Negli spettacoli che allestivamo, ero sempre pronto a cantare, suonare, improvvisare poesie. Queste mie composizioni erano giudicate capolavori. Erano invece soltanto brani di poeti celebri, adattati alle varie circostanze...
del 08 gennaio 2007«Bruciavo i miei 'capolavori'»
I miei giorni si srotolavano tra studi e vita con gli amici. Ci divertivamo con il teatro, il canto, la musica strumentale. Avevo una memoria felice. Sapevo a memoria vasti brani di prosatori e poeti classici. Dante, Petrarca, Tasso, Parini, Monti e altri poeti li conoscevo così bene che li maneggiavo e adattavo come roba mia. Era così molto facile per me improvvisare versi su qualunque argomento.
Negli spettacoli che allestivamo, ero sempre pronto a cantare, suonare, improvvisare poesie. Queste mie composizioni erano giudicate capolavori. Erano invece soltanto brani di poeti celebri, adattati alle varie circostanze.
Per questo non ho mai prestato le « mie poesie » ad altri. Se per caso le scrivevo, bruciavo subito tutto.
 
Tornano i giochi di prestigioIn quel tempo ho imparato giochi nuovi: carte, tarocchi, bocce, piastrelle, salti e corse anche sui trampoli. Non in tutto ero giocatore celebre, ma sapevo cavarmela bene.
Alcuni giochi, come ho già raccontato, li avevo imparati sui prati di Morialdo. Ma se là ero un principiante, qui divenni un maestro. Erano giochi poco conosciuti, e perciò sembravano cose dell'altro mondo.
Con i giochi di prestigio davo spettacolo in pubblico e in privato. E qui la meraviglia si sprecava. Veder uscire da una scatola minuscola decine e decine di pallottole pi√π grosse della scatola, veder spuntare da un sacchetto microscopico decine e decine di uova, faceva trattenere il fiato per lo stupore.
Altri giochi impressionavano ancora di pi√π. Raccoglievo palloni sulla punta del naso degli spettatori, indovinavo il denaro che qualcuno aveva nel portafoglio. Col semplice contatto delle dita riducevo in polvere monete di metallo. Invitavo alcuni a guardare gli spettatori, e invece di persone vedevano orribili animali, o vedevano persone senza testa.
Questi ultimi giochi scossero i nervi a qualcuno, che cominciò a sospettare che fossi un mago, che agissi con la forza del diavolo.
 
Il galletto vivo di Tommaso CuminoUna di queste persone impressionabili era il mio nuovo padrone di casa, Tommaso Cumino. Cristiano fervoroso, ma anche molto ingenuo, amava scherzare. E io ne approfittavo per fargliene di tutti i colori.
Nel giorno del suo onomastico, aveva preparato un pollo in gelatina per i suoi pensionati. Lo portò in tavola in un tegame. Scoperchiato il tegame, saltò fuori un galletto vivo, che tutto spaventato si mise a cantare e a svolazzare.
Un'altra volta preparò una pentola di spaghetti, e quando fu il momento di  scolarli, nel colabrodo si rovesciò una massa di crusca asciuttissima.
Molte volte riempiva la bottiglia di vino, e mescendo nei bicchieri trovava acqua schietta. Quando poi voleva acqua, si trovava il bicchiere pieno di vino. Altri scherzi abbastanza frequenti erano la frutta cambiata in fette di pane, le monete del borsellino trasformate in pezzi di latta arrugginita, il cappello trasformato in cuffia da notte, noci e nocciole sostituite da ghiaia di strada.
Ad un certo punto, il povero signor Tommaso si spaventò. Pensava:
- Gli uomini non possono far queste cose. Dio non perde tempo in simili sciocchezze. Quindi a fare tutto questo è il diavolo.
Non osando parlare con nessuno della cosa, si confidò con un prete che abitava vicino, don Bertinetti. Questo sacerdote credette di vedere in quei fatti la « magia bianca ». Riferì ogni cosa al delegato delle scuole, canonico Burzio, arciprete del Duomo.
Don Burzio era una persona molto istruita e prudente. Senza dir niente a nessuno, mi invitò per un colloquio.
« O tu servi il diavolo, o il diavolo serve te »Giunsi nel suo ufficio mentre recitava il Breviario. Mi guardò con un sorriso e mi fece cenno di attendere un minuto. Alla fine mi invitò a seguirlo in un secondo ufficio. Con parole cortesi ma con volto severo cominciò l'interrogatorio.
- Mio caro, sono molto contento dei tuoi studi e della tua condotta. Ma ora mi hanno raccontato certe cose di te... Mi dicono che conosci i pensieri degli altri, conti il denaro che ognuno tiene in tasca, fai vedere bianco ciò che è nero, conosci le cose lontane... Ci sono molti che parlano di te. Qualcuno sospetta che tu conosca la magia, che sia in contatto con il diavolo. Devi rispondermi sinceramente: chi ti ha insegnato queste cose? dove le hai imparate? Ciò che mi dirai, rimarrà un segreto tra me e te. Ti do la mia parola che me ne servirò soltanto per farti del bene.
Senza scompormi, chiesi cinque minuti per rispondere, e lo pregai di dirmi l'ora esatta. Mise la mano nel taschino, e non trovò più l'orologio.
- Se non ha l'orologio - gli dissi - mi dia almeno una moneta da cinque soldi.
Si frugò in tasca, e non trovò più il borsellino. Allora perse la calma e alzò la voce:
- Mascalzone! O tu servi il diavolo, o il diavolo serve te. Mi hai già rubato l'orologio e il borsellino. Sono obbligato a denunciarti, e potrei anche prenderti a bastonate.
Vedendomi però calmo e sorridente, cercò di ricomporsi, e continuò con voce più controllata.
- Prendiamo le cose con calma. Spiegami questo mistero. Com'è possibile che l'orologio e il borsellino siano usciti dalle mie tasche senza che io me ne sia accorto? E dove sono andati?
Risposi rispettosamente:
- Signor arciprete, le spiego tutto in due parole. È tutta questione di velocità di mani, di trucchi preparati con abilità. - Cosa c'entrano i trucchi col mio orologio e la mia borsa? - Le spiego. Quando sono giunto nella sua casa, lei stava dando l'elemosina a un povero. Subito dopo mise il borsellino sopra l'inginocchiatoio. Quando poi ci siamo spostati dal primo al secondo ufficio, ha lasciato l'orologio sul tavolino. Con alcuni gesti ben calcolati ho nascosto l'uno e l'altro sotto questo paralume.
Così dicendo, alzai il paralume, e apparvero i due oggetti che il canonico aveva creduto rubati dal diavolo. Il brav'uomo scoppiò a ridere, e rise per un bel pezzo. Volle che gli facessi vedere qualche altro trucco, con cui facevo sparire e riapparire le cose. Alla fine era tutto allegro, mi fece un piccolo regalo, e concluse:
- Di' ai tuoi amici che la meraviglia è figlia dell'ignoranza.
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