Anche quest’anno, il 21 novembre, la basilica della Madonna della Salute sarà teatro di una delle feste più amate dai Veneziani. È una tradizione che iniziò nel 1630, mentre la peste infuriava: il doge e il patriarca si affidarono alla Vergine… e, poco dopo, la salute tornò in città.
A Venezia, su quella sottile punta di terra che divide il Canal Grande dal Canale della Giudecca, si erge maestosa una chiesa tutta bianca. Al suo interno, se ne sta un altar maggiore sormontato da una decorazione che non passa inosservata: al centro di un imponente gruppo scultoreo, c’è una Madonna che tiene tra le braccia Gesù Bambino… e fin lì, niente di strano. È però a dir poco bizzarra la scena che si svolge tutt’attorno: alla destra della Vergine, una donna inginocchiata la guarda supplicante in un’eloquente richiesta di aiuto. Alla sinistra della Madonna, troviamo invece un angioletto dall’aria assai belligerante che caccia via a bastonate una vecchia cenciosa.
Simbolicamente, la donna che innalza alla Vergine le sue preghiere rappresenta la città di Venezia; la vegliarda che viene messa in fuga, invece, è niente meno che l’Epidemia. La chiesa di cui stiamo parlando (e cioè, la basilica di Santa Maria della Salute) nasce infatti come un ex voto: fu costruita dai Veneziani nel 1630, per ringraziare la Madonna di averli liberati dalla pestilenza che aveva duramente colpito la città.
Grazie a Manzoni, tutti noi tendiamo ad associare alla città di Milano la grande peste del 1630. In effetti, fu un viaggiatore lombardo a portarla a Venezia: il contagio divampò a causa di un ambasciatore del duca di Mantova, che non aveva rispettato con sufficiente rigore l’isolamento cui avrebbe dovuto sottoporsi in quanto viaggiatore proveniente da una zona a rischio.
Tanto bastò a far scoppiare un focolaio che, nell’arco di poche settimane, divampò incontrollato trasformandosi in un vero e proprio incendio. La peste si diffuse in tutta la città, uccidendo in pochi mesi circa un terzo della popolazione; e, di fronte a questa tragedia, il patriarca Giovanni Tiepolo e il doge Nicolò Contarini organizzarono una veglia di preghiera che ebbe la durata di tre giorni e tre notti. Si inginocchiarono di fronte a un’icona della Madonna che da sempre i Veneziani avevano cara e fecero voto di innalzare un nuovo tempio in onore della Vergine, se l’epidemia si fosse ritirata.
Per usare un linguaggio a cui ormai siamo abituati: dopo poche settimane da quel momento di preghiera, la curva dei contagi cominciò lentamente a calare. E così, nell’ottobre 1630, il senato di Venezia diede ordine di far edificare una chiesa «magnifica e con pompa» in onore della Madonna, per sciogliere il voto che era stato fatto. Fu bandito un concorso al quale parteciparono dodici architetti: a vincere, fu il progetto innovativo di Baldassarre Longhena, all’epoca poco più che trentenne.
Per il giovane architetto, quello della basilica fu il progetto di una vita: i lavori iniziarono nel 1631 e si conclusero nel 1687. La chiesa fu consacrata nei primi giorni di novembre; ma fu al 21 di quel mese, memoria della Presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria, che si tennero i festeggiamenti più solenni. Il doge si recò in processione fino alla chiesa partendo dalla Basilica di San Marco; e, per farlo, attraversò la laguna su un ponte di barche che fu allestito appositamente per l’occasione.
E la memoria di quel giorno restò nel cuore dei Veneziani. Ancor oggi, un ponte di barche viene allestito ogni anno a ridosso del 21 novembre per permettere ai pellegrini di raggiungere la chiesa, sfilare davanti al quadro della Madonna e accendere come da tradizione un piccolo cero benedetto. È un gesto tramite il quale i Veneziani chiedono a Maria la grazia di poter godere di buona salute… e forse non solo quella. Come suggestivamente è stato fatto notare da molti in questi giorni, l’icona della Vergine che si conserva presso la basilica è oggi nota come “Madonna della Salute”; ma prima di quel 1630, i Veneziani la conoscevano con l’appellativo di Madonna Mesopanditissa, cioè “mediatrice di pace”. Era stato proprio davanti a quella sacra immagine che, nel 1264, i Veneziani e i Candiotti avevano siglato un accordo di pace dopo una guerra durata decenni; ed è suggestivo pensare a questo doppio “patronato”, in questo 2022 in cui, ancora una volta, l’Italia e il mondo sono alle prese con guerre e sfide sanitarie.
Non a caso, il Patriarcato di Venezia invita a vivere la festa in modo diffuso in tutte le parrocchie della diocesi, in questo 2022, «facendo tesoro di quanto sperimentato negli ultimi anni segnati in maniera drammatica dall’epidemia». E proprio nell’ottica di mettere a frutto gli insegnamenti della Storia, il Patriarcato ha provveduto ad allargare le modalità di accesso alla basilica per evitare una concentrazione eccessiva delle presenze (oltre che, ovviamente, per favorire quanto più possibile la partecipazione dei fedeli).
È stato inaugurato venerdì 18 il ponte votivo sul Canal Grande, che fino alla sera di lunedì 21 novembre permetterà ai fedeli di raggiungere agevolmente la chiesa attraverso il percorso tradizionale. Domenica 20, la basilica ospiterà sette diverse funzioni liturgiche (alle ore 8, 9, 10, 11, 15, 16 e 17:30); alle ore 18:30, come da tradizione, prenderà il via da Campo San Maurizio la processione guidata dal patriarca di Venezia.
Nel giorno della festa, lunedì 21 novembre, la basilica sarà aperta ai fedeli dalle ore 5:45 alle 22:30 (con celebrazioni eucaristiche alle ore 6, 7, 8, 10, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20). Per l’occasione, la Santa Sede ha deciso di concedere l’indulgenza plenaria, alle solite condizioni, a tutti i fedeli che, dal 18 al 21 novembre, compiranno con devozione un pellegrinaggio fino alla basilica.
Tratto da: it.aleteia.org
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