Tu come hai passato Capodanno?

Mi chiamo Rebecca, sono di Verona, ho diciott'anni e ho passato il capodanno più bello di sempre...

Tu come hai passato Capodanno?

del 04 gennaio 2017

Mi chiamo Rebecca, sono di Verona, ho diciott’anni e ho passato il capodanno più bello di sempre...

 

Mi chiamo Rebecca, sono di Verona, ho diciotto anni e non so cosa fare a capodanno.

Un paio di settimane fa avevo visto un volantino su Facebook, l’ho condiviso al mio Don ma poi altri programmi mi avevano portata lontano da quell’idea. A Natale arriva un messaggino di auguri provvidenziale da parte di una vecchia conoscenza che mi esorta (calorosamente) a partecipare al capodanno alternativo e così, mentre i miei amici si svegliano e si preparano per super feste, mi ritrovo alla mattina dell’ultimo dell’anno in stazione con zaino, sacco a pelo e una busta della spesa. Dopo un viaggio attraverso Veneto e Friuli, ringraziando le suore del Maria Ausiliatrice di Padova che mi hanno nutrita per pranzo, arrivo con i miei compagni di avventura a Gorizia, in una splendida casa che sembra un po’ vuota, perché ci sono solo una ventina di ragazzi, ma è qui che smetto di parlare di me e inizio a parlare di loro.

‘’Loro’’ all’inizio sono un po’ timidi, un po’ perché alcuni non capiscono la lingua, un po’ perché altri si trovano degli estranei in quella che da qualche tempo considerano casa. Vengono da paesi diversi e distanti dall’Italia, Pakistan, Bangladesh, Albania, Kosovo, Marocco, Tunisia, ma hanno tratti di storia in comune: hanno dovuto lasciare le loro famiglie (i più sfortunati non ne avevano nemmeno una) per cercare un lavoro e per sfuggire da situazioni molto pericolose, hanno affrontato un viaggio lungo, con troppi tratti a piedi e senza mangiare, durante il quale è stata messa a repentaglio la loro vita. Sono arrivati qua sognando il mondo che vedevano alla televisione, quell’Occidente in cui si guadagna facilmente e si vive senza fare troppa fatica, e le loro speranze si sono infrante, le loro illusioni disincantate.

Queste cose ci sono state raccontate al nostro arrivo da Christian e Luca, due educatori che lavorano con la associazione “La Viarte”, che da decenni gestisce l’assistenza a situazioni difficili, ai margini della società, sul territorio friulano. “Viarte” significa (chiedo perdono ai lettori friulani se sbaglio) primavera, quindi rinascita, ed è questo che si vuole dare a questi ragazzi. A Gorizia imparano innanzitutto l’italiano, poi una sorta di galateo di norme comportamentali del vivere civile e sociale e europeo ed infine, proprio come voleva il nostro Don Bosco, un mestiere, per mantenersi quando avranno raggiunto la maggiore età. In un secondo momento abbiamo ascoltato le testimonianze di due ragazzi che non so con quale forza hanno raccolto le parole per descrivere ciò che hanno vissuto.

L’incontro finisce e tra una presentazione e l’altra prepariamo tutti insieme la cena. Con evidenti difficoltà di comunicazione ma tante, tante risate riusciamo a imbandire la tavola e riunirci per cenare. I ragazzi acquistano un po’ più di confidenza, ma la vera magia avviene durante la serata. Un semplice cartellone con il giro dell’oca, che per l’occasione è diventato “Giro della Pace”, un dado fatto con la scatola del pandoro, presa in prestito dalle suddette sorelle del Maria Ausiliatrice, e una console per la musica, e per un paio d’ore veniamo trasportati in un normale oratorio con dei normalissimi ragazzini. Crollano i loro muri, si frantumano quelle maschere da duro che per forza di cose devono indossare, e si vedono sorrisi da orecchio a orecchio quando il segnaposto finisce per un colpo di fortuna su “tira di nuovo”. Più che magia, si tratta del miracolo dell’allegria salesiana alla quale forse siamo troppo abituati per renderci conto di quanto sia preziosa e potente.

Quando mezzanotte si avvicina molti di loro escono per passare – giustamente – il capodanno in piazza, ma alcuni rimangono con noi, e con un brindisi di Coca-Cola e una fetta di pandoro festeggiamo l’arrivo del 2017. Prima di rientrare al calduccio a continuare a cantare e giocare, ci prendiamo un momento per recitare la Preghiera per la Pace, per la quale la Chiesa dedica il giorno del primo di Gennaio, e appoggiamo una candelina di fronte al portone della chiesa. Nei nostri occhi il volto di quei ragazzi, nelle nostre orecchie le loro storie, e sulle nostre labbra la preghiera silenziosa: Signore, pace nel mondo e pace nel loro cuore.

L’indomani una colazione assonnata e un momento di revisione tra di noi, pieni di gioia ed entusiasmo per l’esperienza, che ci portiamo dentro durante l’Eucarestia, per ringraziare il Signore di questo dono e per affidarGli nuovamente il futuro di questi ragazzi, che non sono più “loro”, ma Aziz, Salah, Robert, Iqbal, Amarildo, Kalì, e tanti altri nomi che mi sono sfuggiti o che non so come scrivere. Il pranzo è un po’ dolceamaro, perché sappiamo che una volta terminato dovremo ritornare da dove siamo arrivati, e forse questi ragazzi, anche con i più buoni propositi, non li rivedremo più. Ma ecco la sorpresa: uno dei ragazzi si alza, e con molta semplicità, ci ringrazia del regalo che gli abbiamo fatto con la nostra presenza, e ci chiede di ritornare, di tanto in tanto. Forse non sa che quelli a ricevere il regalo siamo stati noi, una grazia inaspettata che ci ha aperto gli occhi e scaldato il cuore come, parlando personalmente, poche volte nella vita.

Mi chiamo Rebecca, sono di Verona, ho diciott’anni e ho passato il capodanno più bello di sempre.

p.s. un grazie enorme a Don Emanuele e Suor Silvia, promotori di questa iniziativa, e ai miei nuovi compagni di avventura, Valentina, Alex, Andrea, Davide, Tommaso, Irene e Andrea, con i quali spero di condividere tanti altri momenti del mio cammino.

 

Rebecca Zanoni

 

 

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