È l'unica attiva in tutto il Paese, i Salesiani hanno messo a disposizione un istituto per i ragazzi che hanno perso entrambi i genitori a causa del virus.
«Nell’unica scuola ancora aperta della Sierra Leone, i ragazzi si devono misurare la febbre ogni tre ore». Padre Jorge Crisafulli, superiore, e i 25 salesiani che operano in Sierra Leone e Liberia, stanno scrivendo una piccola grande pagina di storia del loro Istituto. Per limitare la diffusione del virus ebola, è saltato anche l’anno scolastico. Cosa possono fare i seguaci di don Bosco, che prima di questa epidemia accoglievano ogni giorno 10mila ragazze e ragazzi in 17 scuole?
«Volevamo continuare a lavorare per i giovani, e così abbiamo deciso di occuparci dei più sfortunati: gli orfani, che hanno perso entrambi i genitori a causa di ebola». Crisafulli ricorda che quando il governo della Sierra Leone ha chiesto ai Salesiani di occuparsi di questi ragazzi, loro hanno riflettuto sui rischi di accogliere soggetti potenzialmente contagiosi. Meglio rischiare, hanno deciso, e dall’8 settembre hanno messo a disposizione uno dei loro istituti. Sono 530 i minori resi orfani da questa epidemia, al massimo diciassettenni, 3600 quelli che hanno perso uno dei due genitori, in Liberia e Sierra Leone. E il virus continua a mietere vittime, solo in Sierra Leone si contano ottanta nuovi casi al giorno.
Il Centro dei Salesiani a regime ospiterà 120 orfani, al momento ce ne sono una cinquantina. I ragazzi al mattino seguono dei corsi scolastici, nei momenti liberi hanno anche la possibilità di ascoltare musica, fare sport e vari giochi. Normali attività, che diventano straordinarie in un Paese sconvolto dalla più grave epidemia di ebola mai registrata.
I nuovi arrivati devono trascorrere 21 giorni nella zona “A”, una sorta di quarantena. Solo se non manifestano sintomi, possono unirsi agli altri nella zona “B”. E se qualcuno avesse qualche linea di febbre, verrebbe subito trasferito nella zona “C”. Finora non si è manifestato nessun caso, ma bisogna fare molta attenzione: in Sierra Leone il test per verificare se un paziente ha contratto la malattia richiede cinque giorni. Un tempo troppo lungo: quel paziente infatti, se malato, è contagioso.
«Dobbiamo fare molta attenzione, ma non potevamo dire di no. Abbiamo anche un altro centro in Sierra Leone, dove da 13 anni ospitiamo 75 ragazzi a rischio», ricorda padre Jorge. Lo avevano aperto nel 2001, dopo la fine della guerra durata trent’anni e combattuta anche da molti bambini.
Per non far perdere l’anno scolastico anche agli altri studenti, i Salesiani stanno elaborando nuovi sistemi per favorire lo studio a casa. Le lezioni potrebbero essere diffuse da una radio, oppure ragazzi e professori potrebbero consegnare a casa libri e compiti e poi tornare a prendere gli elaborati da consegnare ai docenti per la correzione. L’epidemia di ebola, con più di 10mila casi e circa 5mila decessi, non ha causato solo gravi emergenze sanitarie, ma anche sociali. I negozi sono chiusi, moltissime persone hanno perso il lavoro, la fame è sempre più diffusa. Bisogna quindi rispondere ai molti problemi causati dal virus letale. I Salesiani, che hanno già distribuito tonnellate di cibo, si apprestano a mettere a disposizione sementi per 20mila orti, perché ogni famiglia possa coltivare un piccolo appezzamento di terra per garantirsi almeno il nutrimento di base.
Resta ancora molto da fare, per combattere ebola e le nefaste conseguenze dell’epidemia. Padre Jorge ricorda però che in Africa vi sono malattie anche più letali: «La malaria, il tifo, l’epatite, la denutrizione uccidono anche più di ebola, ma non fanno notizia. Quello che suscita l’interesse dell’Occidente, spesso non corrisponde ai nostri problemi principali».
Davide Demichelis
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