Secondo giorno del triduo...
SECONDO GIORNO: L’esperienza della misericordia nelle crisi del giovane Francesco di Sales
La crisi di Francesco giovane è stata l’esperienza fondante che ha radicato in lui il senso dell’amore misericordioso di Dio. Il suo cammino personale gli ha permesso di passare dalla consapevolezza delle sue miserie alla certezza della misericordia divina.
1. Le “miserie” del giovane Francesco
Esistono due ipotesi che cercano di spiegare le cause di questa crisi: il problema teorico della predestinazione e le violente tentazioni contro la castità. Non è da escludere che si poteva trattare contemporaneamente di tutti e due i problemi.
Non è necessario trattenersi a lungo sulle tentazioni contro la castità. «Il modo di pensare degli altri scrive il Papasogli e così il loro modo di vivere, offrivano a Francesco un esempio e un invito.
In tal senso, la società parigina, in tutti i settori, da quelli studenteschi a quelli mondani, era tra le più sbrigliate.
Ci è facile immaginare un Francesco, il quale, risoluto ad essere interamente di Dio, sia stato costretto a conoscere la tentazione nei suoi aspetti più tentacolari e più snervanti».[1]
Così egli scopre dentro di sé un uomo sconosciuto, che avrebbe voluto seguire la legge della natura.
La seconda causa della crisi va ricercata nella problematica della predestinazione, un tema che era all'ordine del giorno nel campo della teologia, anche perché Lutero e Calvino ne avevano fatto il loro cavallo di battaglia. Per Lutero, la salvezza è tutta e sola opera di Dio; l'uomo è assolutamente incapace di meritarsi la gloria eterna. Per Calvino, la predestinazione è «il consiglio eterno di Dio, per il quale egli ha determinato ciò che vuole fare con ogni uomo. Poiché egli non ha creato tutti nelle stesse condizioni, ma destina gli uni alla vita eterna e gli altri alla eterna dannazione».
Anche all'interno del cattolicesimo, un semi‚Äëprotestantesimo si faceva strada. A Lovanio, Baio sosteneva che la riprovazione incombe come un fatale destino su quanti non hanno ricevuto la grazia del Redentore. Anche alla Sorbona di Parigi, dove Francesco seguiva alcuni corsi, s'insegnava, sotto l'autorità di Agostino e di Tommaso, che Dio non aveva decretato la salvezza di tutti.
Così si spiegherebbe la grande tentazione di disperazione che colpì Francesco alla fine del 1586. Si crede riprovato da Dio, destinato alla dannazione, all'inferno. Il suo caso gli pare disperato:
O povero me, sarò dunque privato della grazia di Colui che mi ha fatto gustare con tanta soavità le sue dolcezze, e che si è mostrato così amabile nei miei confronti? O Vergine, bella tra le figlie di Gerusalemme, non vi vedrò mai dunque nel regno del vostro Figlio? (XXII 18).
2. Fiducia e abbandono alla misericordia divina
Immerso in un terribile stato d'angoscia, il giovane studente fece un eroico atto d'amore di Dio e d'abbandono alla sua misericordia, preludio della prossima liberazione:
Checché avvenga, Signore, [...] qualsiasi cosa voi abbiate decretato sulla mia sorte nel vostro segreto eterno di predestinazione e di riprovazione [...], io vi amerò, Signore, almeno in questa vita, se non mi sarà dato di amarvi nella vita eterna [...] ed io spererò sempre nella vostra misericordia e sempre ripeterò tutta la vostra lode, malgrado tutto ciò che l'angelo di Satana non cessa di suggerirmi all'opposto. O Signore, voi sarete sempre la mia speranza e la mia salvezza sulla terra dei viventi. Se i miei meriti esigeranno che io fossi maledetto tra i maledetti che non vedranno il vostro soavissimo volto, concedetemi almeno di non essere tra quelli che malediranno il vostro santo nome (XXII 19-20).
La soluzione, almeno provvisoria, di questa crisi è conosciuta. Un giorno di gennaio del 1587, Francesco entrò nella chiesa di S. Stefano a Parigi, e proseguì verso la cappella della Madonna Nera, chiamata “Notre‚ÄëDame de Bonne Délivrance”. Recitò in ginocchio la preghiera del Memorare che comincia così: «Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo che alcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia chiesto il tuo soccorso, e sia stato abbandonato». Quando si rialzò, gli sembrò che il suo male gli fosse caduto ai piedi come scaglie di lebbra.
