I risultati raggiunti riflettendo sul nucleo centrale cristiano ci permettono ora di prendere posizione anche positivamente nei confronti di ciò che precedentemente era stato criticato come la quadruplice tendenza.
del 01 gennaio 2002
I risultati raggiunti riflettendo sul nucleo centrale cristiano ci permettono ora di prendere posizione anche positivamente nei confronti di ciò che precedentemente era stato criticato come la quadruplice tendenza. Essa ci appariva pericolosa in quanto distoglieva lo sguardo dal centro cristiano – nel presupposto che fosse sufficientemente noto – e si dava molto da fare alla periferia, spesso in un modo che dimostrava come si preferiva dimenticare il centro e sostituirlo con qualcosa di periferico.
Ma la parola di Dio ci blocca inesorabilmente e nel suo enunciato è così chiara da poter sempre opporsi alle torbide amalgame in cui la si mescola. È impossibile far dire alla Scrittura che il cristiano è primariamente a servizio dell’evoluzione del mondo e per ciò stesso a servizio di Cristo (cioè del Cristo nella sua venuta escatologica nel giorno omega). Si possono premere i testi quanto si vuole: non ne esce la più piccola goccia di evoluzione; così alla gente altro non rimane, a meno che non voglia accusare tutta la rivelazione di immaturità culturale,[1] che inserire la Scrittura come un elemento in una generale filosofia del cosmo. Dando a questa filosofia il nome di teologia (vedi sopra) e, per teologia, intendendo il lettore ingenuo una teologia cristiana, si verifica l’inganno: la teologia della Scrittura entra e scompare come ‘elemento’ in una filosofia del mondo (teologia naturale), per risorgere come estrema propaggine di questa filosofia e come un quod erat demonstrandum cristiano: e ciò necessariamente nella forma del Cristo cosmico-eucaristicoglorioso, ma con «uno scandalo della croce vanificato» (Col. 5,11). Ora tutto diviene naturalmente facile ed amabile; il cristiano, sinora così stupidamente recalcitrante, si adatta infine a collaborare, si applaude e si incoraggia il suo progressismo, lo si accoglie con onore nella cerchia di coloro che si danno seriamente pensiero del futuro del cosmo.
Proprio questa facilità dev’essere sospetta a chiunque ha riflettuto su ciò che Cristo prospetta ai suoi discepoli. E non meno la sintesi, che include in sé come elemento calcolabile la parola sovrana di Dio. Questa sintesi si compie necessariamente in modo che ci si serve della dottrina cristiana nella misura in cui la si può trasformare in un’ ‘etica positiva’, ma la si trascura nella misura in cui si oppone ad un simile uso.[2] Allora appunto l’uomo ha giudicato la parola di Dio ed ha completato con le proprie risorse quei punti indispensabili che essa non dice. Questo metodo rientra come un prodotto finale provvisorio nella storia fatale della gnosi cristiana, che trasforma continuamente la fede in scienza, la rivelazione in filosofia, la ricerca della verità in un possesso ed ha screditato più radicalmente di qualunque altra cosa il cristianesimo. Infatti l’ateismo moderno è in gran parte la reazione contro un simile sapere e troppo sapere cristiani, e le due cose assieme, intese cristianamente, sono già dimenticanza di Dio.[3] La gnosi cristiana corrompe sia la filosofia, sia la teologia; rende filosofia la rivelazione della Scrittura, portando in un sistema limitato la parola di Dio che giudica e salva; ma rende teologica la filosofia, paralizzando con ottimismi anticipati l’aperto rischio della storia del mondo e dell’umanità. Entrambi, il regno del mondo ed il regno di Dio, natura e grazia, conservano la loro dignità soltanto se conservano le loro leggi e la libertà d’azione che sono loro proprie: l’uomo non può realizzare la convergenza dei due campi (in un punto omega) finché Dio conserva la sua libertà di venire come un ladro nella notte e di conservare nella propria amministrazione la forza della croce.‚Ä®Perciò al cristiano è vietata anche quella forma di sintesi che abbiamo chiamato ‘integralismo’ e che non è altro se non l’applicazione pratica della gnosi or ora descritta: cioè il ricorso (dimentico di Dio) ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra. L’intenzione può essere genuina, ma è spuria l’identità ingenuamente presupposta tra regno di Dio e influsso politico-culturale della Chiesa, che poi in pratica viene identificato con l’influsso di potere di un gruppo di mammalucchi cristiani, che aspirano a conquistare il mondo.[4] Ma non siamo più nel medioevo, è passato il tempo delle ingenue identificazioni tra cielo e terra; alla lunga tutte le forme di una moderna ‘framassoneria’ cristiana si renderanno sospette ed odiose sia presso i cristiani che i non cristiani. Chi fa tali cose non ha esatta idea né della impotenza della croce (che nondimeno egli dovrebbe predicare), né della onnipotenza di Dio (in aiuto della quale egli vorrebbe correre con potenza mondana), né delle leggi proprie della potenza mondana (che senza sospetto egli applica in modo non critico). Noi cristiani siamo in una situazione molto più indifesa di quanto ci possa far piacere. Siamo radicalmente esposti: come cristiani dinanzi al mondo e, per opera di Cristo, nel mondo. Preferiremmo farci della Chiesa uno scudo contro il mondo e della nostra missione mondana uno scudo contro la parola e la pretesa di Cristo. Ma Cristo sconfessa la spada mondana dell’integralista Pietro, prende le parti degli aggressori e guarisce l’orecchio di Malco. Ed ancora in quella stessa notte il mondo sconfessa gli approcci collaborazionistici del medesimo Pietro e lo rimette al suo posto: «Anche tu sei davvero di quelli, perché il tuo modo di parlare ti tradisce» (Mt. 26,73).
