« Se non hai un amico che ti corregga, paga un nemico »
Nella Società dell'Allegria c'erano giovani splendidi. Ricordo Guglielmo Garigliano di Poirino e Paolo Braje di Chieri. Essi partecipavano volentieri ai nostri giochi, ma prima di tutto eseguivano con impegno i doveri di scuola. Entrambi amavano i giochi rumorosi, ma amavano pure raccogliersi nel silenzio a parlare con Dio.
Nei giorni di festa, dopo le adunanze che si tenevano nella scuola, ci recavamo nella chiesa di sant'Antonio. I Gesuiti, che gestivano questa chiesa, ci facevano stupende lezioni di catechismo. Raccontavano fatti ed esempi che ricordo ancora oggi. Lungo la settimana, la Società dell'Allegria si radunava nella casa di uno dei soci per parlare di religione. Vi interveniva liberamente chi voleva. Garigliano e Braje erano tra i più assidui. Durante quelle riunioni alternavamo giochi allegri, conversazioni su argomenti cristiani, lettura di buoni libri, preghiere. Ci davamo a vicenda buoni consigli, ci aiutavamo a correggere i difetti personali. Senza saperlo, mettevamo in pratica quelle grandi parole di Pitagora: « Se non hai un amico che ti corregga, paga un nemico che ti renda questo servizio ».
Un professore che anche solo scherzando...
Non facevamo soltanto riunioni. Andavamo anche insieme ad ascoltare la parola di Dio, alla confessione e alla santa Comunione.
A quei tempi (è bene che lo ricordi) la religione era uno dei fondamenti dell'educazione. Un professore che anche solo scherzando avesse pronunciato una parolaccia o una mezza bestemmia, veniva immediatamente licenziato. Se questo capitava ai professori, è immaginabile la severità che si usava verso quegli alunni che si ribellavano alla disciplina o davano scandalo.
Al mattino dei giorni feriali, tutti ascoltavano la santa Messa. All'inizio e al termine della scuola, recitavamo una breve preghiera e l'Ave Maria.
Nei giorni di festa gli alunni si riunivano in una chiesa fissata dall'autorità scolastica. Ascoltavamo alcuni minuti di lettura spirituale e cantavamo l'ufficio della Madonna. Seguiva la Messa con l'omelia. Alla sera, altra riunione con studio del catechismo, recita del vespro e insegnamento religioso. Ognuno doveva accostarsi ai santi Sacramenti della confessione e della Comunione. Perché nessuno li trascurasse, ricevevamo una volta al mese un biglietto che documentava la nostra confessione. Chi non aveva compiuto questo dovere, non era ammesso agli esami finali, anche se era un ragazzo di buona intelligenza.
Questa disciplina severa produceva buoni effetti. Un ragazzo trascorreva anni interi senza udire una bestemmia o un discorso cattivo. Gli alunni erano docili e rispettosi, a scuola e in famiglia. Sovente, alla fine dell'anno, classi molto numerose non avevano nemmeno un alunno bocciato. Ricordo che quando frequentai la terza, la seconda e la prima, fummo tutti promossi.
Un canonico simpatico
In quegli anni scelsi come mio confessore il canonico Meloria della Collegiata di Chieri. Fu l'avvenimento che più mi fece del bene. Ogni volta che mi recavo da lui, mi accoglieva con grande bontà.
In quel tempo, chi andava alla confessione e alla Comunione più di una volta al mese, era guardato come un mezzo santo. Molti confessori non permettevano di ricevere i Sacramenti così frequentemente. Don Meloria, invece, mi incoraggiò sempre a moltiplicare i miei incontri con il Signore. Se ebbi la forza di non lasciarmi trascinare al male dai compagni peggiori, lo devo a questo suo costante incoraggiamento.
Negli anni di Chieri non dimenticai gli amici di Morialdo. Di quando in quando, al giovedì, andavo a trovarli. Nelle vacanze autunnali, appena sapevano che stavo arrivando, mi correvano intorno. Organizzavamo sempre una grande festa in quella occasione.
Anche a Morialdo fondai la Società dell'Allegria. Diventavano soci ogni anno coloro che avevano brillato per la loro bontà. E di anno in anno si allontanavano quelli che non si erano comportati bene, che avevano preso le tristi abitudini della bestemmia e dei discorsi cattivi.
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