Volto di Cristo, volto di orante (8° puntata)

Negli articoli precedenti abbiamo fissato gli occhi sul volto di Gesù di Nazareth intensamente segnato da un incontenibile zelo per il gioioso annuncio del regno di Dio, suo Padre; ora contempleremo il suo volto di orante.

Volto di Cristo, volto di orante (8° puntata)

da Teologo Borèl

del 22 aprile 2005

  

Un fatto indiscutibilmente attestato dai vangeli

 

I vangeli presentano più di una volta Gesù in preghiera: o in un luogo appartato nelle prime ore del mattino, malgrado aver vissuto poche ore prima una giornata di intensa attività in mezzo alle folle (Mc 1,35); o lungo un’intera notte, prima di scegliere i suoi più intimi collaboratori (Lc 6,12); o ancora per lunghe ore, dolorosamente, nel cuore della notte, prima di affrontare la passione (Mt 26,39-44; Mc 14,35-39; Lc 22,41-44). C’è poi, nel vangelo di Giovanni, quella che viene conosciuta come la sua “preghiera sacerdotale” (Gv 17), certamente molto elaborata teologicamente dall’evangelista, ma che permette di intravedere un dato storico di grande probabilità.

In passato una certa maniera di vedere le cose interpretava questo dato evangelico come un “buon esempio” di Gesù, come un modo cioè di stimolare i suoi seguaci a frequentare la preghiera, magari appoggiando con i fatti la sua esortazione a “pregare sempre, senza mai stancarsi” (Lc 18,1), a “chiedere… cercare… bussare” (Mt 7,7; Lc 11,9; cf Gv 16,24). In realtà, si pensava, egli, poiché era il Figlio di Dio, non aveva bisogno di pregare. Tutt’al più poteva essere colui a cui, come a Dio, si doveva rivolgere la preghiera.

In fondo, si trattava di un’interpretazione in certo senso “monofisita” del dato menzionato, dal momento che non prendeva sufficientemente sul serio l’umanità di Gesù e la pensava come assorbita dalla sua divinità. Oggi, invece, superato quel modo di pensare, lo si prende molto sul serio nel suo realismo: Gesù, da vero uomo che era, sentiva il bisogno di pregare Dio, suo Padre, e lo faceva spesso e intensamente. Era da questa sua intima convinzione che scaturiva anche l’invito rivolto ai discepoli di fare altrettanto. 

 

 

 

 

Come pregava Ges√π

 

Si può supporre con fondamento, basandosi sul modo di comportarsi di Gesù attestato dai vangeli, che egli abbia pregato come pregava ogni pio ebreo del suo tempo. C’erano anzitutto le preghiere personali che scandivano i diversi momenti della giornata, e c’erano anche le preghiere comunitarie fatte in famiglia, nella sinagoga e, durante le grandi feste, nel tempio di Gerusalemme. Possiamo pensare che normalmente egli seguisse le usanze del suo popolo, anche se poi si ritagliava dei momenti più personali per i suoi colloqui intimi con Dio, dei quali si è detto sopra.

Tanto la sua preghiera comunitaria quanto, e con maggior ragione, quella personale, devono essere state fortemente segnate dalla sua convinta e personale partecipazione, la quale doveva dare ad esse una tonalità molto peculiare.

Il suo era, infatti, in primo luogo, un pregare da figlio. La sua profonda e singolare coscienza filiale doveva certamente riflettersi sulla sua preghiera. Ne sono un indice la formula-guida da lui proposta ai suoi discepoli, che inizia precisamente con l’invocazione di Dio come “Padre”, secondo la versione di Luca (Lc 11,2), o come “Padre nostro”, secondo quella di Matteo (Mt 6,9), ma soprattutto la sua stessa preghiera personale nell’Orto degli Ulivi, durante la quale, stando al vangelo di Marco, egli adoperò l’appellativo “Abbà” (Mc 14,36).

Cosa sia stato poi in concreto questo suo dialogare filialmente con il Padre lo possiamo solo immaginare a partire dalla nostra esperienza umana; ma non possiamo certamente coglierne tutta la profondità e ricchezza dal momento che non siamo in grado di vivere la sua stessa relazione filiale, unica e irrepetibile. Una cosa sembra indiscutibile: la singolarità del suo modo di pregare colpiva profondamente i suoi discepoli, stando all’informazione che viene data da Lc 11,1.

Ma, in secondo luogo, il suo era un pregare da pastore. Il Padre con cui si rapportava nella preghiera, soprattutto in quella personale, non era un Dio egocentrico, preoccupato di Se stesso e della sua gloria; viceversa, era un Dio “eccentrico”, la cui suprema preoccupazione era il bene e la felicità dei suoi figli. Un Dio-amore, in breve (1Gv 4,8.16). Proprio come il buon Pastore delineato nel discorso giovanneo in contrapposizione al mercenario che cerca solo se stesso: “Il mercenario, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore […]. Il buon pastore [invece] offre la vita per le pecore” (Gv 10,11-12). E di questo Dio-pastore Gesù ha come il sigillo nel suo cuore.

