VI. Sai, Signore,

che cosa hai scelto per te? Hai le idee chiare circa le conseguenze della tua obbedienza? Nell'economia della natura gli escrementi e le scorie velenose degli animali e degli uomini si sciolgono e dissolvono, il sudore evapora, piogge e fiumi portano via il fango, cadaveri e carogne marciscono...

VI. Sai, Signore,

da L'autore

del 01 gennaio 2002

che cosa hai scelto per te? Hai le idee chiare circa le conseguenze della tua obbedienza? Nell’economia della natura gli escrementi e le scorie velenose degli animali e degli uomini si sciolgono e dissolvono, il sudore evapora, piogge e fiumi portano via il fango, cadaveri e carogne marciscono, perfino l’aria ammorbata delle grandi città non arriva a turbare il cielo limpido. Perché i materiali di cui san fatte le cose non sono impuri in se stessi, cambiano soltanto forma e stato.

Ma nell’economia dei cuori è tutto diverso. Là domina il male che non ha una natura, è semplicemente contronatura e si stiva in acervi sempre più alti, perché da sé non si scioglie, e nessun potere del mondo (tu lo sai, anche se gli uomini proprio non lo sanno) è in grado di espiarlo. Nel nord della Francia si vedono fabbriche, accanto alle quali le nere scorie torreggiano come montagne, dieci volte più alte dei tetti della città; le colline sinistre non riescono a diventare parte del paesaggio. E tu vuoi demolire le torri e i monti dei peccati? Vuoi asciugare questo mare di veleni infallibilmente mortiferi? Vuoi fare del tuo nobile cuore un impianto di depurazione?

Come potrai tollerare il contatto anche di un solo peccato, tu purissimo? Stai attento, ti verranno i brividi alle midolla quando uno di noi sulla strada anche solo ti sfiorerà. E se tu gli guardi l’anima e vedi sul fondo il suo formicolio verminoso, e ne ripercorri gli anni e tutto ciò che si è in esso accumulato di vile meschina cattiveria: te lo dico io, solo questo ti farà sentire male. Ma non è abbastanza sfiorare questo peccatore, sopportare per un attimo il suo contatto, avvertire il suo respiro appestato sul tuo viso. Tu devi tentare di prendere su di te i suoi peccati, dichiararti una cosa sola con essi, non solo considerarli da fuori ma gustare da dentro interamente la loro essenza, la loro cattiveria; dovrai pensare che essi non sono i peccati di questo uomo rozzo straniero, che in fondo non t’interessano, ma addirittura i tuoi propri. Essi ora appartengono a te, niente importando se tu stesso li hai fatti o no. Non ti posso enumerare ciò che di afferrabile e noto si nasconde in un’anima, cose che a noi sono sì consapevoli e che di tempo in tempo ci pesano un po’, cose semiconscie e da lungo tempo dimenticate di nuovo, giacché l’uomo non sopporta a lungo la sua vergogna, la dimentica volentieri, e cose infine inconscie: tutti questi peccati possibili, di cui egli sarebbe capace, per i quali da parte sua non manca se non la spinta esterna, l’occasione, il rapporto, la seduzione, la cattiva compagnia. lo non ti posso raccontare tutto questo nei particolari, noi uomini appunto non siamo minimamente consapevoli del numero e del peso delle nostre colpe; oppure le pesiamo del tutto all’inverso, e piccolezze su cui sorvoliamo pesano molto sui piatti della bilancia dell’eternità. Così l’uomo per lo più pensa soltanto alle cattive azioni da lui commesse, e già i cattivi pensieri da lui agitati gli sembrano irrilevanti perché nessuno li vede. Ma tu incontrerai ancora dell’altro che lui stesso non vede: il vuoto. La carenza di amore. L’immensa irricuperabile mancanza del bene che Dio aveva pensato per lui. Lo spazio vuoto di cui non si accorge perché lui stesso è vuoto. Ma tu, che sei la pienezza dell’amore e dell’azione, urlerai in questo vuoto, ti congelerai in questo inverno dell’amore. Non i grandi peccati saranno per te i più dolorosi. Questi sono riconoscibili facilmente e a tutto tondo, e con un coraggioso sorso li puoi ingoiare come un rospo. Ma che cosa fai tu, tu Grande, con la marmaglia? Perché il peccato è per lo più piccolo; è meschino, senza grandezza e senza dignità. È la stessa meschinità ed è sudicio da dare la nausea. Li conosci bene: questi conteggi da bottegaia, calcoli che non finiscono mai. Fin dove posso arrivare per non dovermi confessare? Che cosa posso ancora permettere alla mia voglia peccaminosa? Dove il confine tra peccato veniale (che addebito a me) e mortale? Questo mercanteggiare con Dio. Questo è il massimo in noi. Che cosa pensi di questo nostro comportamento, Figlio dell’amore? Una volta hai fatto schioccare una frusta e hai picchiato queste anime di mercanti nel tempio di tuo Padre scacciandoli. Adesso sei incatenato e loro tutti ti soffiano in faccia i luridi suoni che hanno nella gola. Fa’attenzione perché non devi disprezzare o trascurare nessuno di questi «piccoli» peccati, tutti li devi gustare ad uno ad uno, altrimenti la tua opera non sarebbe completa. Già un unico segmento quotidiano di un unico uomo è una ininterrotta catena di piccoli tradimenti, di innocenti punture d’ago contro l’amore. Ahimé, grande è il tuo lavoro. Ma loro sono molti, tuo Padre ne ha creati molti come la sabbia del mare, miliardi, miliardi ti cadranno addosso come squadroni di cavallette, e non una sola foglia verde si salverà su di te.

