Conosce la vita in tutti i suoi aspetti e l'affronta con determinazione, energia e grande senso dell'umorismo...
del 17 marzo 2017
Conosce la vita in tutti i suoi aspetti e l’affronta con determinazione, energia e grande senso dell’umorismo...
Madeleine Delbrêl nasce agli inizi del ‘900 e di tale epoca vive intensamente i periodi più difficili. Figlia di Jules Delbrêl, ferroviere aspirante poeta con l’amore per la cultura, Madeleine rivela subito un’intelligenza particolarmente brillante. Ragazzina prodigio, anche tramite la bizzarra figura paterna entra presto in contatto con gli ambienti intellettuali francesi, lasciandosi inizialmente condizionare dal nichilismo imperante. Il XX secolo si era aperto con l’annuncio nietzschiano della «morte di Dio» e la promessa della nascita di un uomo finalmente «superiore», caratterizzato per la fedeltà alle cose terrene e il rifiuto dei valori trascendenti della morale, e delle illusioni metafisiche e credenze religiose.
In questo clima intellettuale cresce la giovane Madeleine che, condizionata da tale pensiero e amareggiata da una delusione d’amore e da gravi problemi familiari, si colloca su posizioni di feroce ateismo. La ragazza riempie i suoi quaderni di una critica metodica della religione. Considerava la fede qualcosa per menti deboli. Si rifiutava di accettare un Dio «inammissibile in quanto indefinibile», un Dio assurdo e medievale trascinato fino al XX secolo solo perché servisse come alibi di fuga dalla realtà.
Ma la conversione non era lontana. Madeleine avrebbe rivisto totalmente le sue convinzioni grazie all’incontro con un gruppo di giovani cattolici: «Mi era accaduto l’incontro con parecchi cristiani né più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me... Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l’aria».
Inizia così un percorso inaspettato. Con nuove motivazioni vitali dentro, il suo motto non è più «Dio è morto, viva la morte!», ma «Dio vive, viva la vita!». Comincia dunque a frequentare la parrocchia come una cristiana qualsiasi, e qui le viene incontro un prete straordinario: Padre Lorenzo, un prete che «insegnava a vivere il Vangelo dappertutto». Anche grazie alla sua guida, Madeleine abbraccia Dio impetuosamente. Rinuncia alla sua vecchia vita. Smette di frequentare i colti ambienti parigini allora tanto di moda. Si mette anche contro la sua famiglia e il suo bizzarro e amatissimo padre, per fare una scelta difficile.
Aveva corso il rischio di preferire la morte alla vita. Scegliere la vita era diventata la sua vocazione. Ora doveva trovare il modo migliore di viverla. E ben presto comprende di voler vivere la sua spiritualità nel mondo, come una cristiana laica. La prima cosa che colpisce della biografia di Madeleine Delbrêl è proprio il coraggio e la passione con cui si lancia in quello che sente essere il suo progetto esistenziale.
Con la crisi del ’29 realizza le prime esperienze di aiuto ai più poveri. Sono le prime attività che la mettono a contatto diretto con la miseria e le sofferenze altrui. Diviene così ipersensibile ai mali e alle ingiustizie sociali che avevano ridotto le persone ad una vita degradante. Nei suoi scritti precedenti, ammetteva di aver guardato gli altri senza vederli veramente. Ora che contemplava l’espressione degli occhi e dei volti, la strada era diventata per lei la sua Chiesa e il suo chiostro. Il suo è uno sguardo di sincera compassione di fronte all’ingiustizia.
Contemplative nel mondo
Da qui nasce il sogno di un progetto fuori dagli schemi. Si crea un gruppo di ragazze seguite spiritualmente dall’abate Lorenzo e «capitanate» dalla carismatica Delbrêl, che desiderano condurre una vita contemplativa non lontane dal mondo. Così tre giovani – senza voti religiosi, senza abito particolare e senza difese istituzionali – decidono di partire per la periferia di Parigi con l’intento di vivere insieme, lavorando in mezzo alla gente più povera, mettendo tutto in comune. Formano una comunità «casta, povera e obbediente» che ha come unica regola l’approfondimento comunitario del Vangelo. Ciò che le tre ragazze desiderano, nella loro estrema e volontaria povertà, è «vivere gomito a gomito» con la gente.