Si può quindi supporre che con il suo Padre egli abbia parlato soprattutto di ciò che stava portando avanti con tanta passione tra la gente del suo popolo. Pregava, cioè, la sua missione.

 

I tipi di preghiera che faceva

 

Rivisitando i vangeli, si possono rintracciare diversi tipi di preghiera praticati da Ges√π.

Anzitutto, quella di ringraziamento e di benedizione. Un genere di preghiera molto presente nelle pagine dell’Antico Testamento (la si chiamava berakah, da berek-benedire), che rivela l’alto grado di maturità raggiunto dal popolo d’Israele nel suo rapporto con Dio. Una parola, spesso presente in questo tipo di preghiera, concentra in sé tale maturità: “Alleluia”. È composta dall’imperativo del verbo hallel (in ebraico significa “lodare”), e la finale “ia”, che è una contrazione del nome divino JHWH. Significa, quindi, “lodate JHWH”. Essa sgorga dal cuore traboccante di gioia e di riconoscimento del popolo che sempre si trova in presenza delle grandi prodezze operate da Dio in suo favore.

Sono emblematici, al riguardo, i salmi “del Hallel” (Sal 113-118), che venivano recitati alla fine della cena pasquale, e che prendono lo spunto per la lode e il ringraziamento dalla rivisitazione dei grandi doni fatti da JHWH nella creazione e nella storia della salvezza. Tra essi spicca il salmo più breve di tutta la Bibbia, composto da solo due versetti, che tuttavia nella loro brevità e concisione compendiano la totalità di motivi di lode che il popolo aveva: “Alleluia. Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria; perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura in eterno” (Sal 116).

In realtà, la benedizione rivolta a Dio è nient’altro che la risposta alla sua precedente benedizione: perché Dio ha manifestato la sua benevolenza verso il popolo, ha cioè “detto bene” in suo favore, il popolo a sua volta “dice bene” di Lui. È un modo di riconoscere la sua bontà e la sua disposizione favorevole verso coloro che si è scelti come “proprietà peculiare”.

Che Gesù si sia unito alla tradizionale preghiera di benedizione del suo popolo è attestato dal racconto sinottico della cena, nel quale viene detto che egli prima di spartire il pane e di consegnare il calice ai discepoli “pronunciò la benedizione” e “rese grazie” (Mt 26,26-27; Mc 14,22-23; Lc 22,17.19), e da quello dei momenti che seguirono l’ultima cena: “E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi” (Mt 26,30; Mc 14,26). L’“inno” a cui il testo fa riferimento era, precisamente, l’“Hallel”, che veniva cantato abitualmente dopo la cena pasquale.

Ma oltre a questa testimonianza, ve ne sono altre due che alludono a momenti più personali di preghiera di Gesù. La prima è quella di Lc 10,21: “In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: ‘Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto’”. Nel bel mezzo della sua incontenibile attività, quando i settantadue discepoli inviati ritornano da lui raccontandogli ciò che era stato da loro fatto tra la gente, egli eleva questa preghiera di lode e di benedizione al Padre, motivata in ciò che sta avvenendo: i piccoli, cioè la gente semplice e umile del popolo, sta accogliendo la sua proposta e si apre con slancio all’annuncio del regno che viene. Il testo lucano ci tiene a sottolineare che tale preghiera sgorga da uno stato d’animo di esultazione nello Spirito Santo. È l’atmosfera propria nella quale trova spazio tale preghiera.

Una seconda testimonianza si ritrova nella narrazione della risurrezione di Lazzaro. Prima di strappare il suo amico dal sepolcro e di restituirlo alla vita e all’affetto delle sue sorelle, e suo personale, egli eleva una accorata preghiera al Padre in questi termini: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato” (Gv 11,41-42). È probabile che questo testo, certamente molto elaborato teologicamente, rifletta la convinzione dei discepoli circa la coscienza che Gesù aveva di essere in rapporto filiale con Dio e di ottenere da lui tutto ciò che gli chiedeva.

Ma, oltre alla preghiera di lode e di ringraziamento, Gesù fa anche delle preghiere di supplica, quelle che più spesso si ritrovano sulle labbra degli oranti della Bibbia nell’Antico Testamento, e di quelli di ogni religione anche oggi. Egli la pratica e invita i suoi discepoli a praticarla con estrema fiducia nell’amore sollecito del Padre celeste (Mt 7,7-11; Lc 11,9-13; Gv 16,24).

Se oltre a insegnarla ai suoi discepoli (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4) egli, cosa molto probabile, la recitava per primo, seguendo una traccia già aperta dalla preghiera ebraica detta “il Qaddish”, la preghiera del “Padre nostro” era, nel suo cuore e sulle sue labbra, una grande preghiera di supplica: “santifica il tuo nome, che venga il tuo regno, che si attui il tuo volere… dacci il pane e il condono dei nostri debiti… non ci lasciare in preda al male”.

