Nasce l'oratorio... ma quale oratorio? Partecipare attivamente alla nascita da zero di un oratorio è un'avventura davvero interessante ed è anche cosa che capita raramente nella vita di un operatore pastorale. Capita che da viceparroco, prete giovane ed entusiasta...
Partecipare attivamente alla nascita da zero di un oratorio è un’avventura davvero interessante ed è anche cosa che capita raramente nella vita di un operatore pastorale.
Sì, capita che da viceparroco, prete giovane ed entusiasta, oppure in qualità di laico con delega in bianco, ci si venga a trovare nella situazione di dover risuscitare l’oratorio parrocchiale dei giovani, morto e sepolto nel tempo, e dover ricominciare a reclutare un po’ di giovani, tra mezze promesse e inviti in birreria, per imbiancare e risistemare quelle quattro stanze a piano terra della ex-canonica che potrebbero ridiventare un utilissimo spazio-giovani. Ma questo è quasi... un ricominciare da tre (almeno)!
A noi invece è capitato di dover proprio cominciare da sotto zero. Niente ambienti, niente giovani, tutto da studiare, progettare e sperimentare.
Certo, avevamo un progetto e avevamo anche un vescovo deciso a far nascere l’oratorio come casa dei giovani nella città.
L’oratorio in strada: incontrarsi è già oratorio
E siamo partiti. In due, poi in tre o quattro, prete e giovani insieme, a percorrere in lungo e in largo i quartieri vecchi e nuovi della città. Le sale giochi, e quelle gestite dalla mala in particolare, le birrerie, le pizzerie, i campetti abbandonati sotto le case popolari, le piazzette del vecchio centro storico... erano il nostro territorio da amare. Il nostro oratorio è nato per strada.
Ci si incontrava per strada, sulle gradinate del paese vecchio. Educatori, giovani più grandi con un filo di entusiasmo, ragazzi: prima cinque, poi venti, poi cinquanta. Una volta un campionato volante. L’altra volta la grande castagnata in piazza con le tre generazioni di nonne, zie, mamme e nipoti, intente a tagliar castagne mentre i papà e nonni fanno i fuochisti, e i ragazzi animati da una schiera di adolescenti di buona volontà e alle prime armi che giocano all’impazzata.
La prima fase dell’oratorio nostro è consistita nella tessitura di una rete invisibile che raccoglieva, al segnale lanciato dagli animatori e passato attraverso il tam tam dei ragazzi, una moltitudine di fanciulli, ragazzi e ragazze, e adolescenti con la terribile voglia di fare qualcosa di nuovo.
Passeggiate, tornei, gite, spettacoli improvvisati, e battaglie navali megagalattiche nel gelo dell’auditorio comunale preso d’assalto, mai collaudato e inutilizzato per anni.
La cosa interessante è che i giovani volenterosi apparivano entusiasti quanto i ragazzi.
E a sera non c’era più nemmeno un filo di voce, ma lo zainetto stracarico di stanchezza e di soddisfazione.
Tutti gli spazi e ambienti comunali che si potevano utilizzare venivano richiesti e utilizzati, adattandoci agli orari d’uso ufficiali: una volta la palestra si è trasformata in salone per il veglione di capodanno, un’altra volta l’auditorio è diventato la discoteca per il carnevale degli adolescenti, poi le vecchie aule dell’ex-convento ora scuola media, o il cortile coperto, ottenuti nonostante l’impennata del preside di turno impertinente, sentitosi scavalcato dalla liberalità dell’assessore all’istruzione. E i campi sportivi comunali abbandonati... erano il nostro oceano sportivo.
Nei giorni di pioggia e nelle rigide sere d’inverno era un po’ un problema: a casa di qualcuno, sotto gli archi del paese vecchio, una saletta di rimedio con una stufetta a petrolio e, quando eravamo fortunati, il salone parrocchiale riscaldato per il cineforum dei giovani con la disponibilità della corrente alternata.