Hai preteso troppo a voler portare la loro vergogna. E di fatto ognuno la deve portare. Ma loro non lo fanno. Sanno molto bene commettere le brutte cose, ma pensano che la vergogna delle loro azioni evapori senza lasciar traccia e sprofondi nell’oblio del tempo. Non sanno nulla del Libro della vita e della memoria dell’eternità. Si scuotono di dosso il loro obbrobrio e alleggeriti proseguono. Ma su di te piove e cala e piove questo vituperio dei secoli, un fiume di cui non vedono i confini. Una lebbra dalle migliaia di forme ti copre, discendi dentro una cloaca senza nome. Che cosa significa poi vergogna? È ancora poco venir messi alla berlina, perché in fondo quelli laggiù che guardano allo svergognato sono tutti peccatori, forse anche qualcuno di essi lo sente. In una compagnia serale di aristocratici non è molto doversi denudare, perché ognuno ha il suo corpo sotto i vestiti. Non è molto dover sciorinare i propri vizi più segreti davanti a tutti, perché noi conosciamo i crimini possibili degli uomini da qualsiasi giornale. Ma la vergogna stessa, la vergogna in sé, che nessuno di noi vuole provare o ha provato, che cos’è? Tu lo verrai a sapere. Tu ti dovrai vergognare davanti a tutti, davanti alle pietre morte dell’Orto degli ulivi, davanti a ogni creatura, e soprattutto davanti a tuo Padre. Ti potresti calare in tutti gli abissi e rannicchiarti in ogni buca, ma tu stesso sei l’abisso e la buca. E non pensare che non ci si accorgerà di te. Tutti noi ti guardiamo, tutti noi vediamo su di te la nostra vergogna e in te la disprezziamo.

Tu non puoi liberarti della nausea che senti. Perché adesso sei tu stesso la nausea, tutte le volgarità sono entrate in te, e fai orrore non solo a te ma anche a noi tutti. Noi siamo la società delle persone perbene, tu ne sei estraneo. Noi possiamo perdonarci a vicenda le nostre piccole debolezze e di nuovo levarci tanto di cappello gli uni agli altri, davanti a te ci si può solo rigirare con disprezzo. Noi facciamo una comunità, un anello chiuso, e sarebbe intollerabile pensare che un essere come te è appartenuto al nostro circolo.

