1.2. Educazione e iniziazione

La lingua dell'iniziazione pare produrre la semplice rimozione del rilievo che le forme della relazione tra genitori e figli assumono per rapporto alla fede dei figli, mentre un tale rilievo appare indubitabile e assolutamente determinante.

1.2. Educazione e iniziazione

da L'autore

del 05 dicembre 2011

1.2. Educazione e iniziazione

          Del preciso processo, attraverso il quale il figlio viene alla fede, e dunque per un lato accede alla conoscenza del vangelo cristiano e per altro lato consente liberamente ad esso, la lingua ecclesiastica recente parla usando in misura assolutamente prevalente il lessico della “iniziazione”, non invece quello dell’educazione. Nei confronti di questo lessico ritengo si possano o addirittura si debbano esprimere riserve radicali; in ogni caso, tale lessico postula la necessità di un raccordo della cosiddetta iniziazione con il processo dell’educazione, e più precisamente con il processo di un’educazione finalmente pensata diversamente da come oggi per la si pensa; non cioè pensata in termini puerocentrici, ma nell’ottica del nesso qualificante che lega l’educazione stessa alla testimonianza complessiva dei genitori, rispettivamente della generazione adulta tutta.

          Anche a monte di una tale precisazione dei rapporti tra iniziazione ed educazione, occorre riconoscere come la terminologia dell’iniziazione non sia affatto così univoca nel suo senso come invece la lingua ecclesiastica corrente pare insinuare; ma soprattutto non è così scontata quanto alla sua pertinenza. Per essere appena un poco più espliciti, la dubbia pertinenza di quella terminologia risulta da una considerazione elementare: la lingua dell’iniziazione pare produrre la semplice rimozione del rilievo che le forme della relazione tra genitori e figli assumono per rapporto alla fede dei figli, mentre un tale rilievo appare indubitabile e assolutamente determinante; quel lessico minaccia in tal senso di pregiudicare la comprensione effettiva del processo mediante il quale i figli vengono alla fede.

      Che il termine iniziazione sia davvero quello univocamente raccomandato per il processo del venire alla fede dalla lingua cristiana dei primi secoli, non mi pare per nulla scontato, dal punto di vista storico; non sussiste documentazione che consenta di affermare che quel termine fosse di uso comune e avesse un significato per così dire tecnico, per designare il processo attraverso il quale il singolo viene alla fede ed entra nella Chiesa. Liturgisti e catecheti usano invece oggi la categoria di iniziazione quasi fosse la lingua obbligata per dire dell’accesso alla fede; tale supposizione merita una verifica puntuale.

          In ogni caso, anche supposto che la terminologia effettivamente usata dalla Chiesa dei primi secoli fosse quella dell’iniziazione, appare necessario distinguere tra significato antropologico della categoria e significato specifico che essa assume invece per preciso riferimento alla fede. La ricerca etnologica ed antropologica contemporanea ha diffusamente introdotto la categoria di iniziazione per dire in genere dei processi rituali mediante i quali nelle culture “primitive” si realizza il passaggio dei minori all’età adulta. Questo significato d’iniziazione è diverso, e in ogni caso non coincide immediatamente, con quello che il termine aveva invece nelle cosiddette religioni misteriche, nei cui confronti la lingua ecclesiastica sarebbe in ipotesi debitrice. L’uso della categoria nella lingua ecclesiastica postula quanto meno un chiarimento di questa distinzione.

        Ancor meno scontata è la tesi che il catecumenato antico possa costituire un pertinente paradigma di riferimento per comprendere prima, per disciplinare poi il processo della venuta alla fede di un figlio nato da genitori cristiani, e soprattutto di un figlio nato nella moderna famiglia affettiva, che vive in contesto secolare.

          In tal senso mi pare compito urgente della riflessione pastorale staccare la questione della (cosiddetta) “iniziazione” cristiana dei figli dal riferimento esclusivo e presuntivamente univoco al modello raccomandato dal catecumenato del IV o del V secolo. Proprio questa infatti è la direzione nella quale si muove con sorprendente concordia la riflessione dei liturgisti e dei catecheti della stagione recente. La questione dell’educazione cristiana dei figli, o se si vuole – per usare un gergo di fatto spesso usato – della “trasmissione” della fede alle nuove generazioni, esige d’essere istruita a procedere da un’attenzione decisamente più intrinseca al momento antropologico della relazione genitori/figli, et quidem alla configurazione di quel momento nella presente congiuntura storico civile.

Giuseppe Angelini

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