La fede potrebbe essere presentata così: una vita che rischia l' «a solo» con Dio. Fino a che manca questo incontro unico «faccia a faccia» col mistero di Dio, che si rispecchia nel mistero del nostro essere e fare l'uomo, non si entra nella fede.
del 01 gennaio 2002
La fede potrebbe essere presentata così: una vita che rischia l' «a solo» con Dio. Fino a che manca questo incontro unico «faccia a faccia» col mistero di Dio, che si rispecchia nel mistero del nostro essere e fare l'uomo, non si entra nella fede. Si rimane nella sfera religiosa, dentro la quale giocano le immaginazioni e le suggestioni superstiziose. Dio, l'invisibile vivente e presente, non tocca né occupa l'esistenza concreta. Questo vivere faccia a faccia dinanzi al volto del mistero, che incessantemente si svela e si nasconde, costituisce l'esperienza radicale di ogni fede. Diviene insieme preghiera, contemplazione, conversione: vuol dire porsi alla sorgente del proprio essere, dove «c'è la fonte di un'acqua zampillante a vita eterna» (Giovanni 4, 14).
A questa profondità spirituale la luce della Verità ci rivela il nostro nome unico, il nostro unico volto, la nostra unica immagine che riflette e manifesta il volto del Padre. Così nasce e cresce «l'uomo nuovo, non nato da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo» (Giovanni 1, 13).
Solo quando si incontra Dio «a tu per tu» si entra in quella novità radicale che costruisce il «noi», perché si creano e si stabiliscono con tutti gli altri uomini rapporti e incontri in uno stile che va oltre la logica del sangue e degli istinti, degli interessi, degli egoismi, delle convenienze. La solitudine interiore matura e delinea la struttura e la fisionomia personale di ogni spiritualità, perciò è la condizione indispensabile per uscire dall'anonimato e non proliferare «gruppi anonimi», anche se orpellati di cultura teologica, di estetismo liturgico, di raffinatezze spiritualistiche. Perché è una solitudine carica di vita che «morde» la vita. Mette in questione le «clausure» dell'individualismo, egocentrico e indifferente: provoca le soddisfazioni dell'io e le fughe dall'io, aiutando così a scoprire e a rispettare quel bisogno di solitudine che è l'unica difesa dall'isolamento e dalla superficialità quotidiana. Sorgono allora e possono durare le vere amicizie, senza complicità e senza ipocrisie, perché, nella luce di Dio, si denudano la radice di ogni esistenza e gli sbocchi di ogni esperienza e insieme si percorrono le strade della propria liberazione umana.
Tratto da: La solitudine del cristiano
Umberto Vivarelli
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