Ti assale alla fine la paura? La paura di cui gli uomini non sanno. Non la paura per una disgrazia che ti minaccia, una particolare catastrofe. Perché una simile ansia è circoscritta, ha il suo oggetto, e la coscienza dell’uomo vi è orientata. E sempre rimane, come accompagnatrice indivisibile dell’angoscia di noi uomini, la speranza. Mi posso forse ancora salvare nella casa che brucia; forse è ancora possibile raggiungere in tempo giusto la galleria sommersa, forse mi capita ancora una grazia all’ultimo momento. Quella che tu soffri invece non è una paura delimitata. È un mare di paura senza rive, la paura in sé. Quella paura che è il nucleo e seme del peccato. La paura davanti a Dio e al suo inevitabile giudizio. La paura dell’inferno. La paura di non poter più vedere per 1’eternità il volto del Padre. Di essere lasciato definitivamente cadere dall’amore e da ogni creatura. Tu cadi nel fondo senza fondo, tu sei perduto. Neppure lo sprazzo più esile di speranza delimita quest’angoscia. Perché in che cosa potresti ancora sperare? Che il Padre abbia ancora misericordia di te? Non lo farà, non lo può, non lo vuole più fare. Solo al prezzo del tuo sacrificio egli vuole avere misericordia del mondo. Del mondo, non di te. Di un aldilà della tua paura non si parla neppure. Misericordia? Ma la misericordia di Dio sei appunto tu, ed essa consiste nella tua perdizione. Tu stesso del resto l’hai voluto. Vuoi stornare il fulmine di Dio dagli uomini? Esso colpisce appunto te.

«Padre», tu gridi, «se possibile». Ma adesso non è più possibile. Ogni frammento, ogni fuscello di paglia per una possibilità è sparito. Tu gridi nel vuoto: «Padre!». Si sente solo l’eco. Il Padre non ha sentito. Tu sei sprofondato troppo in giù, come potrebbero ancora sentirti lassù nel cielo? Padre, sono tuo Figlio, il tuo Diletto, il Figlio che ti è nato prima di ogni tempo! Ma il Padre non ti conosce più. Tu sei divorato dalla lebbra di tutta la creazione, come potrebbe ancora riconoscere il tuo volto? Il Padre è passato ai tuoi nemici. Hanno escogitato insieme il loro piano di guerra contro di te. Tanto ha amato i tuoi assassini che ha tradito te, il suo Unigenito. Ti ha dato via come una sentinella perduta, come un figlio prodigo. Sei sicuro che egli c’è ancora? Esiste un Dio? Se un Dio esistesse, sarebbe pure l’amore, non potrebbe essere tutto durezza, tetro come una parete di piombo. Se esistesse un Dio, egli si dovrebbe almeno rivelare nella sua maestà, tu dovresti almeno avvertire un soffio della sua eternità, potresti almeno baciare l’orlo del suo mantello quando passasse alto sopra di te e senza sapere ti calpestasse. Ah, come volentieri vorresti farti calpestare dal piede adorato! Ma invece che nella pupilla di Dio, tu ti irrigidisci nel vuoto di una nera cavità oculare. Ora discendi barcollando verso gli uomini, ora che l’eterno amore è morto, e il freddo dello spazio cosmico ti striscia tutt’attorno glaciale, per rianimarti alloro calore animale. Ma loro dormono. Lasciali dormire, anche il discepolo che amavi lascialo dormire; non potrebbero capire che Dio non ama più.

