VII. Se hai del fuoco in casa,

custodiscilo bene dentro un focolare incombustibile e tienilo coperto, perché se ne sprizza anche solo una scintilla e tu non l'avverti, diventerai preda delle fiamme insieme con la casa. Se hai il Signore del mondo in te, nel tuo cuore incombustibile, cingilo bene con siepe, stai attento a come tratti con lui...

VII. Se hai del fuoco in casa,

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Custodiscilo bene dentro un focolare incombustibile e tienilo coperto, perché se ne sprizza anche solo una scintilla e tu non l’avverti, diventerai preda delle fiamme insieme con la casa. Se hai il Signore del mondo in te, nel tuo cuore incombustibile, cingilo bene con siepe, stai attento a come tratti con lui, perché egli non incominci a pretendere, e tu non sai più dove ti spinge. Tieni ben ferme in mano le redini.

Non lasciare il timone. Dio è pericoloso. Dio è un fuoco divorante. Dio ha su di te le sue intenzioni. Lasciati mettere in guardia da lui: «Chi mette mano all’aratro e si volge indietro non è degno di me. Chi non mi ama più del padre e della madre, degli amici e della patria, anzi più di se stesso, non è degno di me».

Fai attenzione, egli si nasconde, comincia con un piccolo amore, con una piccola fiamma e, prima che tu te ne renda conto, ti tiene già tutto e sei prigioniero. Se ti lasci prendere, allora sei perduto, perché non ci sono limiti verso l’alto. Egli è Dio, è abituato all’infinito. Ti risucchia in alto come un ciclone, ti vortica su e giù come una tromba d’acqua. Pensaci bene: l’uomo è fatto secondo misura e limite, e solo nella finitezza egli trova pace e felicità; ma questo qui non conosce misura. È un seduttore dei cuori.

Lo vedi là dove si erge, sopra gli scalini del tempio, frammezzo la folla ribollente? Come adesso allarga le braccia e alza questa voce che già basta da sola a strappare un cuore d’uomo dai fondamenti: «Chi ha sete venga a me e chi crede in me beva da me! Perché la Scrittura dice: fiumi d’acqua viva escono da lui». Proteggiti da questa bevanda. Perché egli ha pur detto a quella donna: «Chiunque beve acqua terrena avrà ancora sete. Ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno». Difenditi; perché sta anche scritto: «Chi beve della sapienza avrà di nuovo sete ma finalmente vera sete». Ho paura che costui farà per la prima volta esperienza di che cosa significa sete, e quanto più insaziabilmente comincerà a bere, tanto più intollerabilmente aumenterà il suo dolore. Afferrato dalla legge dell’illimitato finirà in vertigine. Attento, egli ti invita a perdere la tua anima per guadagnarla. Intende l’amore. Suggerisce all’uomo l’impossibile. Non vede che essi son fatti per una felicità entro limiti: un po’d’anni di compagnia con una persona amata, una passeggiata in campagna, o anche solo una coppa di fragole. Un quadro, un libro, una panca ombrosa. Una buona stufa. Una camminata impegnativa di notte. li fragore di una battaglia. La maestà di una morte. Sempre un senso eterno vincolato alla forma esatta di un momento. Questo basta ed è indicibile[1]. Qui il mondo matura e si arrotonda come un frutto in se stesso e cade davanti ai piedi dell’eterno con il suo significato divino. Interroga i poeti.

Egli è tuttavia per tutto ciò che è nostro un pericolo. Non è stato prudente da parte sua esibirsi così a nudo, perché le sue parole suonano come aperto incitamento alla ribellione: «Fuoco io sono venuto a gettare sulla terra e che altro voglio se non che divampi?». Se egli tenesse per sé l’eccesso della sua anima, oppure se facesse fiammeggiare per me il fuoco d’artificio dell’amore per la salvezza come uno spettacolo una volta tanto davanti agli occhi rapiti degli spettatori, niente da obiettare. Potremmo battere con gratitudine le mani, un «applauso prolungato e fragoroso» per questo inaspettato gratuito arricchimento della creazione. Una buona ragione per far festa. Potremmo esserne orgogliosi: orgogliosi del fatto che la passerella del cuore umano, già così ricca di acrobati straordinari, trova la sua conclusione culminante con il salto-mortale di Dio. Ma lui non lascia che le cose vadano così. Egli presenta il suo salto mortale come un modello, adesca gli uomini fuori dai loro limiti alla stessa avventura infallibilmente mortale. Il suo fuoco deve ardere ancora, diffondersi. Qui o là gli riesce di far saltare in aria un’anima come dinamite e di far vibrare le finestre in un vasto raggio e di far tremare le mura angolari.

