TESTO DEL RITIRO DI SABATO 2 MAGGIO

Il meglio è possibile in ciascuno di noi, perché a ciascuno è stata data non la possibilità ma la vocazione di amare

TESTO DEL RITIRO DI SABATO 2 MAGGIO

IL MEGLIO DELLA VITA

 

 

Andare alla radice delle cose ci aiuta a trovare la novità più sorprendente. Il Meglio, cerchiamone il significato: 

Dal latino “melius” passiamo al greco “agathos” e il significato letterale è: ciò che diletta, che rallegra, che è più caro

Approfondendo si arriva a dire che dal più caro si passa al più buono

Da qui il collegamento con migliore che nel termine greco si individua come superlativo di agatos=Buono che deriva dall’unione di bellezza e bontà Kalos kai agatos 

Ma se andiamo a vedere il termine originario sanscrito troviamo il termine Balam che significa forza.

Ora il criterio di migliore che fino a poche settimane fa sembrava andasse per la maggiore era quello legato a ciò che dava le prestazioni migliori e che appariva maggiormente. La nostra epoca è segnata dall’ansia di prestazione e di apparenza… non serve commentare aprite instagram e si commenta da solo. 

E’ bastato il “nemico invisibile”, proprio colui che non appare, a ridimensionare il concetto di migliore. In questi giorni le standing ovation non sono state non per calciatori, cantanti, divi… ma per medici, infermieri, volontari della croce rossa e delle organizzazioni caritative… Perché?

Perché l’esserino invisibile ha riportato al posto giusto il significato di ciò che è meglio, cioè ciò che è veramente forte ciò che è più buono. Il meglio sta nella bontà, nel bene, nel compiere il bene c’è la forza più grande. Il bene tante volte non appare. Il bene è sacrificato e faticoso, ma tira sempre fuori il meglio di noi

Il buono e il bene quindi parlano non solo di bellezza ma anche di pienezza. Una vita piena, feconda traboccante che dalla radice sanscrita e greca si ritrova nel termine felicità. Ciò che Gesù ci indica riassumendo la buona novella nel comandamento dell’amore, declinato così profondamente nel discorso delle beatitudini.

Il meglio è possibile in ciascuno di noi, perché a ciascuno è stata data non la possibilità ma la vocazione di amare. La vita è significativa solo nell’amore. Siamo chiamati all’amore ad un amore autentico, non al surrogato che gira nelle varie piattaforme di comunicazione. L’amore è la vocazione che Dio ci ha dato in primis e in maniera unica e irripetibile. Perché in maniera unica e irripetibile? Perché l’amore non è massificabile: uno ama con ciò che è. Allora la vera ricerca della pienezza sta nel cercare dove nella mia vita posso amare di più, dove l’amore tira fuori il meglio di me e dove l’amore è disposto a sacrificarsi. Insomma cerca il meglio della vita nella tua vocazione… lì dove puoi amare a misura di Dio, perché l’amore non ha misura. 

Ecco che la sorgente dell’amore per noi esseri egoisti è l’esercizio della libertà dell’amore a Dio e al prossimo. 

Caro Domenico Savio perché ci hai mostrato che questo è fattibile da subito:

 

Giunti al luogo stabilito, il Savio fece una cosa che certamente niuno sarebbesi imma­ginato. Lasciò che si ponessero in una certa distanza; già avevano le pietre in mano, cin­que cadono, quando Domenico parlò così: prima di effettuare la vostra sfida voglio che adempiate la condizione accettata. Ciò di­cendo trasse fuori il piccolo Crocifisso, che aveva al collo, e tenendolo alto in una mano, voglio, disse, che ciascheduno fissi lo sguardo in questo Crocifisso, di poi, gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce queste parole: Gesù Cristo innocente morì perdonando a’ suoi crocifissori, io peccatore voglio offenderlo e far una solenne vendetta.