E poi gli incontri per strada o nelle case con i ragazzi che ora già cominciavano a conoscerci e a chiamarci a squarciagola per nome quando si passava nel pomeriggio sotto casa, senza pietà di chi assaporava la pennichella quotidiana.
L’oratorio era all’inizio incontro, iniziativa, gioco, conoscenza, passeggiare insieme per le viuzze strette del centro storico, e poi l’appuntamento per le partite e i giochi insieme.
Un oratorio che si snodava fra tre o quattro parrocchie di vecchia tradizione: qualche gruppo di catechismo o di Acr, un barlume di gruppo giovanile e poi nient’altro per la gioventù.
Cominciammo anche a darci un appuntamento domenicale: presso una parrocchia uno dei due preti dell’oratorio aveva avuto da un parroco il compito dell’animazione della messa dei ragazzi della domenica mattina.
All’inizio: deserto di ragazzi e giovani. Solo vecchiette e gente per bene troppo seria per catturare la voglia di vita dei ragazzi. Poi da una domenica all’altra i ragazzi cominciarono a darsi l’appuntamento a vicenda. Nel giro di un anno ormai la regola implicita era divenuta quella che non si poteva mancare: era un appuntamento importante, atteso e preparato dai gruppi, dai ragazzi e dagli educatori coi loro due preti di strada.
Intanto si poteva dire che ci si era cominciato a conoscere tra ragazzi, giovani, educatori e prete. Conoscere la realtà, quella sociale e familiare, quella giovanile e minorile, con vissuti di povertà e di ricchezza, di insicurezza e di sicurezze eccessive, di abbandoni scolastici precoci e di appartenenza selettiva alle classi scolastiche riservate ai rampolli della borghesia.
Le premesse di fiducia reciproca era assicurate. Le condizioni per il patto formativo erano buone. Ci stupiva la disponibilità della gente, dei ragazzi e degli adolescenti ad aderire ad una proposta e a manifestare la loro felicità per qualsiasi piccola o grande cosa che si facesse per loro.
Cominciavamo a pensare alla seconda fase del nostro oratorio.
Le “fondamenta vere” dell’oratorio
L’oratorio era la strada, era diventato il quartiere, con le sue risorse palesi e quelle segrete. Lo apprezzava e desiderava forse più il sindaco e l’assessore che non l’arciprete. Ma non importava!
Occorreva ora mettere le premesse per costruire l’opera.
Ci volevano le fondamenta: non quelle di cemento armato... Sarebbero arrivate anche quelle!
Bisognava pensare a fondamenta ben più solide e indispensabili.
Presentammo un progettino di formazione per animatori al Comune, con la richiesta di finanziamento all’assessore ai servizi sociali. Intendevamo coinvolgere 20-25 giovani della cittadina in un corso intensivo di alfabetizzazione sull’animazione per porre le premesse per il futuro.
Senza educatori qualificati e appassionati, era impensabile per i due preti di strada dare risposte a centinaia di ragazzi e adolescenti, le cui storie di vita, mentre ci aprivano uno spaccato sulla vita della gente, divenivano il dono prezioso della loro esperienza da custodire come il tesoro.
Così prese il via una serie di livelli diversi di scuola di animazione, che nel giro di tre anni ha raggiunto la cinquantina di giovani e adulti sensibili all’educazione.
Lì cominciammo a porci l’obiettivo di conoscere la realtà socioculturale della gente, le condizioni di vita delle nuove generazioni. Lì raccogliemmo le storie di vita disperate di tanti ragazzi e adolescenti, evasori della scuola, abbandonati a se stessi, nel lavoro nero, in preda alla malavita alquanto organizzata anche nella socializzazione. Certo molto più efficace della scuola statale nel ricupero degli evasori!
Dal lavoro delle scuole di animazione, viste con sospetto spesse volte dai parroci, impreparati ad accogliere i giovani formati al livello della loro disponibilità e della loro buona volontà, senza poter rinunciare a pretese di egemonia o di servilismo.
Uno dei frutti più interessanti di questa riflessione sulla realtà dei destinatari fu quello di convincere l’assessore e il consiglio comunale a finanziare una ricerca sulla condizione dei giovani della città.
