l'ho sempre avuto come intimo amico. Posso dire che da lui ho imparato a vivere da vero cristiano. Ci siamo capiti e stimati immediatamente. Avevamo bisogno l'uno dell'altro: io di aiuto spirituale, lui di aiuto materiale...
del 08 gennaio 2007Il rischio di una bocciatura
Al termine dell'anno di umanità (seconda classe), gli esami furono presieduti dal commissario straordinario professor don Giuseppe Grazzani, illustre per meriti scolastici, inviato dal Consiglio Superiore dell'Istruzione.
Fu molto cortese con me. Da quell'incontro, che ricordo con gratitudine, nacque un'amicizia che dura ancora. Vive attualmente (1873) a Moltedo Superiore, vicino a Oneglia dov'è nato. Fra le opere di carità che compie, nel nostro collegio di Alassio paga ogni anno la retta per un ragazzo che desideri studiare per diventare sacerdote.
Gli esami si svolsero molto seriamente. Eravamo 45 esaminandi e fummo tutti promossi alla classe superiore. Solo io corsi il rischio di essere respinto: passai sotto banco la traduzione ad un amico. Solo grazie alla stima del mio carissimo professor Giusiana, domenicano, potei cavarmela. Mi fece assegnare un'altra traduzione, e la eseguii bene. Fui promosso a pieni voti.
Per disposizione del municipio, in ogni classe almeno un alunno era dispensato dalle tasse scolastiche (lire 12). Per ottenere questo premio occorreva aver riportato i massimi voti di studio e di condotta. Mi andò sempre bene: ogni anno fui dispensato da quel pagamento.
In quell'anno ho perduto uno degli amici più cari, Paolo Braje. Dopo una malattia lunga, morì il 10 luglio. Avevo cercato di imitare la sua bontà, la rassegnazione alla sofferenza, la sua fede viva. Andò a raggiungere san Luigi, che aveva tanto ammirato nella sua breve vita. Tutta la scuola fu addolorata da quella morte. Partecipammo in massa al suo funerale. Durante le vacanze, in molti andammo più volte a fare la Comunione e a recitare il Rosario per la sua anima.
Dio volle riempire il vuoto lasciato da Paolo mandandoci un altro amico, buono come lui, che sarebbe addirittura diventato pi√π celebre di lui: Luigi Comollo.
« A forza di schiaffi»Il dottor Pietro Banaudi e altri professori, al termine dell'anno di umanità, mi consigliarono di saltare l'anno di retorica (prima classe, corrispondente alla quinta ginnasiale), e di tentare l'esame per essere subito ammesso alla filosofia (liceo classico).
Diedi quell'esame, fui promosso. Eppure in quel 1834-35 frequentai retorica, perché amavo molto la letteratura. Fu cosi che incontrai Luigi Comollo.
Di questo splendido giovane ho scritto la vita, perché ognuno possa leggerla per disteso. Qui ricorderò soltanto i giorni del nostro incontro.
Tra gli alunni del nostro anno correva la voce che sarebbe arrivato un « ragazzo santo ». Si trattava del nipote del parroco di Cinzano, prete anziano e venerato per la sua santità. Avrei voluto conoscere quel ragazzo, ma non ne sapevo nemmeno il nome. Ecco come lo conobbi un giorno.
Mentre entravamo in classe, molti giocavano a cavallina. Gli scolari pi√π squinternati e meno diligenti erano i campioni di quel gioco pericoloso.
Un ragazzo arrivato da poco, sui quindici anni, tra tutto quel trambusto prendeva posto tranquillamente nel banco, apriva i libri e studiava. Sembrava non sentire quegli schiamazzi.
Qualcuno cominciò a guardarlo storto. Uno più insolente degli altri gli andò vicino, lo prese per un braccio e gli gridò: - Vieni a giocare a cavallina anche tu.
- Non sono capace. Non ho mai giocato a quella roba li - mormorò.
- Imparerai adesso. O vieni o ti faccio venire a forza di schiaffi.
- Puoi picchiarmi, se vuoi. Ma io non vengo.
Quel maleducato prima lo tirò per un braccio, poi gli mollò due schiaffi che risuonarono in tutta la scuola. Mi sentii ribollire il sangue nelle vene. Aspettavo che l'offeso si vendicasse giustamente, tanto più che era più alto e più forte. Invece niente. Con la faccia rossa, quasi livida, diede uno sguardo di compassione a quel farabutto e gli disse:
- Sei contento? Allora lasciami in pace. Ti perdono.
Rimasi impressionato: quello era eroismo puro. Cercai subito di sapere il nome di quel giovane: era Luigi Comollo, il « ragazzo santo », il nipote del parroco di Cinzano.
Fecero muro davanti a meDa quel momento l'ho sempre avuto come intimo amico. Posso dire che da lui ho imparato a vivere da vero cristiano. Ci siamo capiti e stimati immediatamente. Avevamo bisogno l'uno dell'altro: io di aiuto spirituale, lui di aiuto materiale. Il fatto è che Luigi, timidissimo, non osava nemmeno tentare di difendersi contro gli insulti e le malvagità. Io invece, per il coraggio e la forza gagliarda, ero rispettato da tutti, anche da chi aveva più anni e più forza di me.
Un giorno alcuni volevano umiliare e picchiare Luigi e Antonio Candelo, un altro bravo ragazzo. Gridai di lasciarli in pace, ma non mi diedero retta. Cominciarono a volare insulti, e io:
- Chi dice ancora una parolaccia, dovrà fare i conti con me. I più alti e sfacciati fecero muro davanti a me, mentre due ceffoni volavano sulla faccia di Luigi. Persi il lume degli occhi, mi lasciai trasportare dalla rabbia. Non potendo avere tra mano un bastone o una sedia, con le mani strinsi uno di quei giovanotti per le spalle, e servendomene come di una clava cominciai a menare botte agli altri.
Quattro caddero a terra, gli altri se la diedero a gambe urlando.
In quel momento entrò il professore, e vedendo braccia e gambe sventolare in mezzo a uno schiamazzo dell'altro mondo, si mise a urlare e a menare schiaffi a destra e a sinistra.
Calmato un poco il temporale, si fece raccontare la causa di quel disordine, e quasi non credendoci volle che ripetessi la scena. Allora scoppiò a ridere, risero anche gli altri, e il professore dimenticò di castigarmi.
 
« Sei così occupato a parlare con gli uomini... »Ma una lezione me la diede Luigi, appena poté parlarmi a tu per tu.
- Giovanni - mi disse - la tua forza mi spaventa. Dio non te l'ha data per far del male ai tuoi compagni. Egli vuole che perdoniamo, che ci vogliamo bene, che facciamo del bene a quelli che ci fanno del male.
Aveva una bontà veramente incredibile. Finii per arrendermi alle sue parole e per lasciarmi guidare da lui.
Luigi Comollo, Guglielmo Garigliano ed io andavamo sovente insieme alla confessione e alla Comunione, a far meditazione e lettura spirituale, a servire la santa Messa e a far visita a Gesù Sacramentato. Luigi sapeva invitarci con tale bontà e cortesia, che non era possibile dirgli di no.
Un giorno, mentre parlavo con un amico passai davanti a una chiesa senza togliermi il berretto. In modo molto cortese, Luigi mi disse:
- Sei così occupato a discorrere con gli uomini, Giovanni, che non ti accorgi nemmeno di passare davanti alla casa del Signore.
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