Il gusto della partita nel gioco del Papa.Gesù Cristo ha avuto indubbiamente dei problemi di consenso. Finì quasi solo. Né il popolo né i capi politici o religiosi gli furono al fianco. Quando si trovò in mezzo ad una folla che lo acclamava, sapeva bene che tutti costoro erano sinceramente attratti dalla sua personalità
del 23 aprile 2005
Gesù Cristo ha avuto indubbiamente dei problemi di consenso. Finì quasi solo. Né il popolo né i capi politici o religiosi gli furono al fianco. Quando si trovò in mezzo ad una folla che lo acclamava, sapeva bene che tutti costoro erano sinceramente attratti dalla sua personalità, da quel che diceva sulla dignità della vita e sul mistero. Ma sapeva anche che l'adesione, cioè il momento in cui un uomo con libertà di cuore e di mente si attacca a quel che lo attrae, non scattava, se non per pochi.
Negli intensi faccia a faccia con alcune persone di diversa estrazione (come si direbbe oggi), come il cieco nato, il giovane ricco, la prostituta, si giocava la verità di quanto veniva colto nei momenti di folla. La sua fama correva tra i villaggi, ma quando uno si trovava davanti a lui - e poi nei secoli ai suoi discepoli - succedeva qualcosa. Cosa? La libertà e la commozione di dire: mio Signore! O di andare via, magari rimuginando sui propri limiti. I Vangeli son pieni di momenti in cui si dice che i pochi che già lo seguivano «credettero in lui». Come dire: anche tra i suoi amici stretti, la conversione era una faccenda personale e continua nel rapporto con Gesù.
Il giorno dopo l'elezione di Benedetto XVI sono volato a New York per alcune letture di poesia. I giornali pubblicavano a tutta pagina le immagini del nuovo Papa. E a cena mi chiedevano: perché lui? Subito, la discussione s'incanalava su faccende secondarie, su malintese posizioni ecclesiali circa la morale eccetera. Io tacevo. I poeti come maestri di morale valgono poco e io ancor meno. Ma ho detto che arrovellarsi su quelle vicende è come arrovellarsi sul colore della bandierina del corner quando si parla di calcio.
Per comprendere cos'è un corner e perché la bandierina sta lì, occorre partire dal gust o per il calcio, dal pallone. E il pallone della grande partita della Chiesa - passateci la metafora - è Gesù Cristo. Togli quello, e tutto è inutile. Le porte sarebbero spettri, le bandierine inutili segnali, i giocatori ballerini inquietanti. Anche il grandioso spettacolo di questi giorni, la dolce e dura morte, il lungo incolonnarsi, il semplice e maestoso funerale, e poi i cardinali conclusi, la fumata, l'acclamazione, tutto ciò sarebbe un gran bel teatro dell'assurdo. Se non fosse per Cristo. Il nuovo Papa lo sa bene. Si è preso da tempo la briga di ripetere ai dotti e al popolo che la straordinaria e drammatica vicenda della Chiesa coincide con la presenza di Gesù nella storia e non con una filosofia o una morale tra le altre.
Per questo la missione di Benedetto XVI e dei cattolici - custodire, anzi ricolmare, i granai della fede, come è stato qui scritto ieri - non è una questione di consenso generale, e quindi generico. È la bomba e il venticello nuovo che colpisce il cuore di ogni singolo uomo quando riconosce Gesù Cristo, l'incarnazione del mistero dell'essere, il volto buono del Padre che si mostra e salva ogni aspetto del vivere, mangiando, amando, piangendo, morendo.
Io, caro Papa, sono l'ultimo a poter alzare gli occhi a te. Vasta la mia miseria. Ma so che cos'è la fede, so che non è un merito, e perciò spero e scrivo. E so che tanti vorrebbero poter guardare con fiducia la tua presenza. Per conoscere il gusto della partita, per conoscere Cristo. In quanti non ne sanno nulla! In tanti hanno il problema di non sentirsi degni. Mi dicono, pensando alla Chiesa: ma allora io non vado bene. Tu sai che Gesù è venuto per tutti: gli siamo andati bene, bene da morire. Mostracelo, dal cuore di Roma.
Davide Rondoni
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