VII. I tempi della preghiera

Pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore. Canterò e inneggerò a Te. Sorgi, mia gloria, sorgi arpa e cetra. Voglio destare l'aurora. Ti celebrerò fra i popoli, o Signore. E inneggerò a Te fra le nazioni; perché grande, oltre i cieli è la tua benignità e sino alle nubi la tua fedeltà. (Sal 107)

VII. I tempi della preghiera

La preghiera è innanzitutto parola, recitazione, canto.  

China, o Signore, il tuo orecchio e ascoltami, perché misero e povero io sono. Guidami, o Signore, per la tua via; ch'io cammini nella Tua verità. Si rallegri il mio cuore a temere il tuo nome. (Sal 85) Sovente racchiude un grido, un pianto, un lamento d'angoscia: O Signore, Dio della mia salvezza, di giorno e di notte io grido dinanzi a Te. Giunga al Tuo cospetto la mia preghiera, perché satura di mali è l'anima mia e la mia vita è vicino all'averno. Son contato tra quei che scendono nella fossa. Son diventato come un uomo senza soccorso. Tra i morti sono, benché libero e vivo ancora. Come gli uccisi che dormono nei sepolcri dei quali più non ti ricordi e alla tua mano sono stati strappati. (Sal 87) Qualche volta un'esplosione di felicità: Io t'amo, mio Dio, mia forza. Il Signore è il nio sostegno. Il mio Dio è l'aiuto in cui spero. (Sal 17) Un'ammirazione estatica delle sue opere: I cieli narrano la gloria di Dio, e le opere delle sue mani annunzia il firmamento. (Sal 18) La lode appassionata della Sua Provvidenza: Il Signore è il mio pastore, nulla mi manca.   In erbosi pascoli mi fa posare. Presso refrigeranti acque mi nutre, ristora l'anima mia. Mi guida per retti sentieri a motivo del suo nome. Quand'anche camminassi nell'ombra della morte, non temerei sciagure, poiché Tu sei con me. (Sal 22) Questa maniera di parlare con Dio è di tutte le epoche, e di tutti i luoghi. Dall'inizio della vita spirituale al termine, l'uomo si servirà di questo mezzo - la parola - per esprimere i suoi sentimenti col suo Creatore. Ma anche qui è come nell'amore: le parole abbondano al principio, poi si fanno più rare e più profonde, finché si riducono a qualche monosillabo che racchiude però tutto.  

Normalmente un'anima parla molto al tempo della sua conversione, nel periodo del suo noviziato, nei primi anni della sua scoperta di Dio. È il periodo più facile per l'anima, anche perché tutto concorre a rivestire la preghiera: novità, sentimento, fantasia, arte, passione.

E Dio, in più, mette la sua parte di consolazione. E tutto fluisce come ai primi tempi di un matrimonio felice.

Pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore. Canterò e inneggerò a Te. Sorgi, mia gloria, sorgi arpa e cetra. Voglio destare l'aurora. Ti celebrerò fra i popoli,  o Signore. E inneggerò a Te fra le nazioni; perché grande, oltre i cieli è la tua benignità e sino alle nubi la tua fedeltà. (Sal 107)

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Un altro tempo della preghiera è la "meditazione". Qualche volta segue dappresso la parola. Specie quando l'anima è matura, s'intercala con essa, si fonde con essa. Qualche volta vien dopo, accompagnata da una serie di verità e di luce.  

È il tempo del libro, il tempo in cui si cerca di sapere ciò che altri han detto di Dio; è il tempo fervido della riflessione, dello studio teologico; tempo di discussioni filosofiche, tempo di incontri d'anime, tempo bello, molto bello.  

Se il mondo sapesse la gioia che prova un cristiano in questo periodo, la pace che regna nel suo cuore e l'equilibrio che domina le sue facoltà, ne rimarrebbe stupito, incantato.   Io l'ho conosciuto tale periodo; e ho avuto la fortuna di viverlo con centinaia, con migliaia di altri giovani. Dio, la Chiesa, le anime erano le nostre sole pasioni. Ci sembrava ad ogni alba di dover forgiare un mondo nuovo, ci si lanciava contro l'errore come Davide contro Golia, ci si incontrava numerosi per pregare e parlare di Dio.  

Che importavano le notti insonni, i lunghi viaggi in terza classe, le galoppate in bicicletta nelle campagne per destare il movimento, i sacrifici economici e le ferie sacrificate per fare una volta all'anno gli Esercizi Spirituali? Questi restano tra i più cari ricordi della mia vita, ricordi a cui torno con gioia e pace serena.