In conclusione, si può ammettere che Dio abbia permesso questa tentazione per “testare” l'amore di Francesco per Lui: è fedeltà nella tentazione oppure no, è amore interessato o amore puro? Francesco ha superato la tentazione di disperazione con un atto d'abbandono totale, senza ricerca di gratificazioni personali. Il cerchio della sua devozione sensibile, che rischiava di diventare egocentrica, è stato spezzato. D'ora in poi, la sua spiritualità non sarà mai chiusa: Francesco esce dalla grande crisi «più puro, più forte, più innamorato di Dio».[2]
Il ventenne Francesco trovò la pace nella realtà radicale e liberante dell’amore di Dio: amarlo senza nulla chiedere in cambio e confidare nell’amore divino; non chiedere più che cosa farà Dio con lui: amarlo puramente e semplicemente, indipendentemente da quanto mi dà o non mi dà. In realtà, questa sua crisi esistenziale era una crisi mistica e trovò uno sbocco mistico.
Una crisi simile toccherà anche a san Giovanni Bosco, suo discepolo, durante i suoi studi nel seminario, dove la corrente pessimistica sulla predestinazione era penetrata con alcune opere ancora impregnate di giansenismo. «Studiando il trattato de praedestinatione ‚Äí riferisce don Giovanni Battista Francesia al suo processo di beatificazione ‚Äí provò e sentì paura della propria salute, ne parlò nella scuola, ne parlò anche privatamente coi professori, ebbe qualche conferenza anche in privato col rettore, ma nulla lo poteva tranquillizzare. Dopo di avere molto sofferto sotto a quest'impressione e caduto ammalato, fu visitato dal confessore, che gli disse: Bosco, che cosa sta scritto nel Vangelo?” ‚Äí Molte cose si leggono nel Vangelo. ‚Äí Voglio dire, che cosa domanda il Signore per la vita eterna? Non è scritto si vis ad vitam ingredi [si tu veux entrer dans la vie], intendi si vis? La sua grazia non ti manca, basta che ci sia la tua corrispondenza. Queste parole gli ridonarono la pace, e tutto confidando nel Signore, continuò nei suoi studi”. Don Francesia aggiunge: “Questi suoi timori mi furono confidati da don Bosco stesso».[3]
3. Una opinione “più vera, più amabile e più degna della grazia e della misericordia divina”
Ci fu tuttavia un’altra crisi di san Francesco di Sales nel periodo della sua formazione. La crisi esistenziale, di natura mistica, se è stata superata sul piano morale e personale, non è stata subito risolta sul piano teorico della predestinazione.
Mentre a Padova studiava il diritto per obbedire a suo padre, Francesco continuava ad interessarsi di teologia. Andava ad ascoltare le lezioni e le prediche dei francescani, leggeva e meditava personalmente i Padri e i teologi. Si concentrava soprattutto sul problemi della predestinazione. Sei quaderni, andati purtroppo perduti, contenevano le sue riflessioni su questa materia.
Il giovane studente cercava ansiosamente la verità, e una verità che non fosse soltanto una semplice approvazione della sua opinione personale, ma che concordasse con l'insegnamento della Chiesa. Si legge, per esempio, questa sua decisa risoluzione: «Ho scritto queste cose molto umilmente, essendo prontissimo ad abbandonare non soltanto le conclusioni cui sono giunto o giungerò, ma anche la testa che le ha concepite: e questo, anche se la mia intolleranza prova ripugnanza a farlo, lo faccio per abbracciare l'opinione che è o che sarà in avvenire adottata dalla Chiesa cattolica, apostolica e romana, mia madre e colonna di verità» (XXII 47).
Infatti, Francesco si è trovato di fronte ad un dilemma: rimanere fedele al pensiero che finora ha creduto vero, oppure voltare le spalle a sant’Agostino e a san Tommaso, i suoi maestri e «grandi luminari» di teologia. Secondo sant’Agostino, il numero degli eletti è fissato dall'eternità, e senza respingere positivamente gli altri, Dio consente che per i loro peccati vadano liberamente alla dannazione. Secondo san Tommaso, tutti sono chiamati alla salvezza, ma non tutti in maniera efficace ed infallibile: elezione di alcuni alla vita eterna e conseguentemente chiamata efficace in virtù di uno speciale amore, non motivato dalla previsione dei meriti, ma dalla libera predilezione divina; non elezione degli altri, non già in previsione dei demeriti, ma perché non avendo alcun diritto ad una chiamata efficace, trattandosi di un beneficio soprannaturale.