Una specie di raggio di luce guizza nella tua anima: mi lasci pure cadere se in cambio egli ama solo gli uomini. Se io devo essere il prezzo del riscatto, allora la tenebra eterna non è un prezzo esagerato per la luce eterna, la mia luce eterna!, che ora devono ereditare al mio posto. Padre, sia fatta la tua volontà per loro e anche per me. La tua volontà di amore per essi, la tua volontà di collera per me... Ma l’angelo che ti conforta ti lascia di nuovo, e da sinistra ti si avvicina Satana. Lui ti mostra il mondo. L’umanità dopo la redenzione. Sopporti questa vista? Comprendi ciò che tu là vedi? Ti voglio dire schiettamente di che si tratta: la tua opera è stata vana. Prima della nascita di Cristo, dopo la nascita di Cristo: complessivamente tutto rimane lo stesso. Ci eravamo aspettati un torrente di grazia, pensavamo che Dio avrebbe versato il suo Spirito conformemente alle promesse e che sarebbe sorto un regno santo alla fine dei giorni. Ma non cambierà proprio nulla. Qualcuno dei tuoi discepoli racconterà della tua vita, la gente ascolterà stupita per un momento per vedere se questa nuova notizia è vera, e per un certo tempo parrà come se la tua chiesa possedesse una nuova vita spirituale, una forza dall’alto di trasformazione del mondo. Ma già comincia questo mondo a riversare su di essa i suoi colori, essa si darà il belletto alla guancia con i colori che assumerà via via il mondo, e presto le si domanderà se ha portato qualcosa di veramente nuovo. Una domanda giustificata. La si interrogherà quanto alle prove. Non per quanto concerne le dimostrazioni nei libri e non le dimostrazioni della legittimità della sua missione. Bensì quanto alle prove della sua forza. E poiché essa stessa è intricata nel peccato universale, e poiché il peccato dei cristiani sarà più grave dei peccati degli ebrei e pagani, la sua voce sarà pesante, balbetterà e offrirà al massimo discorsi folli, inutili, carichi di unzione. E la si perseguiterà, perché ha ingannato il mondo con promesse ipocrite, e questa persecuzione sarà giustificata. L’inganno però ricadrà su di te, che l’hai fondata e inviata. Tu sarai il colpevole del fatto che, gli uomini perdono la loro fede infantile in Dio, ed ora, disperatamente delusi di te, passano a un deciso ateismo. Vedi che cosa hai combinato con la tua redenzione? Tu volevi ridare la vista ai ciechi, ma ora essi, diventati vedenti, diventano due volte colpevoli. Prima ti hanno crocifisso e non lo sapevano che cosa facevano. li loro peccato assomigliava alla crudeltà congenita degli animali rapaci; era natura. Adesso sanno quello che fanno; tu hai levato via il velo del mistero dell’eterno amore, li hai collocati immediatamente davanti al triplice abisso di Dio, come sacerdoti della divina economia. Ciò che era veniale e lieve è diventato con te mortale e imperdonabile. Con frecce infantili sparavano una volta contro il cielo, tu hai messo loro in mano l’acuta freccia micidiale con cui colpiscono nel centro nero del cuore di Dio. Hai sbagliato i calcoli. Hai creduto di portare salvezza e hai in realtà decuplicato il peccato. In cento maniere prenderanno pretesto per peccare. Sarai per essi di scandalo con il tuo amore, si sentiranno urtati a ogni tua proposizione. E a ragione, come anche tu ammetterai: perché le tue proposizioni sono comprensibili a rovescio e pericolose per la gran massa. Ogni errore, ogni stupidità si richiamerà a te e troverà riscontro nelle tue parole. Come furie faranno a pezzi il tuo Vangelo e se lo getteranno sanguinosamente l’uno contro l’altro. E i tuoi fedeli andranno a peccare più avanti ancora: perché l’amore di Dio ora è sceso di prezzo e con le monetine del pentimento si può avere l’assoluzione negli automatici della confessione. Capisci che cosa hai fatto: hai reso loro troppo facile il peccato. Una cosa da ridere è la tua salvezza, libera gli uomini in direzione del peccato! Bisognerebbe allontanarti, costruire un grande arco intorno a te, perché sei un seduttore dell’umanità. Per tutti coloro che incontri sei un pericolo. Sei una malattia contagiosa. Credimi, gli uomini vengono educati meglio nella loro naturalezza e nei loro istinti. Tutto ciò che hai ottenuto è di dar loro una cattiva coscienza.

