Nella cappella-tettoia i ragazzi svenivano
I disagi morali che ci davano casa Pinardi e la Giardiniera erano finiti. Ora bisognava pensare a una chiesa più decorosa per le celebrazioni liturgiche e più adatta alla quantità sempre crescente di giovani.
La cappella-tettoia era stata ingrandita un poco, ma era sempre troppo piccola e troppo bassa. Chi vi entrava doveva scendere due gradini, e così, quando fuori pioveva, l'acqua vi entrava e ci allagava. D'estate eravamo invece soffocati dal caldo e dall'odore sgradevole. In ogni festa c'era qualche ragazzo che sveniva. Dovevamo portarlo fuori a braccia, come un asfissiato.
Era quindi necessario costruire un edificio arioso, salubre e proporzionato al numero dei giovani. Il disegno fu fatto dal cavalier Blachier. Comprendeva l'attuale chiesa di S. Francesco di Sales e il rifacimento completo della casa Pinardi. Impresario era il signor Federico Bocca. Furono scavate le fondamenta. La prima pietra fu benedetta il 20 luglio 1851 dal canonico Moreno, economo generale della diocesi, e collocata dal cavalier Giuseppe Cotta. Il celebre padre Barrera, commosso dalla vista di un gran numero di gente venuta per quella circostanza, montò su un rialzo del terreno e improvvisò uno stu-pendo discorso.
Una pietra come un granello
Le sue prime parole furono: « Signori. La pietra che abbiamo benedetta e collocata a fondamento di questa chiesa, ha due grandi significati. Significa il granello di senapa che crescerà in albero, presso cui verranno molti ragazzi a rifugiarsi. Significa che questa opera si fonda sopra una pietra angolare che è Gesù Cristo. I nemici della fede cercheranno di abbatterla, ma i loro sforzi saranno vani ».
Poi padre Barrera svolse queste due affermazioni tra l'attenzione rispettosa degli ascoltatori, che sentivano in lui un predicatore ispirato.
Quella festa allegra e rumorosa attirò giovani da tutte le parti. Molti venivano ormai all'Oratorio a ogni ora del giorno, altri mi pregavano di dare loro ospitalità come interni. Il loro numero, in quell'anno, superò i cinquanta. Si cominciò qualche laboratorio in casa, perché l'uscita dei ragazzi a lavorare in città si dimostrava sempre più pericolosa.
La costruzione della chiesa era ormai a livello del terreno quando mi accorsi che non avevo più soldi. Con la vendita di case e terreni avevo messo insieme 35 mila lire, ma esse erano sparite come neve al sole. L'Economato (della città) ci assegnò un aiuto di 9 mila lire, ma ce le avrebbe versate quando l'opera fosse quasi terminata. Il Vescovo di Biella, poiché nell'Oratorio erano ospitati e aiutati molti giovani lavoratori biellesi, diramò una circolare ai suoi parroci, invitandoli a raccogliere offerte. Ecco le sue parole.
La lettera del Vescovo di Biella
«Molto Reverendo Signore,
l'egregio e pio sacerdote don Bosco, animato da una carità veramente angelica, cominciò a raccogliere nei giorni festivi i giovani che incontrava, abbandonati e dispersi per le piazze e le strade, nella zona grande e popolosa che si estende tra Borgo Dora e il Martinetto. Li ha raccolti in un luogo adatto ai ragazzi, per farli divertire e per educarli cristianamente. Ne ha raccolti così tanti che la cappellina di cui dispone è diventata troppo piccola. Non contiene nemmeno un terzo dei seicento e più ragazzi che vi accorrono. Spinto dall'amore, don Bosco ha iniziato la difficile impresa di costruire una chiesa corrispondente al bisogno dei ragazzi. Si è rivolto alla carità dei Cattolici per poter sostenere le spese' gravi che la costruzione esige.
Con particolare fiducia egli si rivolge per mio mezzo alla nostra Diocesi e provincia, poiché tra i seicento e più che si riuniscono attorno a lui e frequentano il suo Oratorio, più di un terzo (oltre duecento) sono giovani biellesi. Parecchi di essi sono anche ospitati in casa sua, e sono forniti gratuitamente di vitto e vestito, per poter imparare una professione. Egli chiede quindi a noi un aiuto non solo per carità, ma anche per giustizia.
La prego quindi di informare i suoi buoni parrocchiani su questa opera così interessante, di insistere presso le persone più benestanti, e di destinare la questua di una domenica a questo fine. Il ricavato della questua verrà mandato in Curia con un mezzo sicuro e con un biglietto che indichi la somma e il luogo da cui proviene. Mentre i protestanti tentano di aprire un tempio per insegnare l'errore che porterà alla perdizione i loro fratelli, i cattolici non saranno capaci di contribuire alla costruzione di una chiesa in cui sarà insegnata la verità e la via della salvezza a loro, ai loro fratelli, ai loro compatrioti? Ho la viva speranza di poter sostenere degnamente l'opera dell'uomo di Dio con le offerte che ci perverranno. Spero pure di toccare con mano un segno della buona volontà illuminata e riconoscente dei miei diocesani verso un'opera che è santa, utile, anzi necessaria ai tempi in cui viviamo. Colgo questa opportunità per riaffermarvi la mia stima e il mio affetto.
Biella 13 settembre 1851. Dev.mo Giovanni Pietro vescovo ».
La prima lotteria
La questua fruttò mille lire. Ma furono gocce d'acqua su un terreno riarso. Quindi mi misi a pensare a una lotteria pubblica. Riuscimmo a raccogliere 3300 doni. Il Papa, il Re, la Regina Madre, la Regina Consorte e tutta la Corte Sovrana si segnalarono mandando doni.
Lo spaccio dei biglietti (ciascuno costava mezza lira) fu portato a termine. Quando si fece la pubblica estrazione al Palazzo di Città, molti cercavano ancora di comprare biglietti, disposti a pagarli dieci volte il loro prezzo.
(A questo punto, don Bosco suggerisce all'eventuale trascrittore delle sue memorie. « Si può mettere il Programma e il Regolamento di questa Lotteria». Ma mi sembrano documenti aridi e burocratici, senza particolare interesse).
Molti vincitori lasciarono il loro premio a vantaggio della chiesa. Questo ci procurò un ulteriore aiuto. Le spese furono ingenti, ma la somma netta ricavata fu di lire 26 mila.
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