I bambini ci guardano. A lungo, spesso in silenzio. E' il loro modo per cercarci. Per essere padri, per essere madri occorre ripartire da lì: da quello sguardo. Occorre ri-sentirsi i figli che siamo stati e volgere lo sguardo, mendicante, al Padre che abbiamo dimenticato (rinnegato, forse). Perché non c'è verità più vera di questa: «Nessuno genera se non è generato».
Cos’è successo? Cos’è successo, se in Italia non vogliamo più figli e il numero dei cani censiti ha superato quello dei bambini? Se ti fan capire che divorziare conviene, così la retta all’asilo nido la paghi ridotta? Se usiamo i figli come merce di ricatto e li gettiamo dalla finestra “così impari!”, o li aizziamo contro il loro papà o contro la loro mamma perché abbiamo dichiarato guerra al nostro ex marito o alla nostra ex moglie?
Cos’è successo, se in loro proiettiamo le nostre frustrazioni e i nostri desideri, e li iscriviamo allo sport che avremmo voluto praticare, allo strumento che avremmo voluto suonare, alla scuola che avremmo voluto frequentare? Se li facciamo sfilare, piccolissimi, perché vorremmo essere noi sotto la luce di quella ribalta: fotografati, ammirati, immagini da copertina o almeno da Youtube; finalmente “qualcuno”?
Cos’è successo, se sui bambini ricade il peso delle nostre colpe, delle nostre fragilità, delle nostre insicurezze? Se sono loro costretti a farci da padri e da madri perché la sindrome da Peter Pan ha talmente un bel nome che chi ce lo fa fare a crescere, ad assumerci le nostre responsabilità di genitori?
Cos’è successo se non sappiamo più educare: “far venire fuori” le potenzialità dei nostri figli, lanciarli sicuri nella vita, e allora diciamo sempre sì, e li facciamo vivere sotto una campana di vetro, e non sappiamo dare ragione della fatica e dell’impegno e delle regole, e poi però abbiamo bisogno dell’aiuto di SOS Tata e Lucia Rizzi è diventata una star? Se abbiamo dimenticato come si fa a fare i genitori (e figuriamoci se sappiamo cosa significa “esserlo”!) e non siamo più capaci di dire i no che aiutano a crescere? Se abbiamo paura di stare con i nostri figli, e allora li parcheggiamo a scuola più ore possibile e a lei, alla scuola, chiediamo di sostituirsi a noi; di riempire il vuoto che saremmo, il vuoto che siamo? Cos’è successo, se non sappiamo più parlare con loro guardandoli negli occhi? Se crediamo davvero che le cose che diamo sostituiscano la presenza che non sappiamo più dare? Se la carriera, gli amici, gli hobby vengono sempre prima dei bambini che abbiamo messo al mondo e loro lo sentono che spesso sono solo delle palle al piede?
Cos’è successo, se dopo anni da single ad una certa età ci viene voglia di avere un-figlio-perché-no e allora saliamo su un aereo e quel figlio viene assemblato nel pentolone del moderno apprendista stregone specializzato in (eu)genetica? Pazienza se l’ovocita non è mio perché son vecchia. Pazienza se il liquido seminale è di uno sconosciuto. Avevo voglia (capriccio) di un figlio, ora ce l’ho. Mi stancherò? Può darsi: in fondo, niente è per sempre. Lo terrà la nonna, la baby-sitter, la vicina, la mia amica… la scuola.
Cos’è successo se pensiamo (davvero?) che tanto è lo stesso se un bambino è seguito da sua madre e da suo padre oppure no? Se van bene anche due mamme, o due papà, o due trans, o la famiglia liquida e precaria del poliamore? Magari per l’accudimento basta un robot, o un computer, o un UFO. Perché no?
Cos’è successo se una sentenza della Cassazione risarcendo un giovane down gli fa capire che sarebbe meglio non fosse mai nato?
Cos’è successo, se non sappiamo più trasmettere la bellezza della vita sempre, e la dignità della vita sempre, e l’amore gratuito, e il senso del nostro levarci al mattino e del nostro essere qui, con loro che a noi – proprio a noi – sono stati affidati?
I bambini ci guardano. A lungo, spesso in silenzio. È il loro modo per cercarci.
Per essere padri, per essere madri occorre ripartire da lì: da quello sguardo. Occorre ri-sentirsi i figli che siamo stati e volgere lo sguardo, mendicante, al Padre che abbiamo dimenticato (rinnegato, forse). Perché non c’è verità più vera di questa: «Nessuno genera se non è generato».
Saro Luisella
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