Sora nostra morte corporale

“Laudato si', mi' Signoreper sora nostra morte corporale,da la quale nullo homo vivente pò skappare”.Così S. Francesco di Assisi prega con semplicità evangelica nel famoso Cantico delle Creature, per ringraziare il Signore di tutti i suoi doni, ... compresa la morte.

Sora nostra morte corporale

da Teologo Borèl

del 01 marzo 2004

 

  Le sue parole serene aiutano il cuore del credente a trovare un atteggiamento composto e pacificato di fronte a questa drammatica realtà, ma nella loro audacia (chi di noi sente la morte come sorella?) suscitano molte domande e magari qualche perplessità.

 

 

Nullo homo pò skappare

 

Della morte, infatti, abbiamo tutti paura e anche Francesco lo sa.

Non a caso scrive che da lei “nullo homo vivente pò skappare”, come a dire che se la fuga fosse possibile, di questa scomoda “sorella” non si occuperebbe proprio nessuno.

Ma appunto scappare non si può, ed è serio ripeterselo come Francesco e pensarci su. Perché la tentazione della fuga rimane, fuga non solo da questa amara realtà, ma anche da tutto ciò che ce ne ricorda l’esistenza e ci invita a prepararci all’incontro.

Basti pensare a quanto sia forte oggi la tendenza a cancellare dalla vita pubblica tutto quanto richiama il decadimento fisico e la fine della vita (emarginazione degli anziani, proposta di un modello di uomo sempre giovane, bello e forte...). Oppure al tentativo di ridurre la drammaticità di questo evento nei limiti di un banale fatto di cronaca quotidiana (una morte a cui ... ci si abitua), o a farne un elemento di spettacolo negli innumerevoli film di violenza o di orrore (una morte che ... diverte ?!)

Diventa allora urgente riascoltare dalla Chiesa il ricco insegnamento della Bibbia su questo tema per alimentare nel nostro animo di cristiani i giusti atteggiamenti nei confronti della morte, ovvero gli atteggiamenti di Ges√π.

 

La morte sfigurata

La Scrittura non cerca in alcun modo di camuffare l’odiosità della morte, che viene presentata nella sua realtà orrenda e rovinosa per l’uomo. Basti pensare ai racconti della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,21-43; Mt 9,18-26; Lc 8,40-56), del giovane di Naim (Lc 7,11-17) e di Lazzaro (Gv.11,1-44), in cui Gesù appare come il Messia potente che costringe la morte a restituire la sua preda.

Ma gli autori del Nuovo Testamento sottolineano che, se la morte ha assunto il volto di una tragica rottura dell’esperienza terrena, questo è dovuto alle colpe dell’uomo. Per questo S. Paolo parla del peccato come del pungiglione della morte (cfr. 1Cor 15,56), grazie a cui essa diffonde nel mondo il veleno del male. E’ a causa del peccato, infatti, che la morte anziché apparire all’uomo come il coronamento che fa sbocciare la sua vita alla gloria del cielo, si manifesta come l’ombra che lo soffoca e lo distrugge. Questa non è la morte che Dio voleva.

 

La morte trasfigurata

Da questa morte, segno ed effetto del peccato, siamo stati salvati sulla croce. La certezza della liberazione dalla sua tirannia è tale che S. Paolo non teme di innalzare un canto di vittoria, dapprima facendosi beffe della morte sconfitta: “Dov’è, o morte, la tua vittoria, dov’è il tuo pungiglione?” e poi levando a Dio il suo ringraziamento: “siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 15,55.57).

Gesù, infatti, portando su di sé per amore il peso scandaloso di una morte ingiusta e drammatica, ne ha trasfigurato il volto dal di dentro, fino a farne l’ingresso nella gloria della risurrezione, compimento inimmaginabile di ogni desiderio nella partecipazione alla vittoria del Risorto.

Per questo, grazie a Gesù, la morte diventa “sorella”: essa apre a noi la porta del cielo, dove ci sentiremo a casa nostra nel mistero paterno di Dio. Così è stato per S. Francesco e così è per tutti i santi, che non a caso la Chiesa festeggia nel giorno del loro trapasso, chiamato splendidamente “dies natalis”, giorno della loro nascita al cielo.

 

Scrivere la propria vita

Ma c’è anche un altro motivo per cui la morte ci è “sorella”, ed è che essa non viene a noi solo alla fine della vita, ma ci raggiunge ogni giorno, come compagna fedele. Sia sul piano fisico, che su quello spirituale tutto lo svolgersi della nostra vita non è che un progressivo morire al giorno di ieri, per vivere un oggi fugace e prezioso, perché destinato a mai più tornare.

La morte vera e propria che segnerà il congedo definitivo da questo mondo non sarà che il compimento di tutti gli atti che, uno dopo l’altro, hanno costituito la nostra vita, come le parole di un discorso. La morte metterà solo la parola finale, che potrà anche correggere, come per il buon ladrone, il senso della frase. Ma non è saggio non riflettere su cosa si scrive fino al momento in cui bisogna mettere il punto...

è per questo che i santi hanno vissuto l’esistenza terrena come preparazione alla morte, per questo don Bosco faceva fare ai suoi ragazzi ogni mese un momento di ritiro spirituale chiamato “esercizio della buona morte”. Egli sapeva che solo chi muore con Gesù ogni giorno, seguendolo come discepolo fedele, rinasce già fin d’ora alla vera vita e può attendere con fiducia che la morte, come sorella, tolga solo l’ultimo ostacolo alla gioia perfetta del cielo.

 

Una beatitudine

Alla luce del Vangelo e della sconfinata speranza che accende nel nostro cuore diciamo anche noi con Francesco il nostro “Laudato si’”, anche per “sora morte”. Come lui, che portava nel suo corpo le stigmate, sappiamo bene che riflettere da cristiani sulla morte non è un divertimento: la serietà della vita trova qui il suo culmine. Ma con lui vogliamo imparare che questa meditazione porta con sé una beatitudine, quella di cui egli parla facendo eco a un versetto dell’Apocalisse (cfr. Ap 14,13): “beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farà male” (beati coloro che la morta troverà nella santissima volontà di Dio, perché la Morte eterna non farà loro male).

 

 

don Giovanni Battista Borel

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