La parrocchia offre loro una casa a Ivry (cittadina vicino a Parigi), per animare un centro sociale tra i poveri e gli operai del luogo, e le tre coraggiose fissano la loro partenza per il 15 ottobre 1933. Ivry, come tutte le periferie parigine industrializzate, faceva parte di quella che veniva definita la «Cintura rossa», ed era di fatto diventata «la capitale politica del Partito Comunista Francese». Dal contatto con questa realtà Madeleine prende coscienza di problematiche e miserie sociali. Gli operai lavoravano dodici ore al giorno, privi di ogni sicurezza sociale e sanitaria, oltre che di ogni previdenza; mal pagati, ammassati in alloggi fatiscenti. È allora che Madeleine decide di impegnarsi nel lavoro sociale convinta che non si poteva essere testimoni della miseria degli altri senza fare qualcosa per aiutarli. Prima ottiene il diploma di infermiera della Croce Rossa. Poi sceglie un lavoro che la possa tenere a stretto contatto con i poveri, studiando per divenire assistente sociale.
Nel frattempo la piccola comunità di donne costituita intorno a Madeleine inizia ad ingrandirsi. Nell’aprile del 1935 affittano una casa abbastanza grande, situata all’11 di Rue Raspail. Il gruppo si sceglie il nome di «équipe», poiché questa definizione evoca l’idea di un lavoro in comune. Una settimana dopo il trasloco a Raspail, il consiglio municipale di Ivry incarica Madeleine di dirigere tutti i servizi sociali familiari. Come responsabile del servizio sociale, ne modifica immediatamente l’organizzazione troppo centralizzata. La sua idea è quella di creare dei centri autonomi nei quali poter fornire una formazione completa: alimentazione, pronto soccorso, falegnameria, idraulica e contabilità.
Nel corso della guerra, Madeleine diventa un punto naturale di aggregazione nella lotta contro la miseria, tanto che la città si tramuta in un laboratorio di ricostruzione al quale si guarda da tutta la Francia. Perfino il «Soccorso Nazionale» guarda alla Delbrêl e alla sua équipe, e le chiede di preparare personale ausiliario per le assistenti sociali. Accetta, ma chiede di educare le giovani «sul campo», cioè mettendole al lavoro. Scrive una guida con i principi essenziali del lavoro sociale in cui invita ad un atteggiamento più umano nell’aiutare le persone: chiede che vengano avvicinate con buon senso e con una dose salutare di buon umore. Lo scopo ultimo era eliminare la sofferenza, o almeno ridurla, e aiutare la gente a vivere in quelle circostanze nel miglior modo possibile. Per questo era necessario che le assistenti sociali lasciassero i loro uffici e andassero nelle strade. Traccia dunque un programma di studi per le scuole di servizio sociale totalmente nuovo, basato su un profondo pragmatismo: nessuna teoria senza pratica. Oggetto di studio deve divenire la vita che, secondo Madeleine, era il materiale più veritiero, più affascinante, più commovente che ci fosse: «È la vita che educa… Un libro enorme, doloroso, bizzarro, toccante e cinico si offre ai nostri occhi: ognuno degli esseri che avviciniamo vi aggiunge una riga.»
Le attività pedagogiche e gli sforzi volti ad attenuare le sofferenze della guerra acuiscono in Madeleine la coscienza delle disuguaglianze sociali. La sua attività la porta a lavorare fianco a fianco con i comunisti di Ivry. Durante la guerra aveva contribuito insieme a loro alla creazione di un Comitato di Mutua Assistenza Sociale e di Accoglienza, composto da cattolici e comunisti. Madeleine nel lavoro e nella vita quotidiana aveva imparato a conoscerli bene. Come loro non accettava che il mondo fosse così pieno di ingiustizie e disuguaglianze.