Che cosa si fa quando minaccia di scoppiare un incendio? Si fa tutt’attorno una cintura di protezione. Si cerca di sottrargli l’esca che l’alimenta, e quando proprio è necessario si ricorre alle mine, si fa saltare tutto un quartiere. Si traccia una strada divisoria attraverso il bosco, oppure quando brucia la steppa si scava una larga fossa. Così dobbiamo tentare anche noi di reprimere l’incendio. Si crea intorno ad esso uno spazio d’aria vuoto, dove non possa respirare né fuoco né amore! Lo si soffoca insomma, anche se con mezzi soffici.

Se lo si prende in parola, il meglio che ci si sente dire è: «li mio regno non è di questo mondo». Qui avete la chiave; il suo regno non è di questo mondo, non è questo mondo. Elevato! Celeste! Egli possiede un regno superiore! Lasciategli il suo regno, allora dovrà anche lasciarci il nostro. Alzatelo, sospingetelo su nel suo regno superiore! Non c’è bisogno che gli indichiate la porta, da villani che non conoscono le buone maniere; fatelo in bella forma: lo potete venerare, nel senso migliore e più insospettabile, complimentare accomiatandolo. Non contrastarlo, ma cedergli, ammettere che lui viene dall’alto e noi dal basso, che lui è la luce del mondo, e che le tenebre non l’hanno compreso, e che egli è venuto per poi ritornare al Padre. Perché dovete comprendere: lui vorrebbe vicinanza, vorrebbe abitare in voi e mischiare il suo respiro col vostro. Vorrebbe essere con voi fino alla fine del mondo. Batte alla porta di tutte le anime, si fa piccolo e inapparente per poter aver parte a tutti i vostri piccoli affari e grattacapi. Si presenta piano e leggero per non disturbare, per non essere riconosciuto, per starci vicino in incognito in tutto il frastuono dell’annuale mercato terreno. Cerca confidenza, fiducia, mendica il vostro amore. Qui è il momento di rimanere duri. Di non confondere i confini. Egli è Dio, lo deve rimanere. Non declassare la sua dignità. È da timorati di Dio ricordargli che cosa deve a se stesso. Quando esce a un tratto dal suo ripostiglio e allunga la mano sul vostro cuore con uno dei suoi famosi colpi e si alza davanti a voi, voi gettatevi subito a terra e dite umilmente: «Signore via da me, sono un uomo peccatore!». La distanza è ovvia. E se egli vi guarda dolorosamente e tenta silenziosamente di rendervi visibile la sua solitudine, state forti, mostrategli tutto il vostro rispetto e dite: «Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto» (lasciate di dire il resto). Oppure se voi stessi lo invitate a casa vostra, siate contegnosi, non abbassatevi fino a lavargli con intimità e servilismo i piedi, guardatevi dal dargli un bacio, dall’ungergli il capo con olio! Se lui si mette all’ultimo posto, ditegli: Amico, passa più avanti e costringetelo a mettersi al primo. Adoratelo, così come si è trasfigurato sul monte, costruitegli, a lui e ai suoi celesti compagni, tre capanne, e state attenti che non ridiscenda.

Tutto questo è molto più facile di quanto pensiate. È un’idea espressamente religiosa, e che cosa vuole Dio da voi se non religione?

Il riconoscimento dell’«infinita differenza qualitativa» tra Dio e il mondo. Farlo in modo più dialettico o più liberale, ciò sta nel vostro arbitrio.

