«Seguimi»

In un attimo prese la decisione di andare, senza che la sua mente facesse in tempo neppure a dissuaderlo, guidato dal cuore che rispondeva ad altre ragioni. Scese in strada e corse, corse fino a consumare tutto il fiato, facendosi largo con forza tra le proteste degli altri e si fermò solo davanti a Gesù...E non aveva ancora aperto le labbra quando la voce di Gesù si alzò chiara sui sussurri d'intorno: «SEGUIMI»...

«Seguimi»

da Teologo Borèl

del 16 novembre 2005

5Eppure a guardarlo sembrava che suo padre sorridesse e che le palpebre abbassate tremassero leggere come per un vento fievole. E le ciglia pure, a fissarle con pazienza, si muovevano sfiorate da un alito caparbio che a forza trovava spazio tra le labbra. Sarebbe stata soltanto questione di tempo e poi, come dopo un lungo riposo, suo padre avrebbe mosso le braccia e poi le gambe e infine si sarebbe levato per amarlo ancora.

E così attendeva in silenzio, costringendo se stesso a credere a quel dolce inganno che ora sembrava alleggerire il peso. Era la luce delle torce che giocava sul letto di morte, ferendo ora qua ora là le tenebre che sommergevano la stanza. Le fiamme danzavano sinuose e inseguendo il buio regalavano a quel corpo l’illusione di un nuovo rossore e di un fremito leggero ma pur sempre un fremito.

Ostinarsi a cercare la vita in un corpo che sta per essere sepolto mentre nelle proprie vene ancora vivaci scorre la morte. Che impresa senza ragione.

Il silenzio pesto come il buio aveva sbiadito ogni cosa. Buio e silenzio nella sua mente. Buio e silenzio nel suo cuore. Buio e silenzio nel suo animo. Cercare la vita e non averne per sé. Il dolore assoluto giocava con lui senza più neanche colpirlo tanto era assoluta la resa. Perse il conto delle ore passate, e se fuori ci fosse luce o languide ombre non aveva davvero alcun rilievo.

All’improvviso strepiti di gioia lo scossero dal grande sonno ed egli alzò il capo verso suo padre quasi ad interrogarlo su quell’inaspettato clamore. La gente gridava e sembravano grida di gioia. L’entusiasmo lievitava nell’aria e la polvere si alzava nella corsa confusa di centinaia di persone. Questo almeno sembrava a sentire. Cosa poteva essere accaduto? Forse se si fosse sforzato di carpire qualche parola, di distinguere un grido tra i tanti, di certo avrebbe risolto il mistero. Ma gli interessava davvero? Non era lui oramai straniero alle passioni dell’esistenza? Chi vede la morte può fingere che non sia mai accaduto? Chi ha avuto un braccio tagliato può ancora trovare piacere in carezze amputate per sempre? Chi ha avuto sottratto l’amore, cosa può farsene ancora del cuore?

Qualcuno dei suoi, entrato furtivo nella stanza, gli sussurrò: «Il Maestro è qui». Già era qui l’uomo di cui parlava tutta la Galilea e ancora oltre. L’uomo che sorrideva come un angelo e che negli occhi aveva il bagliore delle stelle del cielo. La leggenda che lo precedeva diceva queste e altre cose di lui. La sua voce lieve come un canto di madre e i suoi gesti miti che scacciavano i demoni meglio della spada. Suo padre quanto avrebbe desiderato incontrarlo, quasi ogni giorno nei loro discorsi finivano per parlare del Nazareno. Lui con la sua gioventù scettica esitava e suo padre con la saggezza dell’età amava ripetergli: ricordati che l’amore non può far male. E ora quell’uomo era qui, ma suo padre avrebbe deluso l’incontro.

Così in un attimo prese la decisione di andare, senza che la sua mente facesse in tempo neppure a dissuaderlo, guidato dal cuore che rispondeva ad altre ragioni. Scese in strada e corse, corse fino a consumare tutto il fiato, facendosi largo con forza tra le proteste degli altri e si fermò solo davanti a Gesù. Il petto avrebbe dovuto calmarsi, ritrovare il respiro naturale, i polmoni smettere di bruciare, le gambe di tremare così forte e allora, solo allora, avrebbe parlato. I pensieri, ecco aveva dimenticato, i pensieri. Andavano ordinati con calma, altrimenti che figura avrebbe mai fatto. Il problema era fare ordine in così poco tempo, solo alcuni istanti, Cristo era davanti a lui e aspettava. Come sciogliere quel groviglio nel cuore che nei giorni era diventato sempre più grande e più duro. Come scioglierlo in pochi momenti. E non aveva ancora aperto le labbra quando la voce di Gesù si alzò chiara sui sussurri d’intorno: «SEGUIMI».