La grande apertura mentale della Delbrêl la porta su posizioni decisamente all’avanguardia rispetto ai tempi. In un’epoca in cui la Chiesa sconfessava i marxisti, vietando ai cattolici qualsiasi collaborazione con loro, Madeleine era convinta più che mai della necessità e dell’efficacia di questa esperienza.
Ad un certo punto della sua vita è anche tentata di iscriversi al partito. Ma studiando i testi marxisti e leninisti, ne scopre l’ateismo. Trova quindi una discordanza fondamentale tra lei e quella dottrina. Se il comunismo poi si interessava alla classe operaia, lo faceva escludendo tutte le altre. Il Vangelo propone sì di amare soprattutto i più poveri e i reietti, ma esso proclama anche l’amore universale per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla ricchezza materiale o dalla posizione sociale. Così tra lei e il marxismo si scava «un abisso incolmabile»: con il marxismo, non con i marxisti. Con o senza la tessera del partito, e indipendentemente dalle differenze ideologiche che opponevano il marxismo al cristianesimo, lei avrebbe continuato a lavorare fianco a fianco con tutti in nome della giustizia. Anzi, la Delbrêl faceva spesso notare che a Ivry, la sua scuola marxista era per lei una scuola di fede: l’incredulità degli altri la obbligava infatti ad approfondire il suo credo.
Un cristianesimo aperto al mondo
Quello di Madeleine era dunque un impegno profondo e sincero per il rinnovamento della Chiesa del suo tempo. Con testardaggine e fiducia cerca di far capire ai cattolici la necessità di aprirsi al mondo e ai suoi costanti mutamenti. Una realtà complessa, dinamica, sempre in mutamento com’è quella della vita, richiede comprensione e capacità di adattamento. Con insistenza evidenziava la necessità per la Chiesa di avvicinarsi al mondo reale. Insorgeva contro quella che definiva «una fede anacronistica, una fede fuori dalla vita, una fede che tende a preservarsi, troppo distante per essere presente». La vera sfida è un’esperienza cristiana nel mondo moderno. La formazione cristiana veramente necessaria consiste nell’imparare a vivere agendo e lavorando. È rimanendo pienamente umani che si può diventare veramente santi. Crede dunque in una santità calata nel quotidiano. Non concetto lontano astratto, impossibile, ma fattibile, condivisibile: «Cristo deve camminare alla velocità di oggi per rimanere in mezzo agli uomini».
Il suo è un modo nuovo, personalissimo e laico di seguire il Vangelo e di metterlo in pratica nella vita reale.
Tra i suoi scritti emblematico è un libretto di massime, Alcide, il cui protagonista è un piccolo monaco che scopre ogni giorno l’incredibile saggezza che si acquista quando si vive in familiarità con Dio. «Per chi cerca Dio come lo cercava Mosè», spiega Alcide, «anche una scala può trasformarsi in Monte Sinai». Quello a cui si riferisce la Delbrêl è un «nuovo tipo di cristiano» tutto appartenente a Gesù e tutto innestato nel mondo. Poiché credere è stabilire, tra la fede e il mondo, un’alleanza eterna.
Così Madeleine viveva la spiritualità, calandola nel vivere quotidiano. Poiché desiderava tanto far entrare la Parola nella sua vita, aveva preso l’abitudine di sottolineare numerosi passi della Bibbia e di inserire tra le pagine fotografie di amici o personalità come Gandhi, Marie Curie, Charlie Chaplin e Martin Luther King. Vi aggiungeva telegrammi, cartoline, ritagli di giornali, biglietti d’aereo e anche la carta da pacco d’Ibery, la cooperativa dolciaria creata presso Raspail da una coppia di rifugiati spagnoli. Queste immagini semplicissime, questi pezzi di carta apparentemente privi di valore, per lei erano delle icone dell’umanità, un vera e propria liturgia della vita.