Nella vita pubblica non è difficile. Ciò che là conta è mantenere giusta e verticale la linea divisoria una volta che è stata tirata. Il suo regno non è di questo mondo. Perciò egli non ha perduto niente a causa dei nostri affari mondani. Lasciategli le sue cattedrali, e lui lasci a noi i nostri banchi, i nostri affari, la nostra politica, le nostre scuole, le opere della nostra cultura, la nostra grande o piccola patria. Lasciategli il suo territorio di riserva, il parco nazionale delle sue chiese; noi ci obblighiamo a non tagliare legna e a non cacciare colà, le nostre strade devono venir distese come ad arco intorno a tale riserva di Dio, e in essa si deve consentire a Lui di portarsi in giro le sue bestie da montagna e di coltivarsi i suoi pini cembri mirabilmente intagliati in prossimità dei ghiacciai. Se una qualche volta un nostro ricercatore, un filosofo della religione si perde entro i suoi giardini e raccoglie qualcuna delle loro pianticelle che là s’incontrano ad ogni pié sospinto, se lui le raccoglie e le classifica (secondo l’ultimo stadio della psicologia), noi non ne avremo a male di queste sue predilezioni sentimentali. Ma per il resto non una parola su di lui! Nelle vostre costituzioni fate in modo di procedere secondo le leggi immanenti della ragione e dell’umanità, del benessere e della sana capacità di conservazione. L’amore disinteressato del prossimo può trovare una certa giustificazione entro l’ambito della morale privata, ma lo stato come insieme e la nazione devono, per non crollare immediatamente come utopia alienata dal mondo, devono poggiare sul solido fondamento dell’interesse collettivo. Nessuna parola dunque su di lui nei vostri consigli, nessuna nei vostri articoli di fondo, nessuna nei vostri congressi per la pace. Il mondo al mondo. Sarà prudente circoscrivere gli ecclesiastici nell’ambito della chiesa e non consentire loro nessun diritto o potere d’ordine pubblico. Voi prestate loro in tal modo un servizio, giacché da sempre la politica ha guastato la chiesa e compromesso la sua influenza. Sarà prudente provvedere nella scuola perché ci sia una netta separazione tra le discipline secolari e la religione; quando la religione è diventata una disciplina marginale accuratamente isolata accanto a venti altre, non ci potrà più essere un grande pericolo di una sua prevalenza. L’alunno comprenderà da sé che qui si tratta di una specie di libera materia senza importanza pratica, e in ogni caso senza influsso sui voti d’esame. In tal modo avete la gioventù dalla vostra parte. In tempi critici per contro non sarà di nocumento indirizzare il bisogno religioso accresciuto - purché non arrivi a forme d’inquietudine pericolose - verso le istituzioni sacrali erette a questo scopo, dove ognuno può darsi una rinfrescata quasi senza spesa. Ciò appartiene all’igiene pubblica, e vi risparmia la fatica di frugare nelle acque torbide del problema religioso.

In ogni caso la soluzione recita: immunità contro il bacillo religioso! Come vaccinazione e controveleno: le istituzioni ecclesiastiche. Allora avrete ordine.

Nella vita della cultura bisogna puntare alla chiarezza. Lasciamo pure che ci sia, ben visibile da lontano, una qualche libreria religiosa, ma si curi che nelle altre, accessibili a tutti senza inibizioni psicologiche, le pubblicazioni religiose non siano apertamente esposte. Quanto all’arte si avverta che oggetti religiosi siano al più possibile caratterizzati come tali e che non ci siano delle confuse «atmosfere religiose» ad avvolgere opere d’arte laica. Gli artisti religiosi faranno bene a raggrupparsi in corporazioni particolari. Bisogna quanto più possibile promuovere centri di formazione cristiana, con la tendenza a rappresentare l’elemento confessionale entro il giro di una semplice «cultura»: in tal modo 1’atmosfera restante viene purificata. La separazione tra filosofia e teologia, tra ordine naturale e fede cristiana, tra mondo del peccato e piano della salvezza, tra umanità e croce deve venire presentata come un importante traguardo di arrivo della modernità anzi come la salvezze decisiva per entrambe le parti.

Società o movimenti che snobbano intenzionalmente queste leggi di sanità pubblica devono venir vietati come pericolosi per lo stato. Sono invece da promuovere quelle associazioni che relegano il cristianesimo, in quanto troppo sacro per la strada, troppo puro per il mondo, in quelle sale sacre le quali adornano l’immagine esterna delle nostre città come pie reliquie del Medioevo, a protezione della patria. (Facilitate il flusso degli stranieri!).

