Entro in ritiro la domenica di Passione e vi rimarrò fino alla pentecoste... Ho un bisogno estremo di solitudine...Sono felice, sempre più felice, nell'amore del nostro amatissimo Gesù...
del 04 ottobre 2005
Sesta Tappa
 
Restò nell’abbazia siriana quasi cinque anni, ma lo stesso ambiente non lo lasciava in pace: per quanto povera e disagiata fosse l’abbazia, le catapecchie degli operai arabi sulle pendici del monte erano ancora più miserabili, e ciò metteva in discussione quell’ultimo posto che egli aveva sete di occupare. La stessa comunità era una ricchezza e una protezione rispetto a chi non poteva contare su nessun aiuto.
Nelle lettere del tempo ricorre il ritornello: «Come desidero Nazareth!».
Nel 1897, poiché non ha ancora professato i voti solenni e definitivi, chiede di uscire dalla Trappa e si imbarca nuovamente per la Terra Santa.
Ma non si sente sciolto dalla regola, l’ha soltanto personificata all’estremo. Nella preghiera sente Gesù che gli dice: «La tua Regola: Seguirmi... Fare quello che io farei. Chiediti in ogni cosa: “Che cosa avrebbe fatto Nostro Signore?”, e fallo. E la tua sola regola, ma è una regola assoluta».
Sono passati sette anni e, poiché ha deciso di vivere solo, ma ai margini di una comunità, si offre come sacrestano e domestico al monastero delle clarisse di Nazareth: non vuole nessuna paga, solo un po’ di pane e acqua, e un po’ più di tempo per pregare. Per abitare non vuole nemmeno la casetta del giardiniere, ma il capanno per gli attrezzi in fondo all’orto, e il suo abito è quello dei mendicanti del luogo.
A volte le monache aggiungevano al suo pane fichi secchi e mandorle, ma s’accorsero che egli li raccoglieva in una scatola, per poi distribuirli ai bambini.
Passava lunghe ore in chiesa, assorto nell’adorazione eucaristica e leggeva e rileggeva un solo libro, da cui si lasciava spiritualmente guidare: le Opere di santa Teresa d’Avila. Le rileggerà «dieci volte nei primi dieci anni dalla conversione» Questa Maestra spirituale egli non l’abbandonerà mai e la consiglierà ai suoi amici in ogni circostanza.
Dirà: «Non si può mai leggere troppo santa Teresa o rileggerla troppo». Arriverà, anzi, a scrivere questa splendida espressione: «Santa Teresa è uno di quegli autori che diventano come il pane quotidiano». Poi si dedicherà a san Giovanni della Croce.
I tre anni di Nazareth sono anche quelli in cui si dedica particolarmente a scrivere nei suoi quaderni da scolaro: copia brani su brani dei due santi carmelitani, e prende l’abitudine di scrivere le sue meditazioni sul S. Vangelo.
Ciò che costantemente chiede a Dio è la grazia «di passare oscuro sulla terra, come un viaggiatore nella notte». Nel 1899, dopo un ritiro di due mesi, sceglie di chiamarsi «fratel Charles di Gesù», imitando santa Teresa d’Avila che aveva scelto di chiamarsi appunto «di Gesù».
 
 
Dai suoi scritti...
 
Entro in ritiro la domenica di Passione e vi rimarrò fino alla pentecoste… Ho un bisogno estremo di solitudine…
Sono felice, sempre più felice, nell’amore del nostro amatissimo Gesù… Sono sempre in ritiro, fino alla Pentecoste; ciò mi fa bene; ritorno alla mia vita di «operaio figlio di Maria», sotterrandomi, facendomi piccolo, pregando più che leggendo, rimettendomi con tutte le mie forze al caro «ultimo posto», nella condizione di Cenerentola, nella condizione del nostro amatissimo Gesù lavoratore, servo, povero e oscuro.
Il mio piccolo ritiro è finito… esso si conclude in una pace profonda, più grande, più dolce di quanto mai abbia provato… è come un’inondazione di pace… quanto è buono il buon Dio!… Sono più che mai deciso a restare qui nella vita di «operaio figlio di Maria», cercando di imitare la vita nascosta del nostro amato Gesù, in un umile lavoro, nell’oscurità, nella preghiera, nell’umiltà interiore ed esteriore, «nascosto in Dio con Gesù»…
 
Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di Dio; è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo… Gli ebrei passarono per il deserto; Mosè ci visse prima di ricevere la sua missione; san Paolo, uscito da Damasco, andò a passare tre anni in Arabia; anche il vostro patrono san Girolamo e san Giovanni Crisostomo si prepararono nel deserto… È indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente passare. Le sono necessari questo silenzio, questo raccoglimento, quest’oblìo di tutto il creato in mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa lo spirito interiore… La vita intima con Dio… La conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità… Più tardi, l’anima produrrà frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l’uomo interiore.Redazione GxG
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