La sua capacità di stabilire un dialogo libero e amichevole con persone di diverse convinzioni sociali, politiche o religiose fa sì che la comunità di Raspail si allarghi a una congrega variopinta di «amici» e di «fratelli» che chiedono e danno solidarietà nei campi più disparati. Madeleine considera quella casa come una persona viva. La chiama «il signor Raspail» e la descrive così: «Il signor Raspail è un personaggio assai difficile da presentare... è un uomo di mezza età, né bene né male, piuttosto simpatico, piuttosto malvestito, dall’aria soddisfatta della sua sorte. Le persone lo giudicano rivoluzionario, i pettegoli pensano che sia un ex seminarista, i maldicenti suppongono che abbia costumi equivoci... Tanta gente va da lui e cerca la sua compagnia...».
Tutti gli individui che varcavano la soglia di «Raspail» non erano considerati dei «casi», bensì degli amici. Non venivano per farsi fare l’elemosina, ma perché sapevano che avrebbero trovato un’accoglienza calorosa e amichevole, in una casa dove sarebbero stati capiti.
Ma Madeleine non solo è sempre pronta a ricevere chiunque abbia bisogno di lei (autorità comunali di Ivry o gente comune) nella sua stanza dal grande tavolo ovale. Scende in prima linea per tutte quelle questioni, locali, nazionali o internazionali, che destano il suo senso di giustizia: la dittatura spagnola, la situazione politica dei paesi dell’est, la povertà del continente africano.
Protagonista di innumerevoli battaglie politiche, sociali e religiose, il grande messaggio educativo che Madeleine continua a dare ai giovani con la sua storia personale, è quello dell’impegno profondo per la vita e per la società e della partecipazione agli affari del mondo. È una donna sola, fisicamente fragile, che agisce, prende posizione. Sente il dovere di parlare, di esprimere il proprio parere in tutte le situazioni, soprattutto in quelle più importanti, con lucida capacità di analisi, libera da pregiudizi e preconcetti. È la testimonianza più vera di come il singolo possa essere attivo anche davanti a fatti che vengono troppo spesso decisi e gestiti solo dall’alto. Lei scrive lettere, fa conferenze, fa gesti concreti per manifestare il suo dissenso: dà asilo a rifugiati spagnoli, crea una «sezione» dell’équipe in Africa, ad Abidjan. È una donna dalla vitalità estrema, capace di vivere appieno ogni situazione.
Il valore educativo della sua figura sta infatti anche nella sua passione per la vita. Che traspare dall’allegria, dalla positività, dalla curiosità intellettuale che la caratterizzavano. Madeleine conosce la vita in tutti i suoi aspetti e l’affronta con determinazione, energia e grande senso dell’umorismo. Non c’è nulla che trascuri: può inventare una canzone o una scenetta comica, può immergersi nella preghiera, scrivere un articolo o una poesia, o fare una conferenza, o battersi per i diritti di qualche perseguitato politico: il tutto con la stessa foga e la stessa lucida intelligenza. Riesce a pregare e lavorare ovunque, anche il tavolino di un caffé di periferia può diventare luogo di studio e raccoglimento.
La sua vita, che era stata tutta piena di speranze e di risate, termina nel 1964 ai piedi del grande tavolo della sua stanza di Raspail, lì dove aveva lavorato per più di 30 anni. Un grande tavolo ovale ricoperto di plastica trasparente, che lasciava intravedere un immenso planisfero contornato di foto da tutto il mondo. Lì dove aveva accolto tutti i suoi ospiti che ella chiamava con grande affetto la sua «piccola moltitudine».
Il programma che lasciava in eredità alle sue compagne e ai suoi innumerevoli amici poteva essere espresso con una sola frase: «Leggere il vangelo – tenuto dalle mani della Chiesa – come si mangia il pane».
Cristina Mustari
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