No, essi hanno ragione di respingerti. Non vogliono ciò che offri loro, dal momento che conduce a una tale perdita. Ciò di cui hanno bisogno è pane e amore - l’amore che già conoscono e che tu non conosci, verginale quale sei - di più non comprendono. La tua religione non è per le masse. I tuoi preti annunceranno dai pulpiti le tue pretese, ma nessuno le osserverà, e molti si meraviglieranno quanto sei estraneo al mondo. A molti e molti rigirerai la testa e la coscienza, così che non capiscono più che cosa veramente vale.

Ma io do ancora uno sguardo ai tuoi eletti, ai tuoi amici particolari, alle tue pupille. Ai tuoi santi. Non voglio adesso metterli sotto lente, non voglio rinarrare come per parecchi anni si sono inalberati contro il tuo amore con le mani e coi piedi, finché tu alla fine con violenza hai abbattuto la fortezza della loro anima. Ma che cosa regali loro per compenso? La tua croce, la tua via crucis. Il Padre tuo ti ha gettato a rischio, tu getti loro a tua volta a rischio. Il tuo amore è crudele. Che salvezza o liberazione è questa? Non potevi portarla tu una volta per tutte, la croce? Sei così debole che sempre un altro deve trascinarsi dietro a te? Ti sei offerto, tu Adante spaccone, di portare il peso del mondo sulle tue spalle. Hai sopravvalutato le tue forze: lungo il breve percorso crolli a terra tre volte, e Simone il cireneo deve portare la tua sbarra. Non potresti alla fine lasciare in pace i tuoi? Tu li esponi alle bestie selvagge, li lasci ardere come fiaccole viventi, nei campi di concentramento verranno tormentati lentamente, demoniacamente. E non basta: li esponi a tutti i diavoli e li tiri già nella stessa fossa di terrore e di schifo, e li lasci diventare, come dice il tuo apostolo, la spazzatura e la feccia del mondo e la derisione della creazione. Nel loro corpo essi devono compiere ciò che ancora manca alla tua passione, che non hai saputo patire a pieno.

Perché certamente occorreva, per soffrire, un cuore grande e forte. Ma quello tuo è piccolo e debole, ed è diventato del tutto impotente, così che tu stesso non lo riconosci. E per soffrire occorreva poter amare. Ma tu non ami appunto più; il tuo amore, che una volta si gonfiava dignitoso come grande campana, ora balbetta miseramente come una raganella del venerdì santo. Sarebbe troppo facile soffrire se si potesse ancora amare. L’amore ti è stato tolto. La sola cosa che ancora senti è il vuoto bruciante, lo spazio cavo che esso lascia. Sarebbe una gioia per te se potessi ancora amare a partire dalla profondità dell’inferno per tutta un’eternità il Padre che ti ha riprovato. Ma l’amore ti è stato tolto. Tu volevi dar via tutto, vero? Non è una grande arte dar via tutto fino a che si conserva ancora l’amore. La situazione si fa seria solo quando l’amore dà via se stesso. L’amore era il cuore del tuo cuore, il sangue della tua anima, l’eterno respiro della tua persona. Vivevi dell’amore, non avevi altro pensiero che l’amore, eri l’amore. Ora esso ti è stato sottratto: tu soffochi, muori di fame, sei estraneo a te stesso. Muori la vera e reale morte di amore; perché l’amore rantola e cessa negli ultimi rantoli.

Tutto ciò così dev’essere. E deve rimanere nascosto, e gli uomini non ne hanno un’idea. Ci camminano sopra come sopra le cupe canne e canali, queste orride catacombe delle grandi periferie. In alto lassù brilla il sole, i pavoni fanno la ruota, in abiti leggeri gonfi di vento impazzisce allegra la gioventù. E nessuno ne conosce il costo.

Hans Urs Von Balthasar

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