Oggi è stata realizzata, presentata pubblicamente, e diviene oggetto di confronto e di studio con le realtà educative. E così, tra corsi intensivi e training di animazione sulle abilità di base, sul progetto, sulla condizione giovanile, sull’impianto di obiettivi, sulla risorsa del mimo e della clownery, sul gruppo e sulla comunicazione, è cresciuto il primo sostenuto nucleo di animatori in erba entusiasti e decisi a raggiungere ragazzi e adolescenti della cittadina.
L’estate diveniva il banco di prova per gli animatori: dai 500 agli 800 ragazzi tra elementari e medie occupavano le scuole pubbliche che divenivano palazzi di vita infantile, traboccanti di canti, danze, espressività, recite. D’estate l’oratorio diventava visibile a tutti e la rete sommersa per i vicoli del paese pescava una quantità inimmaginabile di ragazzi e ragazze da tutti gli angoli della città per coinvolgerli nella grande avventura: una volta Pinocchio, l’altra Re Leone, poi mago Merlino...
Un’altra frontiera era costituita dal mondo degli adolescenti e dei giovani, che avevano ritagliato per sé, quale riserva, un pezzo del territorio cittadino (uno slargo sulla via nazionale e tre o quattro traverse sempre semibuie) e lo avevano trasformato in “riserva”, punto di ritrovo serale e festivo per le migliaia di giovani; era divenuto la grande “vasca” della passeggiata in centro e della socializzazione festiva e prefestiva. Fu una intuizione interessante quella di trascorrere serate intere alla “vasca”, e di non mancare ad alcun appuntamento giovanile alle sfilate del sabato e della domenica. Occasione propizia per incontrare il mondo giovanile nel suo volto notturno: un amico coglie l’occasione di presentartene un altro; un giovane che appena conosci di vista ti saluta e tu ti avvicini al suo gruppetto: una stretta di mano, nome, che fai? come va? Si comincia sempre così.
Si trattava di mare immenso di gioventù tutta lì appostata, come in vetrina, disponibilissima all’incontro, con la voglia di calar la maschera e di comunicare intorno alla vita quotidiana, nella sua banalità e nella sua misteriosa grandezza. E lì si facevano le ore piccole, prima di aver deciso in quale pizzeria proseguire la serata o in quale locale.
Quello che più di tutto aveva creato sorpresa in noi era la massa di adolescenti che a fine anno scolastico ci contattava e si rendeva disponibile per l’aiuto nell’animazione di estate-ragazzi. La squadra aiuto-animatori toccava punte di oltre un centinaio di adolescenti volontari: e si era alle prime armi, ai primi passi. Ma l’entusiasmo, la curiosità, la voglia di fare qualcosa di diverso e di nuovo nel paesone divenuto città, la possibilità concreta di variare la monotonia dei 100 giorni di mare e di spiaggia, tutto contribuiva ad aggregare attorno alle imprese di questo oratorio fantasma.
L’oratorio negli spazi pubblici
Intanto i lavori al cantiere erano cominciati, si poteva sognare e immaginare il futuro edificio dell’oratorio per i giovani della città.
Fu comunque un’esperienza interessante quella di identificare gli spazi dell’oratorio con gli spazi e le strutture rese disponibili dagli amministratori. Si trattava di spazi e strutture pubbliche. Scuole, campi sportivi, piazze, auditorio, conventi abbandonati.
L’unico problema, se così si può dire, era che ci si ritrovava sempre accampati, nella provvisorietà. A sera bisognava ritirare gli arnesi, perché il giorno seguente ci sarebbe stata scuola, oppure un convegno dei medici, o un altro utilizzo pubblico della struttura.
Con questo però dimostravamo alla gente e ai politici che le strutture abbandonate potevano essere utilizzare, e quelle utilizzate, essendolo solo parzialmente, potevano essere pensate anche come funzionali a progetti ulteriori di prevenzione.
Proprio la fase in cui l’oratorio abitava le strutture pubbliche favorì il contatto quotidiano con le istituzioni e i loro responsabili.
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