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Ma torniamo alla meditazione. Ci sono mille maniere di fare meditazione, ed è bene che ciascuno faccia la sua esperienza. Si accorgerà, camminando, ciò che gli è più adatto. Vorrei soltanto dire qui due cose che ho imparato dal mio grande maestro S. Giovanni della Croce: l'una sul metodo della meditazione e l'altra sul libro da scegliere. Sul metodo - S. Giovanni lo divideva in tre parti - e fin qui niente di nuovo.  

1. Rappresentazione immaginativa del mistero sul quale si vuol meditare.  

2. Considerazione intellettuale dei misteri rappresentati (anche qui nulla di nuovo).  

3. (ed è importante) Riposo amoroso e attento a Dio per raccogliere il frutto là dove s'apre all'illuminazione divina la porta della intelligenza.  

Questo sforzo amoroso, profondamente umano, deve sfociare in una serenità, in un riposo affettuoso dinanzi a Dio. Cioè, dev'essere una meditazione orientata nettamente verso la semplificazione e il silenzio interiore.   Sul libro da scegliere - Innanzitutto scegliete la Bibbia. Se potete, leggete pure tutti i libri di meditazione che volete, ma ciò non è indispensabile; indispensabile invece è leggere e meditare la Sacra Scrittura. Basta con un cattolicesimo senza Bibbia! Basta con una predicazione senza midollo, perché non ancorata alla Scrittura. Basta con una formazione religiosa non scaturita dal Vangelo.  

La Bibbia è la lettera che Dio stesso scrisse agli uomini nei millenni della loro storia. È il sospiro verso il Cristo (Vecchio Testamento) e il racconto della sua venuta tra noi (Nuovo Testamento).  

Quando bruciò il tempio di Gerusalemme, gli Ebrei, che ben se ne intendevano di tesori, abbandonarono alle fiamme tutto, ma salvarono la Bibbia. S. Paolo conosceva la Bibbia a memoria; e S. Agostino disse: "Ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo".  

Il Verbo fatto parola è la Bibbia, il Verbo fatto carne è l'Eucaristia. Non dubito di metterli entrambi sull'altare e di inginocchiarmi dinanzi.  

C'è un risveglio biblico, grazie a Dio; ma siamo ancora molto indietro.

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Dicevo dianzi che la preghiera è come per l'amore: le parole abbondano al principio, le discussioni sono dei primi tempi. Poi si fa silenzio e ci si intende a monosillabi. Nelle difficoltà è sufficiente un gesto, uno sguardo, un nulla: basta amarsi.  

Viene quindi il tempo in cui la parola è di troppo e la meditazione è pesante, quasi impossibile.  

È il tempo della preghiera di semplicità, tempo in cui l'anima si intrattiene con Dio con uno sguardo semplice, amoroso, anche se sovente accompagnato da aridità e sofferenza.   In questo periodo fiorisce la cosiddetta preghiera litanica: cioè ripetizione all'infinito di identiche espressioni povere di parole ma ricche, straricche di contenuto.   Ave Maria... Ave Maria... Gesù ti amo... Signore abbi pietà di me...  

Ed è strano come in questa preghiera litanica, monotona, semplice, l'anima si trovi a suo agio, quasi si cullasse nelle braccia del suo Dio. È il tempo del Rosario vissuto e amato come una delle più alte e ispirate preghiere.  

Sovente, nella mia vita di europeo, ho avuto modo di assistere o prendere parte a discussioni animate sul pro e contro del Rosario. Ma, alla fine, non ero mai pienamente soddisfatto. Non ero in condizione adatta per comprendere a fondo questa maniera di pregare.  

"È una preghiera meditata", diceva qualcuno. Bene! Allora han ragione i giovani di lamentarsi delle distrazioni che dà alla meditazione del mistero questa ripetizione inutile di dieci Ave Maria. Annunziate il mistero e lasciatemi pensare. "No; è una preghiera di lode", dicevano altri; e bisogna pensare a ciò che si dice, parola per parola.  

Ma è impossibile! Chi è capace di dire 50 Ave Maria, distratto da cinque rappresentazioni di misteri, senza perdere il filo?  

Io debbo confessare che nella mia vita, pur facendo uno sforzo qualche volta, non sono mai riuscito a dire un solo Rosario senza distrarmi. E allora? E allora fu nel deserto che compresi che coloro che discutono - come io discutevo in tal maniera - sul Rosario, non hanno ancora capito l'anima di questa preghiera. Il Rosario appartiene a quel tipo di preghiera che precede di poco o che accompagna la preghiera contemplativa dello Spirito. Meditate o non meditate, distraetevi o meno, se amate il Rosario a fondo, e non potete trascorrere la giornata senza recitarlo, significa che siete uomini di preghiera.  