Da entrambe le parti viene rigettata l’ansiosa ricerca di protezione; il cristiano è mandato allo scoperto, dove «deve restare saldo» con l’unico «scudo della fede» e l’elmo della salvezza» e «la spada dello spirito, che è la parola di Dio, con ogni sorta di preghiera e di supplica» come armi di difesa e di offesa. Si aggiunge ancora una «cintura della verità di Dio attorno ai lombi», una «corazza della giustizia presso Dio» ed i sandali ai piedi «per essere pronti ad annunziare l’evangelo della pace»: questa è tutta l’armatura (panoplia) del cristiano, mediante la quale egli è «fortificato nel Signore e con la sua forza possente» ed è armato in modo pienamente sufficiente contro «i principati, contro le potestà, contro i signori di questo mondo tenebroso» (Ef. 6,10-18). Oppure come dice il Signore a Paolo schiaffeggiato dall’angelo di Satana: «Ti basta la mia grazia, poiché la mia potenza si mostra appieno nella debolezza» (2Cor. 12,9).‚Ä®Ma ciò significa che il cristiano nella sua condizione di esposto, e soltanto in essa, ha l’assicurazione da Dio di ogni protezione celeste, sia per la difesa che per l’attacco. Se dalla sua apparente mancanza di protezione egli fugge al coperto, la protezione lo abbandona. Condizione di esposto può in tutti i casi significare: «Infermità, oltraggi, necessità, persecuzioni, angustie sopportate per Cristo» (2Cor. 12, 10); tutto ciò è compreso ed è addirittura un segno di riconoscimento per la situazione in cui non c’è più da temere. Siamo sensibili agli ammonimenti del discorso missionario di Mt. 10:
«Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate, dunque, prudenti... e candidi... Guardatevi poi dagli uomini, perché vi denunzieranno ai sinedri e vi flagelleranno... Non vi preoccupate del come e di ciò che dovrete dire; poiché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire..., lo Spirito del Padre parla in voi... Sarete odiati da tutti a causa del mio nome... Il discepolo si contenti di essere come il maestro... Non temeteli, dunque..., quel che udite all’orecchio predicatelo sui tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo... Non crediate che io sia venuto a mettere pace sulla terra,... sono venuto a mettere divisione: l’uomo contro suo padre, e la figlia contro sua madre... Chi non prende la sua croce e mi segue non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà».
Soltanto nella lotta tra Dio ed il mondo c’è la pace, soltanto se il cristiano è privato della sua forza, l’onnipotenza di Dio lo salva. Oppure, come abbiamo riconosciuto precedentemente: le ricchezze di Dio sono soltanto per i veramente ed attualmente poveri.
Ma una simile posizione intermedia si può sostenere? Si può vivere a lungo in essa? Non porta ad una scissione della coscienza, che dovrebbe unire in sé due personalità diverse? Non torna essa a danno sia dell’uno che dell’altro regno? E quindi il tentativo di fuga nell’uno o nell’altro campo non è l’unica cosa che si possa aspettare normalmente da colui che in tal modo è posto nella aporia (situazione senza via di uscita)?
[1] Un teologo non si vergognò di affermare che rientra nell’umiliazione di Cristo l’essersi fatto uomo così presto, in un’epoca evolutivamente così immatura. Quale Cristo ridicolamente savio avremmo dovuto aspettarci già oggi, un paio di giri più in alto nella spirale evolutiva dell’universo in espansione? Non è cosa da pensare!
[2] Cf, il mio articolo: ‘Die Spiritualität Teilhards de Chardin’. Bemerkungen zur deutschen Ausgabe von ‘Le Milieu Divin’ (‘La spiritualità di Teilhard de Chardin’. Note per l’edizione tedesca di ‘Le Milieu Divin’), in Wort und Wahrheit, 18 (1963), 339-350.‚Ä®
[3] Cf. il mio articolo: Die Gottvergessenheit und die Christen (La dimenticanza di Dio ed i cristiani), in Hochland, 57 (1964), 1-11.
[4] Cf. il mio articolo: ‘Integralismus’ (Integralismo), in Wort und Wahrheit, 18 (1963), 737-744.
Hans Urs Von Balthasar
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