Il quarto vangelo, per parte sua, riporta la preghiera da lui fatta in occasione della richiesta avanzata dai greci di vederlo (Gv 12,21.27-28), e quella sgorgata dal suo cuore durante l’ultima cena (Gv 17,1-26). In tutte e due, egli chiede – tema caratteristico del vangelo giovanneo – una glorificazione: nella prima, del nome del Padre (Gv 12, 28); nella seconda, di se stesso come Figlio (Gv 17,1). In fondo, ciò che egli chiede è l’attuazione piena del grande progetto di Dio, un’attuazione che avrà come risultato la gloria di Dio e la felicità piena dell’uomo.

Non si trovano nei vangeli testimonianze di un altro tipo di preghiera fatta da Gesù, molto presente negli scritti veterotestamentari, quella di richiesta di perdono per i peccati commessi (per esempio Sal 50, conosciuto come “Miserere”). Probabilmente riflette una certezza profondamente radicata nella fede dei primi discepoli: egli non commise mai personalmente nessun peccato (Gv 8,46; Eb 4,14; 1Pe 2,22), e quindi non aveva bisogno di implorare perdono.

Ci sono invece testimonianze di un altro tipo di preghiera, che si riallaccia all’esperienza dei profeti d’Israele.

Questi, come è risaputo, oltre a distinguersi chiaramente dai re e dai sacerdoti, si differenziavano anche tanto dai “saggi” quanto dagli “scribi”. E la differenza fondamentale consisteva precisamente nel fatto che, mentre questi ultimi avevano a che fare con insegnamenti e con spiegazioni legali, essi esercitavano invece il loro ruolo soprattutto nei confronti degli avvenimenti storici del popolo. Erano mossi dalla preoccupazione di mettersi all’ascolto dei grandi movimenti storici e dei mutamenti del loro tempo, e tutta la loro predicazione era contrassegnata da una straordinaria mobilità nel seguire i fenomeni storici, e da una grande flessibilità nell’adeguarvi costantemente i loro discorsi. Perciò il loro dialogo con JHWH nella preghiera consisteva spesso in un tentativo di discernimento di ciò che in tali avvenimenti storici era in linea con la sua volontà o si opponeva ad essa.

Questa preghiera di discernimento è stata praticata certamente anche da Gesù, la cui qualità profetica era riconosciuta anche dalle folle (Mt 21,11.45; Mc 6,15; Lc 7,16; 24,19; Gv 6,14; 7,40; 9,17). Possiamo supporre che l’abbia frequentato con assiduità, dal momento che si sentiva portatore del grande disegno di Dio, suo Padre, in favore degli uomini. Più di una volta, in quelle notti di preghiera che passava in dialogo con lui, deve aver cercato di discernere, negli avvenimenti che si andavano succedendo lungo la sua attività, il cammino dell’attuazione di quel disegno. Non è da escludere che parabole come quella del seminatore (Mt 13,3-9; Mc 4,3-8; Lc 8,5-8), o altre simili che riguardano l’avanzamento del regno annunziato, come quelle del seme che cresce anche se il seminatore non ci pensa (Mc 4,27-29), o della zizzania che cresce insieme al grano buono (Mt 13,24-30), o del granellino di senapa che crescendo diventa un grosso arbusto (Mt 13,31-32), ecc., siano un modo di esprimere il risultato di tale discernimento.

Si possono considerare due esempi emblematici di un tale tipo di preghiera: quella da lui fatta in occasione della scelta dei dodici apostoli (Lc 6,12), e soprattutto quella fatta nell’Orto degli Ulivi prima della passione (Mt 26,39.42; Mc 14,36.39; Lc 22,42-45).

Nella prima, raccontata dall’evangelista in maniera estremamente succinta, si può immaginare tra le righe il dialogo avuto da Gesù con il Padre suo lungo la notte sulle decisioni da prendere circa i suoi immediati collaboratori. Fu infatti dopo quella notte “passata in orazione” che, come dice il testo, “quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6,13). E aggiunge la lista dei loro nomi. Vi si può intravedere lo sforzo di discernimento da lui fatto per arrivare a tale scelta, tenendo presente il da fare in ordine all’annunzio del regno nelle persone da scegliere.

Nella seconda, raccontata con maggiore ricchezza di dettagli, indiscutibilmente segnati dalla peculiarità di ogni evangelista, si coglie il tentativo da lui fatto di discernere quale decisione prendere davanti alla morte colta ormai come imminente. Un tentativo travagliato e doloroso, sfociato nella risoluzione di portare fino in fondo la sua missione in ordine all’attuazione della volontà del Padre suo, anche a spese della propria vita.

In tale modo, seguendo la linea tracciata dai profeti veterotestamentari, Ges√π si presenta come un modello straordinario di preghiera di discernimento per tutti i tempi.

 

 

 

Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.

Luis A. Gallo

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