Si riparte solo mettendo al centro i ragazzi

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Si riparte solo mettendo al centro i ragazzi

 

di Anna Paola Sabatini, tratto da osservatoreromano.va

 

Problemi e opportunità di una situazione di emergenza


Il Paese riparte con la scuola, e la scuola per essere una locomotiva capace di condurre verso orizzonti significativi deve poter coniugare, insieme, un alto senso di responsabilità a tutti i livelli, una forte determinazione al cambiamento e un altrettanto inflessibile coraggio. Avendo al contempo la forza di liberarsi di tutti quei lacci e lacciuioli di campanelliana memoria e mirabilmente recuperati da un grande innovatore quale fu Guido Carli, in vista di un obiettivo superiore. I nostri ragazzi e il sistema Italia non possono più aspettare, non c’è più tempo.

 

Il primo di settembre è alle porte e la scuola deve ripartire, in sicurezza, come ci stanno indicando in queste ore gli scienziati più autorevoli. Impegnandoci tutti a rispettare di più le regole anticontagio per limitare la circolazione contingente del virus. Senza esitazione. È questo d’altro canto il messaggio che ci arriva dalle voci contemporanee più autorevoli. I giovani, gli studenti vanno messi al centro con onestà intellettuale. Sono la priorità. E a questa priorità va subordinata ogni altra valutazione.

 

Pensiamo soltanto a quanto il tema dell’educazione sia significativamente ricorrente nei testi del pontificato di Papa Francesco per cui la scuola è proprio e soprattutto il luogo imprescindibile delle relazioni e degli incontri. Forti e decise le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia del Ventaglio: «È in gioco il futuro, un futuro che richiede determinazione. I nostri ragazzi hanno patito un anno di disagio. Il sistema Italia non può permettersi di dissipare altre energie in questo campo. L’apertura della scuola è un obiettivo primario. L’Italia deve raccogliere la sfida e deve essere fatto ogni sforzo».

 

Sulla stessa linea anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte quando afferma che la riapertura delle scuole è un suo «impegno con i giovani, con le famiglie, con il Paese», pur essendo una sfida molto impegnativa coinvolgendo oltre dieci milioni di persone, perché si tratta di “un pilastro del nostro sistema sociale”.

 

Risonanti sono arrivate nei giorni scorsi anche le parole dell’ex presidente della Bce Mario Draghi, che ci ha rammentato come la pandemia «minacci il tessuto della nostra società, diffondendo l’incertezza», creando un debito e inducendoci quindi a ridare speranza alle famiglie attraverso “un settore essenziale per la crescita” quale proprio quello dell’istruzione.

 

Sono queste le urgenze per il Dicastero di Trastevere guidato da Lucia Azzolina. Sospendere le lezioni in presenza in una fase di diffusione del virus acuta e soprattutto imprevista è stata una necessità. La didattica a distanza, rispetto alla quale bisogna ora mantenere un atteggiamento condiviso di coerenza e la cui esperienza bisognerà comunque continuare a valorizzare in un discorso più ampio, ha permesso sicuramente di mantenere un presidio importante, di non spezzare il filo anche da un punto di vista emotivo.

 

Per gli studenti e per le famiglie, nel momento in cui la pandemia ha sconvolto il mondo. Ora però bisogna restituire ai nostri ragazzi luoghi, opportunità, relazioni, contenuti ed esperienze che ne favoriscano la crescita ed il senso di responsabilità.

 

La salute è bene primario. È una dimensione essenziale della vita, come lo è la formazione. Entrambe domandano grande impegno ed impiego di risorse per essere assicurate, in condizioni di sicurezza. Nessuna delle due, come capita a qualsiasi altra dimensione della vita umana, è comunque al riparo da difficoltà e da imprevisti. Ciò non vuol dire votarsi al fatalismo. Richiede piuttosto una convergenza di intenti e una capacità di guardare nella stessa direzione: assicurare e assicurarsi che tutti, nella scuola – visto che di scuola stiamo parlando – si spendano per creare condizioni umanamente realizzabili al raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi.

 

È vero, la scuola, e con essa tutti i luoghi di formazione più di altri, sta subendo forti spinte. Non necessariamente negative. Vanno colte per recuperare il tempo perso ma anche come stimoli per innovare. È una sfida che va affrontata insieme e con la voglia di osare. Per il bene dei nostri ragazzi e delle loro famiglie. Ma anche per il bene di quanti operano, ai vari livelli, nel mondo dell’istruzione.

 

Molte delle criticità della scuola italiana, si sa, vengono da lontano. Passaggi, come quello che attraversiamo, devono spingere a farsi carico di alcuni nodi nevralgici. La trasformazione digitale, che la pandemia ha sollecitato, è certamente una delle più grandi prove contemporanee. In questa dinamica risulteranno vincenti le organizzazioni più veloci nell’anticipare il futuro. Il ritardo digitale italiano non è un fattore marginale e non può più essere eluso. La didattica a distanza ha avuto un banco di prova importante ma, in questo stato dei fatti, anche la digitalizzazione delle procedure amministrative, che riguardano il mondo dell’istruzione e in particolare quelle inerenti la gestione del personale, non possono essere rinviate. Vanno affrontate nella consapevolezza che nella gestione di un sistema complesso e nell’affrontare un cambiamento di questa portata, le incertezze e le criticità sono inevitabili e vanno naturalmente ridotte in itinere.

 

La scuola italiana, per rispondere a queste e ad altre sollecitazioni, sta sopportando in questi giorni un lavoro poderoso e necessita di una fiducia condivisa. Il monito sempre vivo e maggiormente pregnante è, anche in questo caso, quello con cui il Santo Padre ha chiuso lo storico incontro con gli studenti italiani del 2014: «E per favore, per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola! Grazie».

 

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