La gioventù, a volte una condanna più che uno stato di grazia. La condanna a dover sorridere, per forza ottimisti e pieni di speranza, forti e vincenti, propositivi senza limiti. E poi di cosa aver paura quando il tempo davanti è ancora tanto? Già, tanto. E non avere nessuno che capisca i timori e le insicurezze che si rincorrono all'interno di questo spazio così vasto ed ancora vuoto...
del 16 novembre 2005
Il senso della vita finalmente svelato. I connotati del futuro finalmente definiti. Dalla nebulosa del possibile, finalmente tutto chiaro.
Era giovane e la gioventù, si sa, è il tempo delle certezze insicure, di una cosa e a pensarci bene anche del suo contrario, della voglia feroce che non conosce dove trovare sazietà. Una smania di costruire, fare, andare senza sapere che cosa, quando e dove. Una smania, e basta. E la paura che incombe, come un avvoltoio in attesa del primo cedimento. In segreto, un bisogno urgente di punti di riferimento, di una mano che tenga la lanterna accesa sul cammino, di una voce pacata che dia indicazioni, poche e preziose. La gioventù, a volte una condanna più che uno stato di grazia. La condanna a dover sorridere, per forza ottimisti e pieni di speranza, forti e vincenti, propositivi senza limiti. E poi di cosa aver paura quando il tempo davanti è ancora tanto? Già, tanto. E non avere nessuno che capisca i timori e le insicurezze che si rincorrono all’interno di questo spazio così vasto ed ancora vuoto, fantasmi e gli occhi sbarrati per paura che la vista si appanni e ci si perda per sempre, senza più un orizzonte.
Finché un giorno era apparso Cristo. Nelle parole del Galileo, nei suoi occhi, sul suo volto, il giovane aveva scoperto una strada, che finalmente sicura lo avrebbe condotto verso il domani. Un’idea che faceva cantare il cuore e ubriacava la testa, e che a pensarci la notte lo faceva sentire un po’ più di se stesso. E gli pareva fiaba che un uomo così fragile potesse contenere tutto il freddo e il caldo, il buono e il bello, il senso delle cose e la loro vita. Mai più si sarebbe allontanato da quella luce, mai più da quella musica.
 
 «Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva».
Troppa gente. Troppo irriverente questa folla, che spinge e incalza e tocca senza rispetto. Non lasciano un minimo spazio di riposo, un attimo di tregua. Un po’ di aria per tirare un respiro. Eppure è un uomo. Avrà sonno e si sentirà stanco. Il suo cuore insisterà di certo nel chiedere l’intimità di una preghiera. La folla, però, è sorda e senza testa e non molla. Allora Cristo, esausto, fa un cenno ai suoi apostoli, e Pietro in un attimo è sulla barca e allunga le braccia verso Gesù…
Il giovane scriba capì che in quell’istante, in quel solo istante, la sua vita avrebbe potuto risolversi. Il gioco lasciava sul tavolo due alternative: restare nella vita di sempre, con la gente di sempre e i suoi pregiudizi, invischiato in quello strano modo di amare, fatto soltanto per celare un radicato egoismo oppure andare, andare sull’altra riva dove nuove cose e nuovi cuori lo attendevano.
Come un giovane innamorato guarda la barca partire per il lontano portando con sé l’altra parte del proprio cuore e non riesce a frenare l’animo, così il giovane seppe che non c’era ragione che potesse mantenere la calma, che mai ci sarebbe stata altra freschezza per quell’ardore, sempre quel fremito nel respiro, nella gola, negli occhi. Su quella barca stava per salire la sua vita con l’ultima occasione.
 
 «Allora uno scriba si avvicinò e disse: ‘Maestro, io ti seguirò dovunque andrai’».
Gridare quelle parole era stato come lanciarsi da una rupe, trattenendo il respiro e senza neanche ragionare troppo. La gioventù fa così quando sente che la paura rischia di rovinare tutto.
Sceglie di sbarazzarsi dei propri pensieri come dei cattivi consiglieri e preferisce riflettere un secondo in meno piuttosto che un secondo in più. La gioventù si lancia e a volte confonde il buon senso con la viltà.
Egli vuole andare. Non importa dove, non importa quando, importa solo Cristo.
 