Ma tutto questo non basta. Ancora sembra che Gli appartenga, che resti a sua disposizione la realtà interiore delle anime.

Estradato dalla vita pubblica e sociale Egli può ancora sviluppare il suo potere di seduzione nella sfera privata delle coscienze. Raddoppiate la vostra vigilanza! Qui l’avviso deve pervenire ad ogni singolo personalmente. Come linea direttiva può valere la seguente: attenetevi alla pratica della maggioranza schiacciante dei cristiani; essi hanno scelto d’istinto la cosa giusta. Hanno trovato l’equilibrio aureo tra le esigenze immediate della vita e quella loro pretesa totalitaria. Nella vostra vita quotidiana erigete pure in qualche angolo romantico una cappella. Metteteci un altare e davanti un inginocchiatoio. Là Lui rimane come consegnato; là voi, a prescindere dalla grande ressa alla messa domenicale, lo potete visitare ogni giorno per alcuni minuti. «I miei cinque minuti quotidiani»: per voi la salutare ginnastica mattutina dell’anima, per Lui un segno che non avete dimenticato di contare su di Lui. Lo potete pregare di benedire gli affari della vostra giornata. Così un certo ponte viene gettato. Voi potete inoltre costruire una cosiddetta «buona opinione», mediante cui promettete di compiere la vostra opera quotidiana «in Suo onore». Ma subito dopo via di lì, e non dimenticate di portar via la chiave del santuario e di prendere i dovuti provvedimenti! Seriamente fate in modo che Egli non si riservi poi qualche intervento nei vostri affari privati. Non lasciatevi inquietare da nessuno che volesse dimostrarvi con parole della Scrittura o altri scritti devoti che voi dovete pregare in ogni tempo, avere in ogni tempo rapporto con Lui. No, ciò disturberebbe solo il vostro lavoro, che pure è voluto indubbiamente da Dio e dalla natura. DiteGli che Gli siete cordialmente riconoscenti se nel frattempo occupandosi della vostra salvezza vi perdona i peccati, vi procura le grazie di cui avete bisogno, e che sarà un piacere ricevere alla fine il risultato dei suoi sforzi. Fino ad allora c’è sempre tempo, e non Gli potete essere di utilità.

Ma non si è ancora conseguito lo scopo. La separazione tra preghiera e vita quotidiana è solo un inizio. Rimane il tempo della preghiera, quando ti trovi davanti a Lui occhi negli occhi. Il tempo dell’esame di coscienza, volontario o meno. li tempo in cui il suo occhio imperscrutabile ti coglie un’altra volta, e il fuoco represso potrebbe ancora divampare. Il tempo in cui un’angoscia interiore a tuo riguardo, un interiore desiderio di purezza e di totalità ti agita e le lacrime non sono lontane. Momenti pericolosi. Il tempo dell’attrazione dell’amore. Rimani duro. Non fare la femminuccia. Procura di dirti sempre che su teneri sentimenti non si costruisce nulla di durevole. Questi stati d’animo dissolventi non si adattano al tuo carattere. E non hai forse sempre fatto l’esperienza che stati simili passano senza tracce come nuvole transeunti, e che, dopo, tutto è ritornato come prima? Fonda la tua religione non su cose così incerte e confuse. Forse esistono realmente in Lui questi lati sentimentali, ma per te è sufficiente rappresentarli nella forma di un’immaginetta devota nel tuo libro di preghiera. E se tu non riesci a liberarti dal suo sguardo, prega allora fino a quando non lo vedi più. La cosa è possibile. Pregare fino a sbarazzarsi di Lui. Pregare il Dio vicino fino a farne un Dio lontano. Pregare con tale ardore fino a risolversi e dissolversi nelle proprie parole, e non si ha più tempo né possibilità di udire la voce di Dio. Lo seppellisci di preghiere, finché Lui con la voce sua ammutolisce. Hai bisogno appunto di mille cose da parte sua, così Lui non ce la farà mai a soddisfare le tue esigenze. Con l’adempimento dei tuoi doveri religiosi oppure, che sarebbe ancora più nobile, con volontari esercizi devoti, ti sei risparmiato di dover ascoltare la fastidiosa voce. Credimi, questo metodo è di gran lunga il migliore, e se tu gli sei fedele, ti riuscirà prima o poi di porre la tua religione al posto della sua. Allora avrai pace per sempre. Purché tutto avvenga in nome della devozione e del cristianesimo. Essenziale è coprirsi davanti a Lui. DiGli che è Dio e ,che sa già ogni cosa. Allora non hai più bisogno di dirgli singola cosa. Oppure diGli che tu sei tutto sommato soltanto un uomo, questo lo commuoverà fino alla compassione. Oppure diGli che hai un desiderio illimitato della sua grazia e che calcoli con certezza salvifica che tutto finirà bene. Ciò lo prenderà al senso del suo onore di salvatore e lo disarmerà. MostraGli una devozione ingenua, infantile, con fermezza e di colpo punta su di lui il tuo occhio innocente e sperduto (il «puro sguardo della creatura»), e Lui non oserà iniziarti nei suoi misteri sconvolgenti. li suo regno non è del tuo mondo. Lasciamo a Lui la sua oscurità, Lui non ha bisogno di comprendere la tua luce.