Francesco di Sales non riusciva a “simpatizzare” con la dottrina pessimistica di questi maestri, oppure con la dottrina che veniva loro attribuita. Della sua crisi di coscienza abbiamo anche una traccia in una delle sue note:
Ho scritto questo con timore e tremore, per non doverne forse rimpiangere la perdita, se in seguito questo modo di pensare in cui mi sono confermato quando raggiunsi l'adolescenza, e quando con l'età e la scienza, ebbi acquisito un'esperienza maggiore, continuerà a sembrare vero secondo il giudizio e la decisione della Chiesa, così come mi parve vero nell'infanzia. Fin da allora, infatti, mentre mi rafforzavo nella mia idea, ho meditato tutto ciò che sembra riguardare la questione (XXII 46).
Sin dall'infanzia, infatti, Francesco aveva un'idea più ottimistica del disegno di Dio. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi; Dio salva effettivamente tutti quelli di cui ha conosciuto da sempre i futuri meriti, mentre quelli di cui ha conosciuto da sempre i futuri demeriti andranno alla dannazione.
Nel 1588 era uscito il famoso libro del gesuita spagnolo Molina sulla concordia tra il libero arbitrio umano e la predestinazione divina.[4] Senz'altro, Francesco si sentì in spontaneo accordo con la teoria dell'autore, secondo la quale Dio predestina gli uni alla salvezza tenendo conto dei loro meriti o buone opere (post praevisa merita), e gli altri alla dannazione in conseguenza delle loro opere cattive (post praevisa demerita).
In altre parole, Molina affermava da una parte l’azione sovrana di Dio, e d'altra parte anche il ruolo determinante della libertà, da Lui stesso data all'uomo. Per Francesco, la scelta era fatta, ma aveva un motivo valido per dissentire nei confronti dei grandi maestri della Chiesa? Il suo dramma di coscienza lo possiamo indovinare attraverso la seguente «protesta»:
Prosternato ai piedi dei beati Agostino e Tommaso; sono pronto a tutto ignorare per conoscere Colui che è la scienza del Padre, il Cristo crocifisso. In effetti, sebbene non dubiti che le cose che ho scritto non siano vere, perché non vedo niente che possa costituire un dubbio serio sulla loro verità, tuttavia, poiché non vedo tutto e poiché un mistero così profondo è troppo luminoso perché possa essere guardato in faccia dai miei occhi di civetta, se, in seguito, dovesse apparire il contrario, cosa che, credo, non accadrà mai, e, cosa ben più grave, se mi sapessi condannato (che non succeda, Signor Gesù) da quella volontà che i tomisti attribuiscono a Dio perché egli possa mostrare la sua giustizia, pervaso di stupore e alzando gli occhi al Giudice supremo, volentieri dirò con il salmista: non sarà la mia anima sottomessa a Dio? Amen. Padre, se vi sembra bene così, che la vostra volontà sia fatta. E dirò questo tante volte nell'amarezza del mio cuore, fino a che Dio, cambiando la mia vita e la sua decisione, mi risponda: abbi fiducia, figliolo mio, io non voglio la morte del peccatore, ma piuttosto che si converta e viva (XXII 64-65).
Come si è visto, Francesco ha fatto una scelta sofferta durante il periodo della sua formazione. Non ha seguito sant’Agostino e san Tommaso, ma solo sul problema della predestinazione, perché per il resto, queste due grandi figure restano i suoi «luminari».
Dopo tante lotte, egli si è fortificato nella convinzione della bontà misericordiosa di Dio. Nel suo Esercizio del sonno o riposo spirituale (cioè dell’orazione), composto a Padova durante quegli anni, leggiamo questa bella meditazione contemplativa tutta centrata sulla meravigliosa bontà di Dio:
Mi addormenterò nell’amore della sola ed unica bontà del mio Dio. Se posso gusterò quest’immensa bontà, non nei suoi effetti, ma in lei stessa. Berrò quest’acqua di vita, non nei recipienti o nelle bottiglie delle creature, ma nella sua propria fonte. Gusterò quanto quest’adorabile Maestà è buona in se stessa, buona a se stessa, buona per se stessa, ed anche come essa è la bontà stessa, tutta la bontà: bontà che è eterna, inesauribile ed incomprensibile. O Signore ‚Äí dirò ‚Äí solo voi siete buono, per essenza e per natura. Solo voi siete necessariamente buono. Tutte le creature che sono buone, sia per la bontà naturale che per quella soprannaturale, lo sono soltanto perché partecipano della vostra amabile bontà (XXII 36).