 «Gli rispose Gesù: ‘Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo’».
E la voce continuò: Il buon maestro che non dissuade i giovani e non li spaventa ma li prepara rendendoli consapevoli di sé e della realtà. La gioventù non deve dimostrare a nessuno di essere forte, piuttosto deve imparare a gestire le proprie debolezze, senza temerle. Il buon maestro insegna a smascherare le passioni fatue e accecanti perché l’amore autentico abbia spazio e respiro. La sofferenza non si fugge, ci si arma per affrontarla e sostenerla.
Ho sentito la passione del giovane e il suo entusiasmo, ma conosco la misura delle passioni umane e il pericolo verso il quale trascina la mancanza di misura e questo gettarsi a capofitto gridando più forte della paura. Scegliere è il contrario di fuggire, ma tu ancora non lo sai e così cerchi la fuga da mostri che non moriranno mai perché la prima a morire deve essere la paura. Vorrei prevenire il momento in cui, spento il trasporto, il tuo cuore comincerebbe a voltarsi indietro con nostalgia e rammarico. Ti chiamo a riflettere ancora, a scendere nel profondo di te stesso per poi darti alla luce.
Per colui che si sente smarrito qualunque strada, ovunque conduca, rappresenta la speranza, ma solo un cattivo maestro può assecondare questa follia. È altra cosa inseguire un progetto, valutarne le difficoltà rispetto alle nostre capacità, distinguere i pericoli e il tratto dove invece è possibile abbassare la guardia. Da una corretta valutazione nasce la fiducia, quella voce che parla quando il buio sembra non finire più o quando intorno a noi i punti cospicui sono diversi da quelli che eravamo certi di trovare. Nelle difficoltà soltanto questa impedisce di mollare.
Vedi, ragazzo, a nessun uomo è dato di contenere il senso della vita di un altro uomo. Io non voglio che tu mi segua come un cieco senza appoggi che striscia lungo un muro. Tu devi guardare e conoscere e decidere di condividere perché se un giorno qualunque per un motivo qualunque io dovessi sparire dal tuo cuore il progetto non seguirebbe la mia sorte e il mondo avrebbe ancora un’opportunità di migliorare. Ogni uomo è al tempo stesso umile strumento e fine sublime. Nessun uomo è così grande da esaurire in sé la speranza del mondo.
Io sono la via. ma tu sentirai la fame e la sete, le gambe intorpidite dalla fatica e il cuore che sembrerà fermarsi. Il freddo pungerà le ossa e il caldo scioglierà le tue forze. Alcuni ti accoglieranno pietosi ma altri ti perseguiteranno, molti non ti vorranno neppure nei paraggi, qualcuno ti aizzerà i cani. Se tutto questo dovesse sembrarti troppo per le tue forze, non avere alcuna vergogna ad ammetterlo. C’è un progetto che attende per ogni cuore, un progetto della giusta misura.
Nella tempesta non dovrai perdere l’orientamento, quando il vento confonde i suoni e la sabbia brucia negli occhi. Per questo impara ad addomesticare il cuore perché ti sia da bussola quando i sensi vaneggiano. Impara anche ad ascoltare te stesso prima che il canto delle sirene ti trascini nel fondo del mare e a saper distinguere tra gli uomini e le statue di sale.
Quelli che ti amano potranno aiutarti a trovare ciò che possiedi senza saperlo, ma non potranno mai sostituirsi a te. Gli uomini non si prestano le ali tra loro. Per questo il tuo alleato più prezioso e il tuo compagno più tenace lo avrai dentro e non accanto. Un giorno ti sentirai stanco e starai per cadere e trattare come folli sogni le speranze di oggi: è la magia del maligno che si insinua sottile piuttosto che imporsi con troppo rumore. Spendi un sorriso e continua perché lui non abbia diserzioni con cui giocare.
Dopo tutto questo e molto altro, quando la strada sembrerà addolcirsi e volgere alla fine, ad aspettarti troverai una croce. E dopo, soltanto dopo, la Resurrezione.
È ora che vada, vieni con me?
 
Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.
Gioia Quattrini
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