Padre Frans van der Lugt, 76 anni, racconta via Skype la situazione della città: «Tra tre settimane al massimo non ci sarà più niente da mangiare. Qui su decine di migliaia sono rimasti 66 cristiani».
«Siamo arrivati al punto che dobbiamo mangiare l’aria». Basta un’immagine a padre Frans van der Lugt, 76 anni, da quasi 50 in Siria, per far capire in quali condizioni vivono i siriani nella Città vecchia di Homs. Il sacerdote cattolico olandese è «rimasto come capo del monastero dei padri gesuiti. Come avrei potuto lasciarlo?», suggerisce all’Afp in un’intervista via Skype.
«RIMASTI 66 CRISTIANI»
In città, distrutta dalle bombe dell’esercito di Assad che cerca di stanare i ribelli, non vivono più di tremila persone. «Sono l’unico sacerdote rimasto e qui su decine di migliaia di cristiani, ne sono rimasti 66. Come potevo lasciarli soli? Il popolo siriano mi ha dato così tanto, tutto quello che aveva. E se ora la gente soffre, io voglio condividere il loro dolore e le loro difficoltà».
Ma van der Lugt aiuta tutti come può: «Io non vedo musulmani e cristiani, io vedo esseri umani prima di tutto e soprattutto».
«NIENTE DA MANGIARE»
In città «non è rimasto più niente da mangiare. Capita di vedere un ragazzo di 20 anni, che mi dice: “Ho fame”. Ma non c’è più niente». La gente rovista tra le ultime erbacce rimaste «ma il cibo è davvero pochissime. Tra due settimane, massimo tre, non ci sarà più niente».
La città di Homs è stata al centro di una delle poche discussioni che si sono tenute tra governo e opposizione siriana agli inconcludenti colloqui di pace di Ginevra II. Il regime ha accettato di fare uscire dalla città le donne e i bambini ma non si è trovato un accordo sugli uomini e sugli aiuti da far arrivare alla popolazione.
«VOGLIAMO ANDARCENE»
«Le facce delle persone che si trascinano in strada sono gialle e deboli. I loro corpi sono indeboliti e hanno perso la loro forza. Che cosa dobbiamo fare?», chiede il sacerdote. «Morire di fame». L’unica cosa che van der Lugt chiede alle forze internazionali è «lasciare che gli aiuti entrino in città perché noi vogliamo mangiare. Ma vorremmo anche andarcene. Siamo affamati, ma non solo di cibo, anche di una vita normale. Un essere umano non è solo il suo stomaco».
La situazione intanto resta difficile anche ad Aleppo, dove sono stati lanciati dall’esercito di Assad decine di barili di bombe che hanno causato una strage.
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