cfr A. SPADARO - E. CRASTO (edd.), Radio on. Tra le colonne sonore degli anni ’90, Napoli, Giannini, 1994.
8 Cfr I. CAMPANELLI - G. TOMACIELLO, Il linguaggio dei giovani e la nuova realtà sociale italiana, Benevento, Società Dante Alighieri, 1998.
9 In tal senso, ad esempio, il titolo del dizionario UTET è obsoleto. Il pasoliniano «gaggio», che sta per «stupido», non sembra più in uso e forse non è neanche compreso, anche se «scrostarsi», che sta per «allontanarsi», lo è ancora. L’espressione, però, usata nel 2004 come titolo, rende bene la storicità dei linguaggi giovanili e dunque risulta azzeccata.
10 «Introduzione», in R. AMBROGIO - G. CASALEGNO, Scrostati gaggio!..., cit., VIII.
11 Cfr E. RADTKE, «La dimensione internazionale del linguaggio giovanile», in E. BANFI - A. A. SOBRERO (edd.), Il linguaggio giovanile degli anni Novanta. Regole, invenzioni, gioco, Bari, Laterza, 1992, 5-44.
12 Cfr i nostri «Giovani narratori tra esuberanza e smarrimento: G. Culicchia, S. Ballestra, E. Brizzi», in Civ. Catt. 1995 II 118-131 e «L’elemento picaresco nella narrativa giovanile. “Albertino”, S. Ballestra, G. Culicchia, A. Demarchi», ivi, 1997 IV 50-56.
13 Cfr A. M. MIONI, «Uao! Clap, clap! Ideofoni e interiezioni nel mondo dei fumetti», in E. BANFI - A. A. SOBRERO, Il linguaggio…, cit., 85-96.
14 Cfr A. A. SOBRERO, «Varietà giovanili: come sono, come cambiano», ivi, 52-55.
15 «Nonostante la barriera invalicabile della brevità e il vasto campionario di banalità che viaggia sui cellulari, i messaggini dal contenuto profondo possiedono delle potenzialità pastorali. Non può dirsi senz’anima un fenomeno tecnologico che fa giungere a imprevedibili destinatari una parola che tocca la mente e il cuore. Ne sono tanto convinti due cattolici tedeschi, conduttori di programmi religiosi televisivi, che hanno preso l’iniziativa di inviare ogni giorno con un sms “l’ultimo consiglio della sera”, accompagnato da una preghiera, al cellulare di chi lo desidera. […] Come escludere che un messaggio breve, improvviso, continuativo e soprattutto spiritualmente calibrato, possa spingere anche a un radicale cambiamento di vita?» (V. MAGNO, «Giovani, l’annuncio via sms», in Avvenire, 30 dicembre 2004).
16 Cfr M. LIVOLSI - I. BISON, «Una lettura dei dati: alcune ipotesi interpretative», in E. BANFI - A. A. SOBRERO, Il linguaggio…, cit., 155.
17 Cfr ivi, 158-193.
18 Ogni lemma è documentato da una o più citazioni puntuali che includono per i volumi non solo i dati bibliografici essenziali, ma anche la pagina da cui la citazione è tratta. Per i dischi viene indicato il brano e l’album nel quale esso è inserito.
19 Più volte la nostra rivista si è occupata della sua opera. Cfr i nostri «La religiosità dell’attesa nell’opera di Pier Vittorio Tondelli», in Civ. Catt. 1995 IV 30-43; «L’interesse per la scrittura creativa in Italia. I. Gli anni Ottanta e il progetto “Under 25” di P. V. Tondelli», ivi, 1998 I 567-577; «Gli ultimi appunti di P. V. Tondelli. Ipotesi critiche su testi inediti», ivi, 2001 IV 576-588. Cfr anche i nostri Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l’attesa, Reggio Emilia, Diabasis, 1999; «Laboratorio Under 25». Tondelli e la nuova narrativa italiana, ivi, 2000; Lontano dentro se stessi. L’attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Milano, Jaca Book, 2002.
20 P. V. TONDELLI, Un Weekend…, cit., 214 s.
21 Id., L’Abbandono. Racconti dagli anni Ottanta, Milano, Bompiani, 1993, 7.
22 L.-F. CÉLINE, Colloqui con il professor Y, Torino, Einaudi, 1971, 20.
23 È bene notare che ci sono espressioni o lemmi che di per sé sono «parolacce», ma che, con l’uso, hanno perso il loro valore, si sono desemantizzate e sono diventati passe-partout o puri intercalari. Ciò non significa che siano da usare comunemente, ma che, in termini di valutazione, richiedono una considerazione differente rispetto a una parola di reale significato offensivo oppure osceno.
 
 © La Civiltà Cattolica 2005 I 471-482 quaderno 3713
padre Antonio Spadaro S.I
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