Ciò detto andò ad inginocchiarsi davanti a colui che mostravasi più infuriato dicendo: Fa il primo colpo sopra di me: tira una forte sassata sul mio capo. Costui, che non si a­spettava simile proposta, cominciò a tremare. No, disse, e mai no. Io non ho alcuna cosa contro di te e vorrei difenderti, se qualcuno ti volesse oltraggiare.

Domenico, ciò udito, corse dall’altro di­cendo le stesse parole. Egli pure ne fu scon­certato e tremando diceva, che essendo egli suo amico, non gli avrebbe mai fatto alcun male.

Allora Domenico si rizzò in piedi, e pren­dendo un aspetto severo e commosso: come, loro disse, voi siete ambidue disposti ad af­frontare anche un grave pericolo per difen­dere me, che sono una miserabile creatura, e non siete capaci di perdonarvi un insulto ed una derisione fattavi nella scuola per sal­vare l’anima vostra, che costò il sangue del Salvatore, e che voi andate a perdere con questo peccato? Ciò detto si tacque, tenendo sempre il Crocifisso alto colla mano.

A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti.

 

Un gesto così non si improvvisa è frutto di un affetto vissuto nella concretezza. Basta leggere qualche riga prima come i suoi compagni amavano stare con lui; certo era uno che non appariva, ma che conquistava con il suo modo di stare con gli altri. Andate a leggere.

 

Per qualche giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicché se ne accorsero i compagni e me ne accorsi an­ch’io. Giudicando che ciò provenisse da novello incomodo di sanità, gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, pa­tisco qualche bene. - Che vorresti dire? Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo: io non pensava di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare an­che stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa.

 

La vocazione alla santità è la vocazione alla pienezza, al meglio. Il capitolo 11° della vita di Domenico mette in rilievo la tenacia e l’urgenza per la salvezza delle anime. Domenico percepisce che la vita non si può sprecare in un solo attimo. Il tempo non vissuto nell’amore è tempo perso.

Ma tutto è alimentato dalle sue amicizie più profonde: Gesù e Maria

 

Un curioso episodio fa vedere la tene­rezza del suo cuore per la divozione di Maria. Gli alunni della camera, ove egli dormiva, deliberarono di fare a spese pro­prie un elegante altarino, che servisse a solennizzare la chiusura del mese di Maria. Domenico era tutto in faccende per questo affare; ma venendosi alla quota che cia­scuno avrebbe dovuto sborsare: ohimè! e­sclamò, sì che stiamo bene! per questi affari ci vogliono danari; ed io non ho un quattrino in tasca. Pure voglio fare qualche cosa a qualunque costo. Andò, prese un libro, che eragli stato donato in premio, e chiestone il permesso dal superiore, ritornò pieno di gioia dicendo: Compagni, eccomi in grado di concorrere anch’io per onorar Maria prendete questo libro, cavatene quell’uti­lità che potete; questa è la mia oblazione.

 

Domandiamoci dove vivo al meglio l’amore, dove so sacrificarmi per amore, dove le doti che Dio mi ha dato si esprimono al meglio nell’amore. Qui si tratta di non dormirci sopra.  Di non aver paura che Dio non frega (Dio non è come la pubblicità, la pubblicità sì è tutta una Fake News). Se vuoi una vita significativa chiedi a Dio dove ti chiama a donarti. La vita di quindicenne di Domenico è stata talmente significativa che ha accolto la morte come i grandi santi… come una sorella e questo dice che la nostra vocazione all’amore trova la sua realizzazione oggi e per l’eternità. La morte spesso dice come uno è vissuto.

I tempi che viviamo ci dicono l’urgenza di uno stile di vita testimoniante.

 

Auguro a ciascuno di noi e a me per primo di non dover rimpiangere di non aver vissuto veramente la sua vita.

 

Domandati oggi: Come posso coltivare da ora l’urgenza e il desiderio di una vita chiamata ad amare a misura di Dio? Come non perdere tempo nel chiedermi dove il Signore mi chiama a donarmi? Sii concreto.

 

don Nicola Munari, sdb

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