del 01 gennaio 2002
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parte terza. IL PADRE.
Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò... il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
...Il padre allora uscì a pregarlo... Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
7. Rembrandt e il padre.
Mentre sedevo davanti al dipinto, all'Ermitage, cercando di assimilare ciò che vedevo, sono passati molti gruppi di turisti. Anche se si fermavano meno di un minuto davanti alla tela, quasi tutte le guide la descrivevano come il dipinto del padre compassionevole, e la maggior parte di esse accennavano al fatto che fosse una delle ultime opere di Rembrandt, un'opera a cui era giunto soltanto dopo una vita di sofferenze. Questa, per così dire, è la sintesi del quadro. E l'espressione umana della compassione divina.
Invece di essere definito Il ritorno del figlio prodigo, potrebbe benissimo definirsi "L'accoglienza del padre misericordioso". L'accento è meno sul figlio che sul padre. La parabola, in verità, è una «parabola dell'amore del padre». Osservando le fattezze con cuiRembrandt ritrae il padre, ho compreso, all'improvviso, in modo del tutto nuovo, il significato della tenerezza, della misericordia e del perdono. Raramente, se mai ciò sia avvenuto, l'immenso amore misericordioso di Dio è stato espresso in maniera così intensa. Ogni dettaglio della figura del padre - l'espressione del volto, il suo atteggiamento, i colori dell'abbigliamento e, soprattutto, la gestualità delle mani - parla dell'amore divino per l'umanità che è esistito dall'inizio e che sempre esisterà.
Tutto confluisce qui: la storia di Rembrandt, la storia dell'umanità e la storia di Dio. Tempo ed eternità si intersecano; la morte incombente e la vita eterna si toccano. Peccato e perdono si abbracciano; l'umano e il divino diventano una cosa sola.
Ciò che dà al ritratto del padre una forza così irresistibile è il fatto che ciò che vi è di più divino venga espresso con ciò che vi è di più umano. Vedo un uomo anziano mezzo cieco, con baffi e barba bipartita, vestito con indumenti ricamati in oro e con un mantello rosso scuro, che posa le sue mani, grandi e calme, sulle spalle del figlio che ritorna. Tutto questo è ben definito, concreto e descrivibile.
Però vedo anche un'infinita misericordia, un amore senza riserve, un perdono eterno - realtà divine - che emanano da un Padre che è il creatore dell'universo. Qui, sia l'umano che il divino, il fragile e il potente, il vecchio e l'eternamente giovane, sono pienamente espressi. Questo è il genio di Rembrandt. La verità spirituale è totalmente incarnata. Come scrive Paul Baudiquet: «La spiritualità in Rembrandt... attinge i suoi accenti più forti e straordinari dalla carne».
Particolarmente significativo è il fatto che Rembrandt scelga un uomo anziano quasi cieco per comunicare l'amore di Dio. Sicuramente è stata la parabola raccontata da Gesù e il modo in cui è stata letta e interpretata nel corso dei secoli ad offrirgli la base principale per illustrare l'amore misericordioso di Dio. Ma non devo dimenticare che è stata la storia stessa di Rembrandt che lo ha reso capace di conferire al dipinto la sua espressività davvero unica.
Paul Baudiquet dice: «Sin dalla giovinezza, Rembrandt non ha avuto che una vocazione: invecchiare». Ed è vero; Rembrandt ha sempre mostrato un grande interesse per le persone più anziane. Le aveva disegnate, incise e dipinte sempre, sin da giovane, e, col passare del tempo, fu sempre più affascinato dalla loro bellezza interiore. Alcuni dei suoi ritratti più suggestivi sono ritratti di persone anziane e gli autoritratti che più colpiscono sono autoritratti eseguiti durante i suoi ultimi anni.
Dopo essere stato molto provato, sia nell'ambito della famiglia che del lavoro, mostra un'attrattiva speciale per i ciechi. Quando, nelle sue opere, la luce si interiorizza, comincia a dipingere persone cieche come se fossero esse i veri vedenti. E attratto da Tobia e dal quasi cieco Simeone e li ritrae più volte.