Il Rosario è come l'eco di unónda che percuote la riva, la riva di Dio: "Ave Maria... Ave Maria... Ave Maria...". È come la mano della Madre sulla votra culla di bambino; è come il segno di un abbandono di ogni difficile ragionamento umano sulla preghiera per l'accettazione definitiva della nostra piccolezza e della nostra povertà. Il Rosario è un punto di arrivo, non un punto di partenza. Per Bernardetta il punto di arrivo giunse molto presto, perché predestinata a vedere su questa terra la Madonna; ma normalmente è una preghiera della maturità spirituale. Se un giovane non ama dire il Rosario, se dice di annoiarsi, non insistere. Per lui è meglio la lettura di un testo scritturale o una preghiera più intellettuale. Ma se incontrate un bimbo in una campagna deserta, o un vecchio sereno, o una donna semplice che vi dice di amare il Rosario, senza capirne il perché, rallegratevi e gioite, perché in quei cuori c'è lo Spirito Santo che prega. Il Rosario è una preghiera incomprensibile per l'uomo del "buon senso", come è cosa incomprensibile ripetere a un Dio, che non si vede, mille volte al giorno: "Ti amo"; ma è una preghiera comprensibilissima per i puri di cuore, per chi è stabilito "nel Regno"; per chi vive le Beatitudini.  

Gli orientali, anime altamente contemplative, hanno sviluppato una preghiera litanica simile al nostro Rosario e lo chiamano la "preghiera di Gesù".  

Si tratta di ripetere, ripetere lentamente e con l'anima disposta alla pace il famoso "Kirie eleison".  

Signore, abbi pietà di me:  
sono un uomo peccatore;
 
Cristo, abbi pietà di me:
 
sono un uomo peccatore.
 

E giungono in questa preghiera litanica ad una ginnastica spirituale che piace alla loro mentalità, cadenzandola con il respiro e addirittura col battito del cuore.  

Grande impresione mi ha fatto a questo proposito la lettura di un volumetto pubblicato in Francia: Le pèlerin russe, accompagnato più tardi da un altro di un monaco ortodosso della Abbazia di Chevetogne: La preghiera di Gesù.

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Mentre la preghiera si fa scarsa di parole e ricca di contenuto, la meditazione si fa pesante e vuota di gusto. Ciò che prima era motivo di piacere intellettuale ora è causa di aridità e sofferenza.   Si ha l'impressione che la vita interiore abbia subito un arresto; qualche volta si pensa che, invece di procedere, si torni indietro. Il cielo ha perduto i suoi colori vivi, il grigio domina l'atmosfera dell'anima. S'incomincia a capire ciò che significa "andar avanti nella fede nuda". Fortunoto colui che in tal momento della sua evoluzione spirituale ha una buona guida e più ancora ha l'umiltà di farsi condurre. Non è facile; perché la presunzione di saper fare da soli è cosa ben solida nella nostra anima, e solo i buoni e ripetuti capitomboli la intaccano a misura. Da che cosa dipende questa aridità nel meditare, questa repulsione a fissare il nostro pensiero sulle cose spirituali prese l'una dopo l'altra?  

Evidentemente può dipendere da qualche nostra colpa, può dipendere da qualche attacco disordinato del nostro cuore, dalla mancanza di vigilanza, dalle spine in cui abbiamo lasciato soffocare il buon grano.   Non sempre la difficoltà a meditare è il segno di un avanzare dell'anima verso Dio, di un passaggio ad una preghiera più elevata. Ma può - grazie a Dio - esserne il segno. Come distinguere? Sempre il grande S. Giovanni della Croce ci dice come. Ci sono tre segni che indicano il passaggio dalla preghiera discorsiva alla preghiera contemplativa.  

1. - L'attività dell'immaginazione si fa senza gusto; anzi, diviene impossibile.  

2. - L'immaginazione o i sensi non hanno più nessuna inclinazione per le cose particolari. Nessuna consolazione nelle cose create, n'r gusto, né sapore per qualsiasi cosa.  

3. - L'anima prende piacere a restare sola con attenzione amorosa verso Dio, in pace interiore, quiete e riposo, senza atti né esercizi di facoltà. Ecco, questa terza condizione è buona. E se c'è nell'anima, giustifica le altre due. Se cioè ho difficoltà a meditare le cose di Dio, se non riesco più a fissarmi su questo o su quel mistero della vita di Gesù, su questa o su quella verità, ma... ho sete di restare solo e in silenzio ai piedi di Dio, immobile, senza pensiero, ma in un atto d'amore, significa... significa una grande cosa; e ve ne voglio parlare pacatamente a parte, perché è uno dei più bei segreti della vita spirituale.

Carlo Carretto

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