Rimane ancora la Chiesa. Il suo luogo di rifugio. La Chiesa e le chiese. Qui Egli si è raccolto, vi ha ridotto la potenza degli eserciti della sua grazia. Qui Egli deve venir colpito in modo decisivo. Allora non ci sarà più spazio per lui, perché ha perduto l’ultimo resto di terreno sotto i piedi, allora il suo regno non è più veramente in mezzo a noi. Ma consoliamoci, anche questa battaglia è già quasi vinta. Tutto si gira e agita per isolarlo anche dentro la chiesa. Giacché anche qui, e qui soprattutto, Egli potrebbe avere rapporti umani con gli umani. Qui ha inventato il miracolo della sua eucaristia: Lui è in te e tu sei in Lui. Una festa di nozze tra Lui e te senza fine, confrontata con essa anche l’unità tra uomo e donna è solo un breve povero saggio. In questa veste di pane e vino Egli vuole abitare corporalmente in mezzo a noi, e partecipare alle gioie e ai dolori degli uomini. Ma ricordateGli la distanza del rispetto! Il significato simbolico dell’eucaristia. InsegnateGli un po’a pensare escatologicamente! Alla fin fine noi siamo nel tempo, Lui nell’eternità. Così Egli capisce quello che intendete, buttatelo fuori insieme col suo tabernacolo! Noi vogliamo pensare in modo più spirituale e più elevato di Lui! Sia spirituale la sua presenza, spirituale il suo regno. E questo strascico umano, troppo umano, queste statue, confessionali, inginocchiatoi, stazioni della Via Crucis, quadri e turiboli e incensi: via, fuori con questo scandalo della vicinanza! Atmosfera chiara tra Dio e te! Via con questi mezzi ambigui, con questo rapporto medianico mezzo umano e mezzo divino, con questo crepuscolo dei sensi! Non è risorto e non siede alla destra del Padre? E non verrà presto a giudicare i vivi e i morti? Lasciateci praticare la sobrietà, e quando andiamo alla cena, non dimentichiamo il libro dei canti e il cappello a cilindro.

Lo puoi nascondere anche dietro l’iconostasi. Là dietro, invisibile al popolo profano, ondeggiano i popi e si sente solo un poco il cantare e lo scampanellare venir da lontano. Il mistero è tre volte santo, un riflesso e rappresentazione della liturgia celeste, e ogni immediato contatto con esso sarebbe profanazione. Al popolo bastano i santi appesi alla parete, che vi pendono grandi, immateriali, inimitabili, con volute ieratiche, ed alzano mani serie che tengono lontani. Questi voi potete pregare, invocare la loro mediazione. L’alta luce del Tabor, dall’alto della quale troneggia il Signore, vi abbaglierebbe. Solo alcuni pochi, dopo che per anni e decenni si sono purificati sul Monte Athos, vengono reputati degni di accostarsi a Lui nell’estasi. È vero, vale la pena andare in sollucchero per la bellezza delle icone, perché con il mondo spirituale che manifestano ci hanno liberati dalla impellenza del suo amore!