Proprio quando la sua esistenza si avvia verso le ombre della vecchiaia, quando il successo svanisce e gli splendori esteriori della sua vita impallidiscono, entra più a contatto con l'immensa bellezza della vita interiore. Qui scopre la luce che emana da un fuoco interiore che mai non muore: il fuoco dell'amore. La sua arte non cerca più di «afferrare, conquistare e regolare il visibile», ma di «trasformare il visibile nel fuoco dell'amore che emana dal cuore unico dell'artista».
Il cuore unico di Rembrandt diventa il cuore unico del padre. Il fuoco illuminante dell'amore interiore, che è diventato forte nel corso di tanti anni di sofferenza dell'artista, è lo stesso fuoco che arde nel cuore del padre che accoglie il figlio che torna.
Ora capisco perché Rembrandt non abbia seguito alla lettera il testo della parabola. San Luca scrive: «Quando il figlio più giovane era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Precedentemente, Rembrandt aveva inciso e disegnato questo evento con tutto il movimento drammatico che esso comporta. Ma approssimandosi alla morte, sceglie di ritrarre un padre in un atteggiamento molto statico, mentre riconosce il proprio figlio non con gli occhi del corpo, ma con l'occhio interiore del cuore.
Sembra che le mani che toccano le spalle del figlio che ha fatto ritorno siano gli strumenti dell'occhio interiore del padre. Il padre quasi cieco vede un intero orizzonte. La sua è una vista eterna, una vista che spazia su tutta l'umanità. È una vista che comprende lo smarrimento di donne e uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che capisce con compassione immensa la sofferenza di coloro che hanno scelto di andarsene da casa, che ha pianto un mare di lacrime quando si sono trovati nell'angoscia e nel dolore. Il cuore del padre arde dal desiderio - un desiderio sconfinato - di riportare a casa i suoi figli.
Come avrebbe voluto parlare loro, metterli in guardia contro i tanti pericoli che avrebbero affrontato e convincerli che a casa si può trovare tutto quello che cercano altrove! Quanto avrebbe voluto trattenerli con la sua autorità paterna e tenerli vicino a sé perché non si facessero del male!
Ma il suo amore è troppo grande per comportarsi così. Non può forzare, costringere, spingere o trattenere. Offre la libertà di rifiutare o ricambiare tale amore. Proprio l'immensità dell'amore divino costituisce la fonte della sofferenza divina. Dio, creatore del cielo e della terra, ha scelto di essere, prima di tutto e soprattutto, un Padre.
Come Padre, vuole che i suoi figli siano liberi, liberi di amare. Tale libertà include la possibilità che lascino la loro casa, se ne vadano in un "paese lontano" e perdano ogni cosa. Il cuore del Padre conosce tutto il dolore che questa scelta comporterà, ma il suo amore non gli consente di prevenirlo. In quanto Padre, desidera che coloro che restano a casa gioiscano della sua presenza e sentano il suo affetto. Ma anche in questo caso vuole offrire soltanto un amore che possa essere ricevuto liberamente. Egli soffre in modo indicibile quando i suoi figli lo onorano soltanto con le labbra, mentre i loro cuori sono lontani da lui. Egli conosce la loro «lingua menzognera» e il loro «cuore infedele», ma non può farsi amare da loro senza venir meno alla sua vera paternità.
Come Padre, l'unica autorità che rivendica per sé è l'autorità della compassione. Essa deriva dal consentire che i peccati dei figli feriscano il suo cuore. Non c'è lussuria, avidità, rabbia, risentimento, gelosia o vendetta nei suoi figli perduti che non abbia causato una pena immensa al suo cuore. Tanto profondo è il dolore perché tanto puro è il cuore. Dal profondo luogo interiore dove l'amore abbraccia tutto il dolore umano, il Padre raggiunge i suoi figli. Il tocco delle sue mani, diffondendo una luce interiore, cerca solo di guarire.