La controversia dei teologi, divisi tra tomisti e molinisti, tra domenicani, discepoli di san Tommaso, e gesuiti, spesso accusati di lassismo e pelagianismo, durerà ancora parecchi anni. Nel 1606 Francesco di Sales, diventato vescovo di Ginevra, fu consultato in una disputa teologica, che opponeva i sostenitori del gesuita Molina e quelli del domenicano Bañez sullo stesso problema.[5] Francesco adottò una posizione molto simile a quella di Molina.
Nel 1616, nel suo celebre Trattato dell'amore di Dio, parlando della salvezza e gloria finale degli eletti, il vescovo di Ginevra dirà che la loro gloria è “culmine e frutto della misericordia divina verso gli uomini che, obbedendo alla loro vocazione, sarebbero giunti alla fede viva operante per mezzo della carità”.[6] Ciò vuol dire che se la salvezza è tutta opera della grazia e misericordia di Dio, essa non può succedere senza l’obbedienza, la fede e la carità da parte dell’uomo.
Due anni più tardi, Francesco passando per Lione, si fermò nella biblioteca del collegio dei gesuiti, dove trovò il trattato del famoso Lessio, professore di teologia a Lovanio, sulla predestinazione. Gli diede una rapida occhiata, ma questa gli è bastata per rendersi conto che l’autore sosteneva la stessa dottrina della predestinazione alla gloria come conseguenza della previsione dei meriti. “Questa costatazione ‚Äí così scriveva in una lettera al Lessio ‚Äí mi è stata tanto più gradevole in quanto che, personalmente, ho sempre considerato questa opinione come la più vera e la più amabile, e, allo stesso tempo, la più degna della grazia e della misericordia divina, come ho dichiarato anche nel mio libretto sull’Amor di Dio” (XVIII 272-273).
Per capire in pieno il fattore personale nell'elaborazione della sua dottrina spirituale, avremmo dovuto studiare molte altre esperienze vissute da Francesco di Sales. Ci è sembrato tuttavia che le crisi attraversate dal futuro dottore della carità al tempo della sua formazione, abbiano un valore particolare. La crisi dei vent’anni gli ha fatto vedere che l'amore di Dio, per essere autentico, deve superare ogni interesse egoistico e suppone un abbandono fiducioso in Dio. E la crisi intellettuale di Padova ha posto le basi definitive della teologia salesiana, che poggia da una parte sulla bontà e misericordia di un Dio che mira alla salvezza di tutti, e d’altra parte e nello stesso tempo sulla libertà umana invitata a collaborare con la grazia. Con il superamento di queste crisi, Francesco era maturo e pronto per il suo ministero di missionario e di pastore, così come per l'elaborazione della sua dottrina, tutta centrata sull'idea dell'amore misericordioso di Dio.
L’esperienza della crisi profonda ci rende san Francesco ancora più vicino…anche lui ha lottato per conoscere il vero volto di Dio e non lo ha “addomesticato” (vd. Papa Francesco). Qual è il volto di Dio che presentiamo ai nostri giovani, ragazzi, bambini?
[1] G. Papasogli, Come piace a Dio. Francesco di Sales e la sua «grande figlia», quarta edizione, Roma, Città Nuova Editrice, 1995, 80‚Äë81.
[2] A. Ravier, Francesco di Sales, un dotto e un santo, Milano, Jaca Book 1986, p. 27.
[3] Deposizione di don Francesia al processo informativo diocesano, citata in P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. I. Vita e opere, Roma, LAS 1979, 63‚Äë64. Quando don Bosco andò a Parigi nel 1883, non mancò di recarsi nella chiesa dove si conserva ancora oggi la statua di Notre‚ÄëDame de Bonne Délivrance. Sul registro delle S. Messe scrisse in francese: “Abbé Jean Bosco, supérieur de la Pieuse Société salésienne, recommande à St. François de Sales toutes les œuvres dont S. François est le Patron». Vedi l’articolo « Vierge Noire de Paris, Notre‚ÄëDame de Bonne Délivrance», in «Don Bosco Aujourd'hui ‚Äë Bulletin salésien» (septembre-octobre 1992) 30.
6 L’opera di Luis de Molina, scritta in latino e pubblicata nel 1588 a Lisbona, era intitolata: Concordia del libero arbitrio con i doni della grazia, la predestinazione e la riprovazione, a proposito di alcuni articoli della prima parte di S. Tommaso.
[5] Vedi A. Ravier, Francesco di Sales, un dotto e un santo, 141‚Äë144.
[6] Trattato dell’amor di Dio, libro III, cap. 5.
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