E tu, cattolico, lo hai chiamato il prigioniero del tabernacolo. Là tu lo tieni fermo sotto custodia, nel ripostiglio oscuro e dorato. La chiave per aprirlo è da qualche parte nell’armadio della sacrestia. Là Egli sta ora, e dev’essere contento se durante il giorno qualche vecchia viene e dice il rosario davanti a lui. «Ce l’hai il concetto di che significa deserto e solitudine?» La gente fuori corre dietro agli affari, con mappe sotto il braccio e cartelle di libri, striscia frettolosa davanti alla chiesa, che come un muro morto interrompe la fila delle vetrine variopinte. A Lui non pensa nessuno. Perché adesso nessuno ne ha bisogno. Le macchine da scrivere frusciano, i camini fumano, gli scolari risolvono i compiti di matematica, la massaia fa il bucato: tutto questo va per la sua strada, un circolo chiuso e senza intoppi, dove Lui non perde nulla, dato che non è previsto che ci sia. Da qualche parte per qualche messa tarda tintinna un campanello per la consacrazione: per chi? Poi il sacrestano porta via, copre l’altare e un silenzio mortale regna intorno al morto.

Il tabernacolo ha dei vantaggi. Si sa dove si trova. E di conseguenza si sa anche dove non si trova. (Ci si libera così presto dell’onniveggente occhio di Dio). Silenzioso nel suo angolino Lui tesse l’opera della redenzione. E una volta all’anno, o anche dodici volte, Gli si fa il piacere di lascarGli compiere l’opera del suo amore. Qualcuno «pratica». (Un premio per l’inventore di questo vocabolo!) O meglio Gli si lascia che Egli pratichi qualcosa a noi.

Più volte si è tentato di toglierlo dalla sua custodia. Una volta Egli fece sapere che Gli sarebbe piaciuta una festa in onore dell’eucaristia. Così l’abbiamo estratto e condotto, una volta ogni anno, per le strade e per i campi. Gli spettatori stavano alle due parti facendo ressa e levavano in silenzio il cappello. Un’altra volta Egli fece vedere il suo Cuore, cinto di spine, e una fiammata, che non poteva più trattenere, esce alta di lì. Un’altra festa. Gli si consacrano le case, ogni tanto splende su qualche colorita oleografia. Tutto ciò risulta offensivo per il buon gusto. Non lo si dice, ma quantomeno le persone colte sono al riguardo d’accordo: la cosa ha una notevole dose di kitsch. Sarebbe molto meglio se si lasciasse tutto ciò nell’ombra, là almeno non verrebbe profanato, anche se magari dimenticato. Non appena esce fuori alla ribalta, vi si depone come una farina, un velo di semplicità dolciastra. Ricci impomatati ondeggiano scendendo sulle spalle e fa male solo a guardare.

No, molto meglio se Lui rinuncia in avvenire a simili tentativi di esibizione. Si accontenti del suo destino di Salvatore. Siamo ovviamente lieti per questa professione che ha scelto. Abbia solo riguardo di mettere la sua officina fuori delle porte della città.

Egli sta agli angoli delle strade ed offre il suo cuore. Giacché sta scritto a riguardo della Sapienza che è uscita nelle piazze e ha offerto se stessa come un grande convito, ma invano. Tutti si defilano. Non se ne ha bisogno. Ha sbagliato a fare i conti.

Quando le cose diventano serie, l’uomo, che non riesce a trovare parole abbastanza solenni per il proprio bisogno di amore, declina elegantemente l’offerta dell’amore. Si svincola dalle sue braccia. Una voce intima lo ammonisce: non concederti. Il pericolo è troppo grande. DiGli che ti fa male. Che hai comperato un campo, che hai affittato un paio di buoi, che hai preso moglie; il che per ora ti basta. Ti dispiace proprio. Gli uccelli hanno i loro nidi e le volpi la loro tana, ma il Figlio dell’uomo - ed è proprio questo sinceramente che ti dispiace - non ha niente, non un amico o un cuore umano, dove posare il capo.

[1] Richiamo, notissimo ai tedeschi, alla IX «Elegia di Duino» di R.M. Rilke. (ndt)

Hans Urs Von Balthasar

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