Ecco il Dio in cui voglio credere: un Padre che, dall'inizio della creazione, ha steso le sue braccia in una benedizione misericordiosa, non forzando mai nessuno, ma aspettando sempre; non lasciando mai cadere le braccia per la disperazione, ma sperando sempre che i figli tornino per poter dire loro parole d'amore e lasciare che le sue braccia stanche si posino sulle loro spalle. Il suo unico desiderio è benedire.
In latino, benedire è benedicere, che letteralmente significa: dire cose buone. Il Padre vuole dire, più col tocco che con la voce, buone cose dei suoi figli. Non desidera affatto punirli. Sono stati già troppo puniti dalla loro caparbietà interiore o esteriore. Il Padre vuole semplicemente far loro capire che l'amore che hanno cercato in vie così distorte, è stato, è e sarà sempre li per loro. Il Padre vuole dire, più con le mani che con la bocca: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto». Egli è il pastore che «fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto».
Il vero centro del dipinto di Rembrandt è costituito dalle mani del padre. Su di esse si concentra tutta la luce; su di esse si focalizzano gli occhi degli astanti; in esse si incarna la misericordia; in esse confluiscono perdono, riconciliazione e guarigione e con esse sia il figlio esausto che il padre sfinito trovano riposo. Da quando, per la prima volta, ho visto il poster sulla porta dell'ufficio di Simone, mi sono sentito attratto da quelle mani. Non capivo perfettamente il perché. Ma piano piano, con gli anni, sono riuscito a conoscere quelle mani. Mi hanno sorretto dal momento del mio concepimento, mi hanno accolto alla nascita, mi hanno tenuto vicino al seno di mia madre, mi hanno nutrito e fatto sentire il suo calore. Mi hanno protetto nei momenti del pericolo e consolato nei momenti del dolore. Mi hanno dato l'arrivederci quando me ne sono andato, ma mi hanno dato sempre il benvenuto al mio ritorno. Quelle mani sono le mani di Dio. Sono anche le mani dei miei genitori, insegnanti e amici, le mani di quelli che mi hanno guarito e di tutti coloro che Dio mi ha dato per ricordarmi quanto sia al sicuro.
Rembrandt morì non molto tempo dopo aver dipinto il padre e le sue mani benedicenti.
Le mani dell'artista avevano dipinto innumerevoli volti umani e mani umane. In questo quadro, che è una delle sue ultime opere, ha ritratto il volto e le mani di Dio. Chi ha posato per questo ritratto di Dio a grandezza naturale? Lo stesso Rembrandt?
Il padre del figlio prodigo è un autoritratto, ma non nel senso tradizionale. Il volto di Rembrandt compare in molte delle sue tele. Compare come il figlio prodigo nel bordello, nelle sembianze di un discepolo spaventato sul lago, in quelle di uno degli uomini che calano il corpo di Gesù dalla croce.
Qui, tuttavia, a rivelarsi non è il volto di Rembrandt, ma la sua anima, l'anima di un padre che aveva sofferto tante morti. Durante i suoi sessantatre anni, egli ha visto morire non solo la moglie Saskia, teneramente amata, ma anche tre figli, due figlie e le due donne con cui aveva vissuto. Il dolore per l'adorato figlio Titus, morto a ventisei anni subito dopo il matrimonio, non è stato mai narrato, ma nel padre del Figlio prodigo si può vedere quante lacrime quella scomparsa gli debba essere costata. Creato ad immagine di Dio, Rembrandt era arrivato a scoprire, attraverso la sua lunga e dolorosa lotta, la vera natura di quell'immagine. È l'immagine di un vecchio quasi cieco che piange teneramente e benedice il figlio profondamente ferito. Rembrandt era il figlio, è diventato il padre, e così si è trovato preparato a entrare nella vita eterna.
Henri. J.M. Nouwen.
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