Pensò di non aver capito: le sue orecchie da giorni abituate al silenzio non erano più strumenti fedeli. Dunque Cristo aveva detto SEGUIMI e lo aveva detto proprio a lui. E come poteva conoscerlo? Come poteva fidarsi di lui al punto da sceglierlo per avere compagnia, per essere testimone di eventi che il mondo chiamava già miracoli? Come poteva credere che la forza necessaria era nelle sue corde e non travalicasse la misura naturale del suo cuore? Lui schiantato dal dolore come poteva essere strumento di speranza? Non aveva fatto niente, davvero niente, per meritare quell’invito, così diretto, tanto secco da non dare neanche spazio al rifiuto. Abbandonando per un momento lo sguardo di Cristo, si volse verso la sua casa dove il corpo di suo padre attendeva di essere onorato, e con il braccio la indicò a Gesù quasi a spiegargli il suo mutismo e la sua esitazione. Le parole finalmente trovarono la forza di aprirsi la strada ed egli riuscì a dire: «Signore permettimi che io vada prima a seppellire mio padre».

Egli sentiva di avere dei doveri anche se avrebbe voluto rispondere subito a quell’invito tanto incredibile. Nel suo cuore era nato un conflitto, dove gli obblighi che sentiva di avere verso la morte si scontravano con quella parola che trasudava vita dappertutto. Sentiva giusto quel desiderio che rischiava di distoglierlo da ogni cosa, desiderio di inseguire gli uccelli del cielo e di avere come tetto le stelle e come lenzuolo la coltre della notte. Il desiderio di parlare alla luce del fuoco con Gesù dell’eternità e dell’amore del Padre. Già ma egli un padre l’aveva o meglio l’aveva avuto e tanto gli era stato donato, e ora doveva rispondere con gratitudine e onorare come la consuetudine dettava ciò che di quell’uomo era rimasto. Che figlio sarebbe stato altrimenti?

E la voce di Cristo si alzò di nuovo sulla confusione dei suoi pensieri: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti».

Cristo era la Vita che strappava alla morte il suo dominio. Essa è un’erba che guadagna terreno in silenzio, senza che nessuno se ne accorga, e diventa poi la padrona assoluta soffocando gli altri fiori e facendoli appassire. La terra geme ma viene messa a tacere e non avrà mai più la libertà di dare la vita se non alla morte. Così il giovane si accorse di aver trasformato la morte in una religione, di averle consacrato un culto invece di smascherarla e relegarla in un angolo. E lei aveva finito per nascondersi nelle regole sociali così indurite da diventare catene, aveva spento la luce della speranza e la voce della salvezza, e soprattutto aveva ingannato gli uomini, compresi nel loro dolore, insinuando in loro l’idea che si potesse amare nella morte.

Ora lui sapeva che non era e non poteva essere così: nessuno deve essere amato nella sua morte ma soltanto nella sua vita, sia quella che per fortuna ci è stato dato di condividere con lui per un periodo sulla terra, sia quella che ci sarà dato di condividere con lui per sempre in cielo. Significava rinunciare al dolore eterno che inibisce la vita e volgersi invece verso quel dolore sottile dell’assenza, che nessuno potrà toglierci, ma che ci guida per mano verso la fede nella resurrezione.

L’invito di Cristo era l’invito a lasciare che fosse la morte a piangere la morte. La vita non può e non deve farlo, perché conosce il segreto della gioia che ci attende domani. Egli sceglieva di onorare suo padre vivendo e portandolo con sé nel tempo che mancava al loro nuovo e ultimo incontro. Accarezzandolo negli offesi che avrebbe soccorso e sfamandolo in quanti gli avrebbero chiesto pane. Avrebbe calmato la sete di suo padre negli assetati che si sarebbero attaccati alle sue vesti e avrebbe curato la sua malattia negli infermi che avrebbe incontrato. Avrebbe cantato per suo padre e sorriso e camminato sotto la pioggia, e poi cercato un riparo avrebbe diviso il suo letto con i lupi. Per suo padre avrebbe guardato la morte negli occhi e l’avrebbe spinta alla fuga con un sorriso. Fece cenno al Signore di attendere un solo momento. Tornò velocemente nella casa, spalancò le tende nella stanza dove suo padre giaceva e lasciò che la luce invadesse di nuovo i suoi spazi e dileguasse il buio.

Baciò suo padre immerso nel chiarore e se ne andò. 

 

 

 

Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.

Gioia Quattrini

http://www.cnos.org/cspg/npg.htm

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